GIUFA’ E LA MANOVRA ECONOMICA

La manovra sta arrivando in porto. Sarà sufficiente, sarà insufficiente? L’esperienza ci ha insegnato che non vale la pena di commentare né le cento decisioni né le mille stroncature: aspettiamo il responso della realtà. Ma per quanto riguarda le critiche vien voglia di citare la condanna a morte di Giufà. Il leggendario personaggio popolare siciliano – spesso a metà strada fra la balordaggine e la furbizia – chiese di poter scegliere l’albero al quale essere impiccato. I boia lo condussero nel bosco ma non c’era verso che ci fosse un albero di gradimento del condannato. Dopo ore finalmente arrivò la decisione: Giufà voleva essere impiccato ad una pianta di prezzemolo.
Chi rischia di fare notevoli sacrifici dice che il proprio non è l’albero giusto. Bisogna trovarne un altro. E per l’opposizione il compito è anche più facile: l’albero giusto è il prezzemolo. Purtroppo, una condanna a morte si può evitare se si ottiene la grazia. Per un debito pubblico come quello italiano non c’è re, imperatore o califfo che possa fare un gesto di clemenza. Chi è fuori dal governo può gridare i suoi no e magari astenersi dal lavoro – cosa del resto che molti rischiano di fare a titolo definitivo – ma chi tiene il timone sa che se la nave va a sbattere gliene si darà comunque la colpa. Gli si imputerà perfino di non avere fatto ciò che sul momento gli stessi critici gli intimavano di non fare. La politica funziona così.
Non che i governanti meritino una speciale comprensione, perché quando si tratta di scopare la spazzatura sotto i tappeti sono degli specialisti. È così che è stato creato il nostro immenso debito pubblico. Ma quando il sollevamento dei tappeti è in programma per il giorno dopo, per chi è a Palazzo Chigi è veramente un momento sfortunato.
Sia detto di passaggio: il governo Berlusconi non fa eccezione, in questo campo. La prima manovra stabiliva infatti oggi dei sacrifici da fare nel 2013. Purtroppo non è andata. I mercati sono in grado di eseguire le quattro operazioni e si è dovuto fare sul serio. Anche se non sappiamo se in questo momento si stia facendo sul serio. E se basterà.
La tragedia del nostro Paese è che abbiamo tendenza a confondere democrazia e anarchia. Già tanti anni fa gli scioperanti bloccavano strade e ferrovie e il fatto costituiva un grave reato: per giunta flagrante, in quanto commesso dinanzi a carabinieri e poliziotti schierati a decine. Come mai le forze dell’ordine non intervenivano?
“Motivi di opportunità politica”, si rispondeva. “Non credo che il codice penale preveda l’opportunità politica. Tollerare un reato rimane del tutto inammissibile”, obiettava il giurista.
Ma poi lo scandalo cessò. Non che gli scioperanti avessero smesso di bloccare strade e ferrovie; non che i poliziotti li avessero arrestati: semplicemente lo Stato legalizzò quel comportamento illecito che non osava reprimere. A spese dei viaggiatori e degli automobilisti.
Da noi il potere è capace di essere duro, addirittura vessatorio, col singolo. È capace di punirlo severamente per mancanze veniali, è capace di obbligare il contribuente onesto (onesto, si badi) a provare non una ma due o tre volte, con penose procedure amministrative, di avere fatto a suo tempo il proprio dovere. Quasi un invito ad evadere, la prossima volta. E se a due o tre scalmanati saltasse in mente di bloccare una strada, la sera stessa non dormirebbero a casa loro. Al contrario lo Stato sa solo fare marcia indietro quando è affrontato da un’intera categoria di lavoratori, dai dipendenti di una grande industria o da una lobby bene organizzata. I sindacati, per cominciare.
Forse, se il Fato è benevolo, l’ultima manovra basterà. Forse non basterà. E, comunque, sempre che non sia cambiata alla Camera; da dove dovrebbe allora tornare al Senato, sperando che questo non cambi una virgola. Diversamente dovrebbe tornare di nuovo alla Camera…
Tutta la vicenda fa pensare alla sconsolata conclusione di Giolitti, secondo cui  governare gli italiani non è impossibile, è inutile. Ed è interessante il fatto che la frase sia generalmente attribuita a Mussolini il quale – almeno lui! – i poteri per governare li aveva: ma appunto, se è possibile attribuire quell’idea ad un dittatore, è segno che la nostra tendenza all’anarchia è più forte anche della dittatura.
I nostri governi ci rappresentano meglio di quanto non vorremmo riconoscere. Quante voci si sono levate, a suo tempo, per protestare contro l’irresponsabile politica di spese folli che hanno creato l’immane debito pubblico che oggi rischia di mandarci a fondo? Noi ricordiamo solo Antonio Martino, grillo parlante dimenticato.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it
8 settembre 2011

GIUFA’ E LA MANOVRA ECONOMICAultima modifica: 2011-09-08T10:04:16+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “GIUFA’ E LA MANOVRA ECONOMICA

  1. “La manovra sta arrivando in porto. Sarà sufficiente, sarà insufficiente […] Forse, se il Fato è benevolo, l’ultima manovra basterà. Forse non basterà.”

    A mio parere non basterà, ma per ragioni di fondo e che vanno oltre il merito della manovra italiana. Le economie occidentali ( Usa e UE ) negli ultimi anni hanno consumato a credito, accumulando enormi stock di debito pubblico e privato. La crescita di queste economie si basa, in buona parte, su consumo di sostituzione. Prodotti già posseduti, vengono sostituiti da nuovi dello stesso genere ma di “ultimo modello” e per lo più voluttuari. In altre aree geografiche la crescita economica è dovuta soprattutto ad un consumo primario, e a prodotti che i consumatori acquisiscono per la prima volta.

    In questo articolo di tre anni fa TPS poneva due quesiti che mi sembrano più che mai attuali e per i quali non si intravede ancora una soluzione.

    Economia e politica due nuovi quesiti:

    Per cercare di capire come potrà essere il mondo dopo la tempesta in corso, l’incognita maggiore riguarda il modo di conciliare due opposte necessità: la crescita delle economie ricche deve rallentare, quella delle povere deve continuare. Due reazioni probabili e anche auspicabili, ma apparentemente incompatibili.

    L’espansione economica pre-2007 non ha antecedenti nella storia contemporanea perché è la somma di due dinamiche: la grande crescita degli Stati Uniti e di altri Paesi ricchi, e lo stupefacente decollo di molte economie povere, Cina e India in particolare. Le due dinamiche erano fortemente connesse e hanno a lungo vissuto l’una dell’altra. Molti dei beni acquistati dai ricchi erano prodotti dai poveri, i quali li cedevano a credito. La finanza riconnetteva il tutto su scala mondiale.

    Questo tempo di vacche grasse (che tuttavia non ha saputo trarre circa un miliardo di esseri umani affamati dall’orlo della morte per denutrizione o per malattie curabili) finisce nel 2007 e difficilmente tornerà. Il tempo che verrà lo conosciamo poco e deve essere ancora plasmato. Tuttavia, sappiamo quanto diverse fossero le due dinamiche e, di conseguenza, siano oggi le due uscite dalla crisi.

    La crescita dei Paesi emergenti è la trasformazione del modo di vivere di un terzo del genere umano: di gente che camminava scalza, che in casa non aveva acqua corrente, elettricità o servizi igienici; l’intera famiglia dormiva in una stanza e in città si andava a piedi. Noi italiani ricordiamo bene questa trasformazione per averla vissuta negli anni ’50 e ’60.

    La crescita dei Paesi ricchi, invece, era largamente fatta di acquisti di cose inutili: precoce sostituzione di beni di consumo durevoli non ancora divenuti inservibili, abiti più utili per mostrarsi alla moda che per vestire gli ignudi, pranzi al ristorante. Tutte cose cui si può in gran parte rinunciare.

    Ora, dopo la crisi, forze vigorose spingono, giustamente, al mantenimento di una dinamica e al rallentamento dell’altra. Giorni fa abbiamo suggerito che la crescita dei ricchi, fondata sul debito e sulla bolla immobiliare, è destinata a fermarsi o a rallentare fortemente: la politica economica fa bene a contrastare il crollo produttivo, ma farebbe male se si sforzasse di ritornare sulla cattiva strada passata. La crescita dei poveri, invece, può e deve continuare perché è sorretta da ampio risparmio, perché è giusto che il benessere si diffonda e perché costituisce un mutamento sociale che difficilmente si interrompe prima di essersi completato. La politica economica non deve, e forse nemmeno può, cercare di soffocarla.

    È possibile ottenere le due cose insieme? Può funzionare un’economia mondiale in cui le due crescite si disconnettono? Esistono leader in Occidente capaci di dire questa verità ai propri elettori-cittadini? Questa è la sfida per la politica economica nel tempo che ci aspetta. Si tratta di capire sia il modello che renda conciliabili le due dinamiche (un compito per gli economisti) sia il dispositivo attraverso il quale quel modello si possa realizzare (un compito per chi pensa e fa la politica).

    Sono quesiti nuovi senza risposte pronte. Gli economisti, i politici, le classi dirigenti devono esserne consapevoli e contribuire a formare in tal senso l’opinione pubblica: il futuro dovrà essere diverso dal passato.

    Tommaso Padoa-Schioppa
    11 agosto 2009

  2. Dolente per la buonanima ma il testo non è chiaro, soprattutto nell’ultima parte. Ma soprattutto: che senso ha dire quello che le società – quella prospera e quella meno prospera – dovrebbero fare? Dal momento che certo non ascolteranno i consigli di TPD? Più interessante sarebbe prevedere quello che faranno, e le conseguenze di ciò che faranno.

  3. L’articolo è contraddittorio nel finale (” Gli economisti, i politici, le classi dirigenti devono esserne consapevoli e contribuire a formare in tal senso l’opinione pubblica: il futuro dovrà essere diverso dal passato “) quando precedentemente aveva affermato (” Sono quesiti nuovi senza risposte pronte” ). Ma a parte questa contraddizione e alcune considerazioni di taglio più politico che economico ( “La crescita dei poveri, invece, può e deve continuare perché è sorretta da ampio risparmio, perché è giusto che il benessere si diffonda ecc. “) l’analisi di TPS è condivisa da molti gestori di fondi i quali riducono i loro asset sui titoli del debito privato e pubblico Usa e Ue ( economie con bassa crescita e molto indebitate ) e comprano asset di altri Paesi. Bill Gross managing director di Pimco, il gruppo di asset management più grande del mondo, lo conferma nell’ultimo investiment outlook di settembre.

    http://www2.pimco.com/maintenance/IO_September_2011.pdf

    ” È possibile ottenere le due cose insieme? Può funzionare un’economia mondiale in cui le due crescite si disconnettono? [..] Sono quesiti “nuovi” senza risposte pronte.”

    L’articolo indica più le cause che le soluzioni. Ma i quesiti sono ancora lì ad aspettare risposte, né si intravedono soluzioni a breve.Per adesso assistiamo ad un fuggi fuggi da asset europei e americani. I titoli greci a due anni vengono scambiati con uno sconto del 50%. Per adesso.

    L’articolo è del 2009

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