A CENA, DINANZI AL TELEVISORE

Lo studio della storia, a scuola, è noioso. Gli avvenimenti infatti sono sommariamente riassunti, disincarnati e per così dire dominati dal destino. Si scrive che il tale comandante ingaggiò la tale battaglia e vinse, oppure perse, come se le cose non sarebbero potute andare diversamente. È solo studiando la storia da vicino – cosa veramente appassionante – che si vede quanto essa sia frutto della casualità, dei rapporti umani, della differenza delle opinioni, ed anche degli errori commessi dai protagonisti. Tanto che il risultato finale appare soltanto uno dei possibili esiti, non l’unico.

Ciò malgrado, dopo tutti gli approfondimenti possibili, rimane il fatto che Annibale conseguì a Canne una strabiliante vittoria, e alla fine le sue iniziative portarono alla totale cancellazione di Cartagine. Dunque anche il punto di vista scolastico e sommario ha una sua validità: forse potrebbe dirsi che l’odio di Amilcare e di Annibale per Roma fu eccessivo ed autodistruttivo.

Per la storia che si fa sotto i nostri occhi – cioè per quel presente che ci raccontano i media – siamo tutti costretti alla visione minuziosa dello specialista. Ma se dedichiamo alla politica soltanto un’occhiata distratta, quell’attenzione diluita che residua dal badare a ciò che si mangia o a ciò che dicono i familiari, è possibile anche in questo campo guardare soltanto ai fatti importanti, prescindendo dai mille “Tizio ha detto” e “Caio gli ha risposto”. Con questa mentalità da uomo della strada che ha altro cui pensare, le attuali diatribe per Palazzo Chigi sono incomprensibili o assurde.

Partiamo dal fatto che abbiamo un governo presieduto da Enrico Letta. Ora ci dicono che esso dovrebbe essere sostituito da un governo presieduto da Matteo Renzi. Perfetto. La persona di buon senso immagina che il primo stia facendo male e il secondo farà bene, oppure che il primo abbia un programma e il secondo un programma totalmente diverso, o infine che il primo sia di un partito e il secondo di un altro partito. E invece niente di tutto questo. E allora perché cambiare? Perché toccare un equilibrio ereditato da prima che Forza Italia si spaccasse, e che oggi difficilmente potrebbe essere ricostituito nello stesso modo? Allora si trattava di un governo paritario, e infatti al governo – ancora oggi – ci sono gli stessi ministri dell’iniziale governo Letta, quando il Pd e Forza Italia avevano lo stesso peso. Viceversa, nel momento in cui Renzi dovesse costituire un nuovo governo, difficilmente potrebbe dare la metà dei posti, la Vice Presidenza e il Ministero dell’Interno ad una formazione residua e risicata: quel Nuovo Centro Destra che è lungi dall’avere lo stesso peso  elettorale del suo partito di provenienza. Se il nuovo Primo Ministro offrisse un solo dicastero o due, non è sicuro che quei signori che hanno rischiato l’accusa di traditori pur di non lasciare la poltrona, accetterebbero di andarsene solo per consentire a Renzi di cambiare la targhetta dell’inquilino sulla porta di Palazzo Chigi. E tuttavia, senza il loro sostegno al governo, Renzi non avrebbe una maggioranza. Sicché ci si chiede se valga la pena di correre questi rischi. Se Renzi ha in mente delle riforme – quella della legge elettorale e quella Senato innanzi tutto – da Segretario del Pd dovrebbe soltanto incaricare il Presidente del Consiglio – membro di quello stesso partito – di attuarle. Ché se poi Letta non potesse attuarle, non si vede perché dovrebbe esserne capace lui.

A meno che il suo piano non sia un altro. Farsi incaricare di formare il nuovo governo, non riuscirci, (facendolo magari apposta) per andare a nuove elezioni. E in questo caso quel telespettatore che a cena dedicava un’occhiata distratta al telegiornale, dirà semplicemente: “Beghe loro. Il Paese affonda e tutto il problema di cui riescono ad occuparsi è quello delle poltrone”. Gli si potrà dar torto?

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

12 febbraio 2014

A CENA, DINANZI AL TELEVISOREultima modifica: 2014-02-12T15:36:38+01:00da gianni.pardo
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