PATRIMONIALE, RILANCIO, GOVERNO DI EMERGENZA

Ci sono due argomenti fastidiosi che si rincorrono da un articolo all’altro, da un giornale all’altro, fino a provocare l’orticaria solo a sentirli nominare: uno è il “governo-senza-Berlusconi” (oggi chiamato “governo d’emergenza”, visto che i venti nomi precedenti non sono bastati); l’altro è il rilancio economico dell’Italia. Una cosa inutile per una cosa impossibile.

Il debito pubblico dell’Italia è di 1.900.000.000.000 €, un numero troppo grande per essere concepito da mente umana. Per renderlo maneggiabile lo divideremo per 1.000.000, ottenendo 1.900.000. Facciamo che gli italiani siano sessanta milioni e anche qui dividiamo per un milione. Per sapere la quota di debito che grava su ogni italiano basterà dividere 1.900.000 per sessanta: fa 31.666,67 €. Dunque, per una famiglia di tre persone (è la media), 95.000 €. Un padre di famiglia può versare da un giorno all’altro questa somma, per ripianare il debito?

Naturalmente si risponderà che nessuno chiede di azzerare il debito dall’oggi al domani. Giusto. Facciamo allora che si diano tre anni per pagarne la metà: 47.500, 15.850 € l’anno. Chi è in grado di versare una simile imposta? La stragrande maggioranza degli italiani certo no. Insomma il debito pubblico c’è e ci sarà.

Questi calcoli servono anche per un secondo argomento: la famosa patrimoniale. Il prelievo in banca, che impose a suo tempo il governo Amato, è una pessima proposta, sia perché gli italiani non hanno dimenticato quella rapina notturna, sia perché il gettito non servirebbe a mettere in sesto i conti italiani. L’imposta sulla casa sorprenderebbe di meno, ma essa colpirebbe praticamente tutti, anche i più poveri, anche quelli che ancora pagano un pesante mutuo, visto che l’ottanta per cento degli italiani vive in casa propria. S’immagini quanto sarebbe popolare questo provvedimento. E soprattutto, quale sarebbe il gettito? Se si chiedessero mille euro ad ogni capo famiglia di tre persone, si arriverebbe a venti miliardi. Venti miliardi di euro a fronte di millenovecento e nel frattempo le proteste arriverebbero al Cielo. Il massimo che si può fare in questa direzione è mantenere la situazione in equilibrio: non spendere più di quanto si incassa. E questo pareggio di bilancio sarebbe già un miracolo. Un governo che lo realizzasse avrebbe diritto agli applausi degli elettori.

L’unico modo di risolvere il problema del debito pubblico sarebbe un impressionante rilancio dell’economia nazionale. E infatti tutti ne parlano. Se lo Stato incassasse più di quanto spende, e usasse questo surplus per rimborsare i titoli, a poco a poco il debito scenderebbe. Inoltre, dal momento che l’ammontare del debito è espresso come percentuale del prodotto interno lordo annuale, se il pil aumentasse, il debito, a parità di somma, diminuirebbe percentualmente. Gli stessi 1.900 miliardi diverrebbero non – poniamo – il 110% del pil, ma il 108, il 105 o il 102.

E infatti molti – anzi, tutti – chiedono questo rilancio al governo. Ma non dicono come questo governo o un altro, non importa, potrebbe realizzarlo. Nel mito c’è lo Stato che riesce, non si sa con quali finanziamenti, ad abbassare tasse e imposte in modo da incoraggiare i consumi, a dare lavoro a decine di migliaia di persone dando l’avvio a colossali lavori pubblici, e attuando molti altri provvedimenti che avrebbero in comune proprio questo: che lo Stato ci mette i soldi. Solo che i soldi lo Stato non li ha. Se li avesse non avrebbe bisogno di rilanciare l’economia.

Lasciando il mito e scendendo sul piano delle cose possibili, bisogna innanzi tutto ricordare è che l’economia non dipende dallo Stato. Tutto quello che lo Stato sa fare è danneggiarla. L’economia si può incoraggiare lasciandola più libera, rimuovendo ostacoli, diminuendo le tasse, liberalizzando il mercato del lavoro, snellendo gli adempimenti burocratici e fiscali e a questo punto si parla spesso di “riforme coraggiose”: ma non è questione di coraggio. Il problema non è quello di formulare una proposta, è quello di trovare un Parlamento che la voti. E qui si sbatte contro una realtà immutabile. In questi anni il Parlamento non ha avuto la forza di attuare le riforme necessarie, pur riconoscendole tali. Ora si chiede: questa forza l’avrà un centro-sinistra abbarbicato all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori come i naufraghi della Medusa alla loro zattera? 

E allora si arriva all’ultimo capitolo, il governo dei tecnici. Questa soluzione – tanto stupida quanto miracolistica – ha numerosi sostenitori. Molti sono convinti che il governo (una ventina di persone) governi male perché composto da cretini, tanto che sostituendo questi ragazzacci degli ultimi banchi con il primo della classe, quello con gli occhialini e sempre ben pettinato, tutto si risolverà. In molti non comprendono – o  fanno finta – che in primo luogo anche i tecnici hanno le loro idee: e comunque, dovendo prendere decisioni politiche, prenderebbero decisioni politiche, non tecniche. La scelta di un’imposta piuttosto che un’altra non è tecnica. In secondo luogo che anche loro dovrebbero trovare in Parlamento una maggioranza che gli voti i provvedimenti. E se non la trova Berlusconi perché dovrebbero trovarla loro? E se non la trova Bersani perché dovrebbero trovarla loro?

Il problema dell’Italia non è il volante, è il carburante. Tutti conosciamo la meta ma manca l’energia per andarci. Se neanche un governo di centro-destra sa affrontare l’impopolarità di una riforma radicale del mercato del lavoro, saprà farlo una diversa maggioranza?

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

3 novembre 2011

PATRIMONIALE, RILANCIO, GOVERNO DI EMERGENZAultima modifica: 2011-11-03T08:29:56+01:00da gianni.pardo
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