OBAMA AL CAPOLINEA

 

Ci sono parole che qualificano una persona. Proprio per questo, quando Barack Obama è comparso sulla scena con un messaggio puramente emotivo e formale, e gridando appassionatamente cose che non significavano nulla, le persone ragionevoli sono state più che allarmate. Quando poi si è scoperto che il suo slogan era “Yes we can”, la squalifica è stata irrimediabile: o era cretino lui o reputava cretini i suoi elettori. In questo secondo caso avendo in buona misura ragione, visto che poi è stato eletto.

Il tempo è passato. Obama ha ottenuto un secondo mandato e in questi giorni è in tale perdita di velocità che i candidati democratici alle elezioni non hanno affatto tenuto ad averlo accanto nella loro campagna elettorale. E tuttavia è giusto che qualcuno che non l’ama ne prenda le difese.

Gli Stati Uniti somigliano ad una famiglia che villeggiando in montagna passa il tempo a rimpiangere il mare. L’anno seguente va a passare l’estate al mare e rimpiange continuamente la casa in montagna. I due poli fra cui oscilla quella nazione sono l’interventismo e l’isolazionismo. Dopo che è prevalso l’interventismo, gli americani fanno il conto di quanti morti hanno avuto, di quanto gli è costato e degli insuccessi collezionati. Quando invece prevale l’isolazionismo, si lamentano della perdita di prestigio del loro grande Paese nel mondo, e della mancanza di coraggio quando si tratta di intervenire in nome del bene e contro il male. E accusano il loro Presidente di averli guidati verso la decadenza. È il caso di Barack Obama.

George Friedman, il fondatore e direttore della prestigiosissima Stratfor, non si stanca mai di ripetere che: “Normalmente il Presidente non domina la situazione. È la situazione che domina lui”. Ed aggiunge: “Personalmente sono sempre rimasto sbalordito quando i presidenti si vedono attribuire il merito di aver creato posti di lavoro o sono biasimati per alti tassi d’interesse. Secondo la nostra Costituzione, e in pratica, i presidenti hanno ben poca influenza su ambedue le cose”. Avrà certamente ragione, ma non dovrebbe dimenticare che i primi colpevoli di questo abbaglio sono gli stessi presidenti che, da candidati, simili cose promettono, dando a credere che un giorno potrebbero realizzarle. Il popolo non sa nulla degli interiora corporis del potere.

Gli Stati Uniti – chiunque sia il Presidente – da un lato hanno la necessità di avere la politica realistica di una grande potenza, dall’altro devono rendere conto di questa politica ad un popolo idealista. Un popolo capace da un lato di spingere il governo ad interventi militari per motivi morali, dall’altro a lamentarsi poi del prezzo pagato. Per giunta, anche quando l’azione militare sembra geopoliticamente giustificata, i Presidenti sanno che il risultato è sempre aleatorio.

Pare che abbiano chiesto ad Eisenhower a chi fosse da attribuire il successo dello sbarco in Normandia. E lui rispose: “Non lo so. Ma so che se non fosse riuscito si sarebbe detto che la colpa era mia”. Nel caso di George W.Bush, nessuno ha badato al fatto che, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, l’America non ne ha avuto di comparabili. Al contrario lo si è coperto di critiche per le guerre in Afghanistan e in Iraq. Uno dei migliori presidenti americani, Richard Nixon, è ricordato per il Watergate, non per la sua politica internazionale, di estrema lungimiranza e di grande successo. La stima va a John F.Kennedy, un presidente del tutto mediocre, ma bello.

Obama è stato il Presidente che gli americani hanno voluto, non qualcuno che li ha ingannati. Da quando è a Washington ha voluto essere il classico politico democratico: aperto al dialogo, pacifista, ecumenico. Come si è visto durante il suo primo e disastroso viaggio nel Vicino Oriente, o quando è stato un entusiasta della finta “Primavera araba”. Ha voluto essere morale, come quando ha detto che non avrebbe tollerato che Assad usasse i gas contro i ribelli, per poi scoprire quanto è difficile sapere la verità, in politica internazionale, e quanto, a volte, gli interessi cozzino con le ragioni morali. Oggi – solo perché non vogliono sporcarsi gli stivali – gli Stati Uniti bombardano gli avversari di Assad. Insomma tutti criticano Obama, negli Stati Uniti come in Europa, per le stesse ragioni per cui prima lo hanno apprezzato.

Fra un paio d’anni avremo un nuovo Presidente, nel quale riporremo parecchie speranze e dal quale saremo parecchio delusi. Anche perché la critica è più facile della lode. Truman sul momento fu colui che vinse la Guerra Mondiale, impedendo anche che decine di migliaia di soldati americani morissero per costringere il Giappone alla resa, oggi è quasi il criminale che ha sganciato le due uniche bombe atomiche che siano state usate in guerra.

Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it

3 novembre 2014

 

,

OBAMA AL CAPOLINEAultima modifica: 2014-11-04T11:23:11+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo