SIAMO TUTTI MAFIOSI

Un tempo, uno degli insulti più sanguinosi era “pederasta”. Non era necessario aver mostrato tracce di omosessualità (si parla di tracce perché allora nessuno osava confessarsi omosessuale). Bastava che uno fosse sufficientemente arrabbiato con un altro per lanciare l’ultimo oltraggio: pederasta, frocio, finocchio!

Ma col tempo, fortunatamente, queste ingiurie sono passate di moda. Viceversa non è cambiata – non cambia mai – la voglia di lanciare l’insulto imparabile e intollerabile. Soprattutto nella vita pubblica e politica, il “pederasta” è stato dimenticato e il “fascista” ha invaso tutto lo spazio. Fascista è stato chiunque non fosse comunista, chiunque volesse applicare leggi e regolamenti, chiunque, in un posto di comando, osasse pensare di comandare. Nel mondo politico o giornalistico rari sono coloro che non si sono sentiti dare del fascista, una volta o l’altra.

Ma, anche qui, il tempo ha fatto la sua parte. Le ultime tracce del Ventennio sono scomparse nella primavera del 1945, Gianfranco Fini è diventato quasi di sinistra (Italo Bocchino quasi di estrema sinistra) e gli ex missini sono andati al governo già nel 1994. L’accusa di essere “fascista”, oltre ad essere démodée, ha perduto la sua carica aggressiva. E allora bisognava pensare ad altro.

Quale cosa, in Italia, è aborrita da tutti al massimo grado, di cui tutti invocano l’eliminazione, e a favore della quale neanche Satana oserebbe parlare? Facile: la mafia. Ed ecco che mentre prima Cosa Nostra era un fenomeno palermitano già poco noto a Catania e totalmente sconosciuto a Siracusa, in breve tempo è divenuta fenomeno nazionale. Ogni forma di delinquenza organizzata è divenuta mafia e si è chiamato così anche qualunque sodalizio di cui si volesse dir male. Nessuno si stupirebbe sentendo parlare della mafia dei professori universitari, dei grandi imprenditori o dei pubblici ministeri.

L’ultimo insulto non è più “pederasta” e neppure “fascista”: oggi chiunque ci stia veramente antipatico è un “mafioso”. Il milanese Berlusconi è mafioso perché gli hanno bruciato la Standa di Catania e perché si è piegato a pagare la protezione, con l’aiuto di quel mafioso di Dell’Utri. Mafioso perché palermitano, quest’ultimo. Si noti che nessuno ha dato del fascista, a questi due delinquenti, come nessuno ha messo in dubbio la virilità del Cavaliere, e neppure di Dell’Utri che pure, essendo un bibliofilo, qualche dubbio poteva farlo nascere. Ma no, è evidente, sono ambedue dei mafiosi. Come mafioso era Giulio Andreotti che è facile immaginare con la coppola, nascosto in un androne buio, mentre strangola i nemici politici con un rosario.

Dare del mafioso è divenuto di moda. Sicché siamo tutti più o meno mafiosi. Già cinque milioni di siciliani lo sono iure soli.  Dunque per fare effetto bisogna rincarare la dose, aggiungerci modalità fuori dall’ordinario. Per meritare una citazione sul Guinness dei Primati – reparto invettive – bisogna avere talento. Ed ecco che il campione del ramo, Beppe Grillo, ha saputo scegliere il posto migliore, Palermo, dinanzi ad una folla pronta ad applaudire, e un bersaglio di proporzioni gargantuesche. Non l’umile nemico politico, non il sindaco di una grande città, povera anima, e neppure il Presidente del Consiglio che con quella faccia, fosse il ragioniere della mafia, rischierebbe di essere sottopagato. Il riccioluto massimo rappresentante di questo genere letterario ha avuto il genio di scegliere l’insulto più cocente e l’obiettivo più totale, quello che ci riassume tutti perché è composto da tutti noi, lo Stato italiano: e lo ha colpito con queste parole, Ultima Thule dell’oltraggio: “la mafia non ha mai strangolato i suoi clienti, si limita a prendere il pizzo. Ma qua vediamo un’altra mafia [lo Stato] che strangola la sua vittima”. Applausi a scena aperta.

La mafia non ha mai strangolato i suoi clienti, dice il caro Beppe. Se manda i suoi picciotti ad esigere la “protezione” è perché quegli ignoranti dei negozianti non sanno usare l’internet banking e non fanno il regolare bonifico. Dovrebbero ringraziare, per il servizio a domicilio.

Dopo tanti anni di fin troppo sdegnate condanne della mafia, di cui alla fine si è fatto un mito, doveva venire Grillo per indurre anche chi non è aduso a seguire le mode a ricordare che essa è un fenomeno fin troppo triste e fin troppo serio. È un’organizzazione criminale che all’occasione uccide: sparando, pugnalando, facendo saltare in aria con l’esplosivo ed anche strangolando, ovviamente. Un sistema economico e per così dire casalingo usato anche per uccidere (e poi sciogliere il corpo nell’acido), dopo anni di prigionia, un ragazzino che aveva il solo torto di essere il figlio di un pentito. Ma per Grillo, nell’empito della sua perorazione, questi fatterelli di cronaca si possono dimenticare. Pinzillacchere.

Tutto questo solo per dire che lo Stato italiano è il peggio del peggio. Peggio della mafia. Peggio di Beppe Grillo.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

30 aprile 2012

SIAMO TUTTI MAFIOSIultima modifica: 2012-05-01T19:47:33+02:00da gianni.pardo
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