L’ODIO PER (IL CANONE DEL)LA RAI

Secondo un sondaggio dell’Ifel in collaborazione con Swg (1),  interrogando ottomila persone si è visto che la tassa più odiata è il canone della televisione (45%). La tassa di possesso del veicolo è al secondo posto, molto distanziata, col 14,2. Qualcuno si stupisce del fatto che questi tributi siano più impopolari di tasse come l’Iva (9,1%), l’Irpef (7,5%) o quelle comunali sugli immobili (6,4%). Viene pure segnalato con meraviglia che due terzi degli interrogati dichiarano che tasse e imposte sono ”un dovere civico” (31,6%) o “uno strumento che garantisce servizi a tutti i cittadini (33,4%) per un totale del 65%. E invece, se c’è da stupirsi, è di quel terzo di imbecilli che non vedono il dovere civico di pagare le tasse o non ne capiscono la funzione. Costoro non si rendono conto che se la strada che percorrono la sera tornando a casa è asfaltata e illuminata, non è perché se ne sia occupato il buon Dio: se ne è occupato lo Stato, con i soldi delle tasse e delle imposte. Nessuna persona ragionevole può essere “contro le tasse”: il problema riguarda soltanto quali tasse, per quale importo e con quali modalità di riscossione. 

Sospettiamo che se un terzo degli italiani rifiuta in toto il dovere civico di contribuire alle spese della collettività, le domande siano formulate in modo tale da permettere alla gente di “mandare al diavolo lo Stato percettore di imposte”. La relativa benevolenza con cui gli intervistati trattano imposte comunali, Irpef e Iva dimostra appunto che essi riconoscono il dovere di fornire allo Stato i mezzi per erogare i suoi servizi. E dunque vale la pena di occuparsi soltanto delle distinzioni fra le singole voci.

Nel caso della tassa sull’automobile, il tributo è pesante e per giunta non è proporzionale né all’età del veicolo né ai chilometri percorsi. Tant’è vero che qualcuno ha parlato di abolire la tassa e trasferirne l’importo sui carburanti, in modo che si paghi in proporzione al consumo. Il balzello suscita proteste intime in tutti coloro che si vedono richiedere denaro indiscriminatamente, per uno strumento che deve usare per necessità. Un po’ è come se si tassassero le scarpe. Senza dire che alcuni poveri hanno automobili di media cilindrata proprio perché costano meno di seconda mano.

Ancor più chiara è la ragione dell’avversione alla tassa sul televisore e del suo primato negativo. Nel caso dell’automobile, lo Stato può almeno rispondere sottolineando le spese per strade, ponti, semafori, vigili urbani, polizia stradale, e tutto ciò che serve alla circolazione. Nel caso del televisore, lo Stato non ci mette niente: l’etere non gli costa nulla e solo i programmi trasmessi potrebbero essere oggetto di un “abbonamento”, come pudicamente si chiama ancora quella tassa: ma anche il più stupido dei cittadini si accorge dell’imbroglio. La Rai fornisce a pagamento un servizio che altre televisioni forniscono gratuitamente e non per questo si astiene dalla pubblicità che tiene in vita le altre emittenti. Infine i suoi programmi sono spesso faziosi – in netto contrasto con la sua asserita natura di “servizio pubblico” – sicché molti alla fine sono furenti: “E io devo pagare una tassa per sentirmi insultare a domicilio, politicamente?” Infatti Mediaset, che non si può permettere di irritare gli spettatori, è molto meno berlusconiana di quanto la Rai sia antiberlusconiana.

Gli italiani considerano il canone un autentico sopruso che trova la sua ragion d’essere nel mantenimento di quel carrozzone sprecone e inefficiente che è la Rai. Una televisione che fornisce ai politici un mezzo per rivolgersi ai cittadini e condizionarne le opinioni. 

La protesta contro il canone Rai è sacrosanta. È vero che lo Stato non è in grado di mandare a spasso metà degli impiegati della televisione pubblica (come sarebbe possibile, senza intaccare la funzionalità dell’impresa), e neppure di privatizzare questo letargico mammut, ma potrebbe, senza perderci, quanto meno dimezzare il canone: basterebbe inserirlo nella bolletta dell’elettricità. Si otterrebbero i seguenti risultati: tutti pagherebbero la tassa, quelli che già la pagano pagherebbero di meno e finirebbe l’ipocrisia dell’ “abbonamento”.

Non è lecito nutrire nessuna speranza. Il governo è incapace di fare qualunque cosa, perché c’è sempre qualcuno che glielo impedisce. Inoltre, se una riforma del genere la facesse Berlusconi, tutti direbbero che l’ha fatta per favorire Mediaset e far pagare il canone anche a quei benemeriti contadini siciliani o quei poveri montanari calabresi che giustamente se ne erano auto-esentati.

Questa è l’Italia.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

16 settembre 2011

(1)http://www.corriere.it/economia/11_settembre_14/le-tasse-piu-odiate-il-canone-rai-in-testa-alla-lista-sergio-rizzo_070403ce-de94-11e0-ab94-411420a89985_print.html

 

L’ODIO PER (IL CANONE DEL)LA RAIultima modifica: 2011-09-16T10:59:17+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “L’ODIO PER (IL CANONE DEL)LA RAI

  1. Le voglio precisare che il canone e’ un’imposta, non una tassa pertanto non prevede nessun servizio in cambio, poi viene incassata dall’agenzia dell’entrate e solo il 10 percento va alla rai per i programmi di utilita’ pubblica. Per questo, chi non la paga e’ un evasore.

  2. Gentile Chiara,
    la sua tesi si scontra con alcuni fatti. Posto che siamo d’accordo che l’imposta è caratterizzata, come giustamente lei dice, dal fatto che “non prevede nessun servizio in cambio” (come l’imposta sugli immobili impropriamente chiamata “tassa sulla spazzatura”), le faccio notare che: 1) La denominazione ufficiale, e comunque di gran lunga la più corrente, è “abbonamento alla Rai” o “canone della Rai”; 2) Tale abbonamento prevede la possibilità di rinunciare al servizio, permettendo l’impiombatura (previo insaccamento) del televisore, mentre nessuna rinuncia è prevista per la Tarsu.
    Che poi, di fatto, se uno scrive alla Rai chiedendo di non pagare più il canone, e aspetta che gli impiombino il televisore, e questo non avviene per anni, dimostra soltanto che da un lato lo Stato tassa il televisore (e sostituirlo è facilissimo, dunque è inutile insaccarne uno), dall’altro non è in grado di dimostrare che una famiglia ha un televisore, dal momento che per accertarlo dovrebbe ottenere un mandato di perquisizione, che i magistrati non concedono certo per questa finalità. E infatti chi scrive quella richiesta e smette di pagare il canone ha come conseguenza solo il risparmio dei cento euro annui.
    Dunque sì, chi non paga la tassa sul televisore è un evasore, come dice lei, ma lo Stato dovrebbe modificare la struttura di una tassa che è pagata solo dagli onesti, che per così dire la pagano volontariamente, mentre non disturba gli evasori se non con una serie infinita di lettere che finiscono regolarmente nel cestino.

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