TEISMO ED ATEISMO

 

 

L’ateo è colui che non crede all’esistenza di alcuna divinità. Il teista occidentale non soltanto è convinto che esista un dio, ma che sia unico e personale. Il credente non nutrito di filosofia, in particolare ignorando la teoria di Aristotele, reputa un’evidenza che questo dio non soltanto abbia creato il mondo ma si occupi degli uomini, conosca le loro vicende e possa influenzarle e guidarle. Fino a parlare, col Cristianesimo, di Dio Padre. Molti ignorano che la stessa Chiesa, lungi dal reputare questa posizione un’evidenza, invece di farne una verità di ragione ne fa una verità di fede. Infatti l’idea che Dio si occupi degli uomini è il dogma della Divina Provvidenza.

Fin qui la teoria. Ma gli individui come si vivono queste posizioni? La prima risposta – sconsolante – potrebbero darla molti preti. Essi sono ogni giorno a contatto con persone che si dicono credenti ma di fatto considerano Dio come una sorta di super-amuleto. Né c’è da stupirsene: la sensibilità alle idee è generalmente bassa. Se si fa a qualcuno un ragionamento inoppugnabile in base al quale dovrebbe votare per il tale partito, oppure suicidarsi, oppure non sposarsi, si può star certi che voterà lo stesso per il partito del cuore, non si suiciderà e all’occasione si sposerà. Le idee sono un conto, la vita un altro conto.

Il problema si pone seriamente solo per i “passionali delle idee”. Cioè i pochi che le idee le prendono sul serio. Fra costoro i pessimisti divengono abulici, i credenti pensano di prendere i voti, gli arrabbiati divengono rivoluzionari. In questi casi la differenza fra il teista e l’ateo diviene drammatica.

Il teista crede di vivere in un mondo ordinato. Crede in un’indefettibile giustizia divina, tanto che perfino ciò che appare tragicamente inaccettabile un giorno troverà il suo riequilibrio. L’esistenza ha un senso perché è stata creata con uno scopo. Le norme del vivere sociale e la morale hanno piena giustificazione perché di origine divina. Il teista insomma vede il mondo “come dovrebbe essere”, anche se la parte negativa è spesso visibile e quella positiva è rimandata all’aldilà. Per l’ebreo, per il cristiano o per il musulmano la realtà non va avanti a caso. La catena causale – camicia di forza del miscredente – è un meccanismo che macina gli eventi soltanto finché Dio lo permette. E se lo permette è per ragioni di imperscrutabile, superiore saggezza. L’individuo comunque non è mai solo: non soltanto Dio veglia su di lui, ma perfino gli altri credenti – Umma o Corpo Mistico – formano con lui un’unità.

La visione del mondo di un ateo, se sa veramente che cosa significhi ateismo, è tutta l’opposto. La realtà è esclusivamente quella che si vede e non c’è niente dietro. Gli avvenimenti sono inseriti in un’inesorabile, meccanica, cieca e sorda catena causale. Miliardi di anni fa la Terra non c’era, fra miliardi di anni non ci sarà più. Ognuno proviene da un spermatozoo vincitore, per caso, di una corsa cui partecipavano in milioni. Essere mortali significa che “dopo”, saremo come eravamo “prima”. Cioè nulla. Tutto ciò che ci raccontiamo – non solo in materia di religione, ma anche di morale, di solidarietà, di umanità, di civiltà – vale finché non si alza la tempesta. Poi, se c’è veramente fame, si fa a botte per una pagnotta e se si tratta di sopravvivere si calpestano i più deboli. Grattiamo la superficie della società civile e appare una realtà animalesca, brutale, spietata. Assolutamente priva di senso. Ignoranti di astronomia, da millenni i popoli del Libro si raccontano la favola che Dio avrebbe creato l’immenso universo per quell’insignificante sassolino che chiamiamo Terra. Per loro tutto converge verso il nostro pianeta, il pianeta serve all’uomo e in particolare al singolo, anche se è l’ultimo degli ultimi.

L’uomo arriva a risibili illusioni prospettiche. Come quando si stupisce che un leone della savana, invece di saltare da un treppiede all’altro e ruggire a comando, possa sbranare un uomo. Quell’animale non sa che Dio l’ha creato per l’uomo e l’ha destinato al circo o allo zoo.

Quella dell’ateismo è una difficile vetta da scalare. Adolescente, mi è costato moltissimo accettare che il cielo fosse sgombro, che non ci fosse nessuno cui ricorrere, che nulla avesse un senso. E soprattutto non ne avesse alcuno la mia angoscia. Mi scopersi orfano e non adottabile, perché se non riuscivo a farmi illusioni su Dio, non potevo certo farmene su qualche fatuo sostituto.

Anni dopo vidi che un poeta francese, Jules Laforgue, aveva condensato in un distico la mia filosofia di vita: “Dinanzi alla tua spaventosa presenza, o Morte, sento che nessuno scopo vale nessuno sforzo”.

Gianni Pardo, pardo.ilcannocchiale.it

28 maggio 2014

 

 

 

TEISMO ED ATEISMOultima modifica: 2014-05-28T10:14:14+02:00da gianni.pardo
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