II – IL PUNTO DI VISTA TECNICO SULLA CRISI

Il precedente articolo si concludeva con un ironico accenno all’intervento miracoloso di qualche santo nell’economia italiana. Oggi proviamo a vedere che cosa si potrebbe realmente fare per salvare il Paese.

Attualmente, se non ci sostenesse l’Europa, e soprattutto se non promettesse di sostenerci in futuro, l’Italia sarebbe indotta al default. Pagare interessi del 7% o più sui titoli pubblici è una follia. Naturalmente i titoli in scadenza oggi, essendo stati emessi tempo fa, non sono a questo livello, ma continuando di questo passo aumenterà costantemente la percentuale di quelli che costituiranno per lo Stato – cioè per noi – un peso insopportabile. Solo in linea teorica: ammettendo che oggi si paghi un interesse medio del 4% su una somma totale di 1.900 miliardi, cioè 76 miliardi l’anno, il giorno in cui l’interesse fosse non diciamo del 7 ma del 6%, il peso annuo del debito salirebbe di trentotto miliardi, e questa sola differenza sarebbe più pesante di una delle famose (e dolorose) manovre! Mentre se gli interessi fossero al livello dei Bund tedeschi, la rata annua scenderebbe a meno di quaranta miliardi in totale. Le cifre possono essere inesatte, gli ordini di grandezza no.

L’Europa sostiene l’Italia perché la sua economia pesa talmente che una sua crisi farebbe scoppiare l’euro. E sarebbero guai enormi per tutti. Naturalmente gli altri Paesi sono disposti ad aiutarci solo se hanno la speranza che debbano farlo temporaneamente: infatti, se l’Italia continuasse a comportarsi come ha fatto fino ad ora, i nostri soci europei giudicherebbero inutile spendere un mare di soldi per curare un malato che comunque morirà. Invece hanno una piccola speranza e dicono  che sono disposti ad aiutare l’Italia se inverte la tendenza economica. Se cioè guadagna stabilmente più di quanto spende o, malissimo che vada, abbia i conti in equilibrio. Naturalmente includendo nei conti ciò che deve spendere per pagare gli interessi sul debito pubblico: perché diversamente in equilibrio sarebbe già. In questo modo potrebbe arrivare a riconquistare la fiducia dei mercati, fino a pagare interessi meno usurari.

Purtroppo sia l’Europa sia l’Italia sembrano non concepire altro che manovre sul lato della spesa e del fisco. Sul primo lato qualunque governo (e figurarsi quello Berlusconi, contro il quale era anche lecito sparare pallottole dum dum!) non può fare moltissimo: le pensioni e gli stipendi vanno pagati, gli impegni assunti vanno onorati. Se si vuole essere veramente incisivi, si creano perfino rischi per l’ordine pubblico. I sindacati infatti sono convinti che il loro mestiere sia quello di fomentare le proteste di piazza e gli italiani su certi argomenti non transigono: “indietro non si torna”. Se un imprenditore dicesse ai suoi operai: “O accettate una decurtazione di salario o qui si chiude, perché altri Paesi producono alla metà del costo”, gli operai farebbero sciopero. Perché non conoscono nient’altro, dell’economia. Fino alla chiusura della fabbrica. 

I tagli si sono avuti e si avranno ma non bastano. Ed ecco si guarda all’altro lato della scure bipenne: l’aumento delle tasse. Purtroppo, questa è un’arma spuntata: perché non ci si può aspettare che prima si ammazzi l’asino e poi esso tiri il carretto. La pressione fiscale è già altissima e deprime l’economia. Un suo aumento – mentre si parla di rilancio! – rischia di assassinarla. Ecco perché l’articolo precedente si concludeva invocando S.Rita.

Ma possiamo giocare con le idee. La soluzione ci sarebbe. A parte un serio ridimensionamento dell’elefantiaca amministrazione pubblica, una legge composta di una sola frase: “I licenziamenti sono liberi e il salario è concordato fra datore di lavoro e prestatore d’opera”. Dall’oggi al domani non si avrebbe una marea di licenziamenti, come pensano gli imbecilli: gli stessi che, con l’introduzione del divorzio, pensavano che sarebbero stati obbligati a lasciare la moglie o il marito. Ci sarebbero da prima parecchi licenziamenti, poi la calma. Perché all’imprenditore il lavoratore serve. Per lui è una fonte di profitto e soprattutto se è bravo non se ne priva facilmente. Inoltre, da prima molta gente sarebbe assunta con salari di fame (come avviene attualmente, anche se in nero), ma poi i lavoratori disperati disposti ad accettare basse retribuzioni diminuirebbero, perché ci sarebbero meno disoccupati e dunque le paghe dovrebbero risalire. Alla fine – dopo che l’economia fosse scesa a più miti consigli, tanto da poter competere sul mercato internazionale – l’Italia ripartirebbe alla grande. Anche perché il gusto italiano è superiore e i nostri prodotti, a parità di prestazioni e prezzo, batterebbero spesso la concorrenza.

Dopo avere scritto queste cose, prego gli amici che dovessero conoscere il mio indirizzo di non darlo a nessuno. Tengo a morire di morte naturale. 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

18 novembre 2011

 
II – IL PUNTO DI VISTA TECNICO SULLA CRISIultima modifica: 2011-11-18T09:32:00+01:00da gianni.pardo
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