MANI PULITE E PARALITICHE

Siamo a vent’anni, più o meno, da “Mani Pulite” e i commentatori si accordano su due punti: che non tutto fu commendevole nel modo in cui fu condotta quell’operazione e che la corruzione non fu sradicata né allora né in seguito. Anzi, allora la gente invocava a gran voce un repulisti radicale, ora gli scandali lasciano l’opinione pubblica pressoché indifferente: è notizia che uomo morda cane, non che cane morda uomo.

Molti si chiedono che cosa si possa fare per mettere rimedio a questo interminabile dilagare del malaffare e chissà che una delle idee suggerite non sia eccellente. Ma ammettiamo che, malgrado le deprecazioni, non cambi nulla: che cosa bisognerebbe dedurne?

Un tempo in Francia copiare il compito, a scuola, era considerato azione da disonesti. E in Giappone non ne parliamo. In Italia, in passato come oggi, copiare a scuola non è nemmeno da furbi: è addirittura normale. Se qualcuno c’è da biasimare è quella carogna del primo della classe se non “passa la copia”. Il moralista potrà condannare l’una o l’altra società, il sociologo si limiterà ad osservare i fatti: per quanto appassionatamente si possa predicare agli alunni l’obbligo di non copiare, per cambiare questa mentalità sarebbero  necessari chissà quali fenomeni sociali e comunque molti decenni. In tempi storici i ragazzi giapponesi continueranno a pensare che se copiassero perderebbero la faccia e i ragazzi italiani continueranno a pensare che se non copiassero sarebbero sciocchi. Contro tutto questo c’è poco da fare: l’inerzia della società è immensa.

Ciò che è interessante notare è che in Italia questa mentalità non cambia quando si diviene adulti. Se Mani Pulite, pur arrivando a usare per così dire la sciabica, pur arrivando a prevaricare e a violare la deontologia giudiziaria, non è riuscita a sradicare la corruzione, è perché gli italiani sono convinti che copiare ed essere copiati, raccomandare ed essere raccomandati, corrompere ed essere corrotti siano cose normali. L’imprenditore, per ottenere quello cui magari ha diritto, chiede a chi bisogna mettere in mano del denaro. E coloro che questo denaro ricevono lo accettano senza molti scrupoli, magari dicendosi che “lo fanno tutti gli altri” e sarebbero stupidi a non intascarlo. Come i ragazzi considerano stupidi quelli che nemmeno tentano di copiare.

La corruzione non sempre assume la forma brutale della dazione di denaro. Nelle università essa ha più spesso la forma della cooptazione. Diviene ricercatore il raccomandato di un professore e questo professore in seguito appoggerà i colleghi, quando costoro a loro volta presenteranno il loro raccomandato. Il risultato – oltre al basso livello dei nostri atenei nelle classifiche mondiali – è la straordinaria frequenza degli stessi cognomi, negli elenchi dei cattedratici. Perché, come si sa, il genio è ereditario. 

Analogamente un appalto, una commessa, una consulenza sono più facilmente concessi a un amico o a una persona che potrà ricambiare il favore piuttosto che al più qualificato. Non sempre circolano assegni o valigette di contanti, ma anche questa è corruzione. Ed è tanto difficile convincere gli interessati che questo comportamento è immorale e illecito quanto è difficile spiegare che non bisognerebbe copiare a scuola. 

L’italiano medio considera le regole un ostacolo, non un valore. Gli stessi moralisti dei giornali – e Dio sa se ce n’è – dopo avere scritto il loro bel pezzo colorato d’indignazione, non si accorgono che il modo più semplice di divenire giornalista è essere figlio di giornalista? Ma si sa, i figli so’ piezze ‘e core. 

Ognuno vorrebbe stroncare le scorrettezze altrui ma nel frattempo perdona le proprie. Non c’è da stupirsi del fallimento di Mani Pulite, c’è da stupirsi dello stupore. Fra l’altro alcuni dei protagonisti togati, prima che dal sacro fuoco della legge, erano bruciati dal fuoco del narcisismo e dell’ambizione. Infatti, in seguito, la notorietà si è acquistata perseguendo a volte con molta fantasia reati e personaggi eccellenti. Naturalmente non si sono raggiunti risultati giudiziari degni di nota ma, anche se al prezzo dei tormenti degli accusati, si sono avuti i risultati mediatici e politici che forse erano gli obiettivi reali. Se questi sono coloro che dovrebbero stroncare la corruzione, torna l’antica domanda: quis custudiet ipsos custodes? Chi farà sì che i moralizzatori siano essi stessi morali?

Disperando di vedere la fine della corruzione, rimane il dovere di sospettare dei moralizzatori: oltre ad essere come gli altri, potrebbero essere dei tartufi.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

15 febbraio 2012

 
MANI PULITE E PARALITICHEultima modifica: 2012-02-15T09:25:11+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “MANI PULITE E PARALITICHE

  1. “His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti…”

    Caro Professore, se chi ci prova viene bollato come “moralizzatore” c’è da chiedersi se ci sarà mai una speranza di trovarci in un mondo migliore (non parlo per me che sono troppo vecchio ormai per avere questa fortuna)
    non tutti hanno difficoltà a stare alle regole: sono a volte le regole che sono balorde (se Socrate ci avesse riflettuto, forse non si sarebbe sentito così abbligato a bere la cicuta)
    quindi sposterei l’attenzione più che sulla “moralità” (che per quanto mi è noto non è una virtù oggettiva) sul “nomos”: l’aderenza alla legge sarà tanto più facile quanto più la legge sarà “ragionevole”, che non vuol dire fatta “secondo i bisogni del popolo” ma “secondo il principio di realtà” che innanzi tutto postula una “deforestazione” massiva: come si può osservare migliaia di leggi, sui più astrusi argomenti (la cui esistenza e comprensione sfugge agli stessi legulei), o controllare che vengano osservate? (ecco perché il dilemma sui “custodes” è sempre attuale)
    sono convinto che poche regole, univoche e chiare nel loro significato, potrebbero spingere anche i più riottosi a comportamenti civili
    ma le leggi le fa il Parlamento, che eleggiamo noi: dunque sarebbe doveroso trarne le dovute conseguenze…

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