PERCHÉ NON SI PUO’ RILANCIARE L’ECONOMIA

“Sì. Potrebbe anche piovere”. Ecco la risposta che, secondo l’aneddoto, dette il luogotenente al generale sconfitto che, contemplando il campo di battaglia coperto di morti e feriti, aveva chiesto: “Potrebbe andar peggio?”

La gara del pessimismo è tristissima e non si è mai sicuri di vincerla. Dicono che la realtà abbia più fantasia dell’invenzione: dunque può anche essere più carogna di ciò che  ipotizza chi vede nero.

Amare considerazioni, per uno che osserva la situazione economica dell’Italia. Allineiamo i fatti: non è scongiurato il pericolo di ulteriori attacchi dei mercati. Non della speculazione, che è un mito, dei mercati. E questi non sono la febbre, sono il termometro. Non è scongiurato il pericolo che sia necessaria una terza manovra. Non è scongiurato il pericolo che anche una terza manovra sia insufficiente. Insomma non è scongiurato il pericolo che l’euro scoppi e l’Italia vada a gambe all’aria. 

Però è anche possibile che l’euro sopravviva o che l’Europa, magari dopo aver perso per strada la Grecia e il Portogallo, riesca a salvare l’Italia. Ma non è detto che non lo faccia per poi accompagnarla cortesemente alla porta e augurarle buon viaggio insieme con la Spagna. Forse siamo too big to fail, troppo grossi per fallire, quanto meno di botto, ma certo nessuno ci vorrà se saremo solo una palla al piede. Il samaritano aiutò quel poveraccio una volta, non gli fece un abbonamento dal sarto.

Visto che non siamo sicuri di vincere la gara del pessimismo, proviamo a vincere dal lato dell’ottimismo.

Che cosa potrebbe salvare l’Italia? La risposta è semplice: un modello produttivo di ci sui si possono fornire alcune caratteristiche. Abolizione della maggior parte delle norme sindacali; licenziabilità ad libitum e senza giustificazioni; niente contratto nazionale, libera contrattazione fra lavoratore e datore di lavoro; licenziamento di una buona percentuale dei dipendenti pubblici, in parte razionalizzando l’Amministrazione statale, in parte abolendo uffici e servizi; riforma sanitaria nel senso che ciascuno è obbligato ad assicurarsi privatamente; scuola severissima e costosa; riduzione delle università a una o due per regione; raddoppio del prezzo dei carburanti; tutti in pensione a settant’anni, uomini e donne; niente pensione di anzianità, al massimo fine dei contributi a partire da un certo numero di anni di contribuzione; niente pensioni sociali, solo mense per i poveri o dormitori pubblici; chiusura delle ferrovie dello Stato, salvo la dorsale adriatica, la dorsale tirrenica e il collegamento con Genova, Torino, Milano e Venezia; taglio drastico di tasse e imposte per riportare il peso del fisco sotto il 30% del pil; meglio se il venti. Non è necessario continuare, perché se si tentasse di attuare metà o anche solo un terzo di queste riforme, gli italiani insorgerebbero come un sol uomo e non se ne farebbe niente.

Se tutto questo è vero, è anche vero che è inutile parlare di ripresa produttiva. È come se, con la stessa automobile, senza variare il carico, senza cambiare percorso, senza cambiare carburante e senza mettere le mani nel motore, si pretendesse di andare molto più veloci. L’Italia si è messa nei guai creando un modello produttivo inefficiente, sprecone, spesso ingiusto, ma gli è visceralmente affezionata. È convinta che quell’automobile dovrebbe portare un carico maggiore e andare lo stesso più veloce. Poi, quando vede che essa ha tendenza a fermarsi, le aumenta il carico. A cominciare da quello fiscale.

Il nostro Paese non può essere salvato perché gli italiani lo vogliono com’è. Probabilmente i ferrovieri sarebbero disposti ad abolire la sanità pubblica, i medici sarebbero disposti a licenziare metà degli statali e gli statali sarebbero disposti a chiudere le ferrovie. Ogni settore è disponibile alle riforme degli altri settori ma ognuno blocca la riforma che lo riguarda. E trova subito alleati: da noi è più probabile il consenso per le piaghe da decubito che per l’azione.

Silvio Berlusconi avrebbe potuto salvare l’Italia? Assolutamente no. Né lui né nessun altro. Ciò che avrebbe potuto fare di meglio, sarebbe stato dimettersi immediatamente dopo la vittoria del 2008 e passare la mano. In questo momento gli italiani starebbero ancora cercando disperatamente una testa di turco, senza trovarne una abbastanza grossa. Mentre ora, se si dimettesse, gli darebbero la colpa della crisi economica mondiale. Ma la sorte di Berlusconi è senza importanza. La situazione è quella che è. E non ci allarmano tanto i guai attuali dell’Italia, quanto il fatto che potrebbe anche piovere.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

15 settembre 2011

PERCHÉ NON SI PUO’ RILANCIARE L’ECONOMIAultima modifica: 2011-09-15T12:04:33+02:00da gianni.pardo
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