L’ISLAM E LA FRUSTRAZIONE DI MASSA

 

I successi sempre maggiori dell’estremismo islamico in troppi Paesi del Vicino Oriente (Siria, Iraq) e del Medio Oriente (Afghanistan, Pakistan) per non parlare dell’Africa (Libia, Nigeria, e per qualche tempo anche Egitto) richiedono una spiegazione che in termini di certezza è forse impossibile. Ma la formulazione di qualche ipotesi è  comunque utile.

Le probabili ragioni del secolare successo dell’Islàm, dall’Africa Occidentale fino al Sud Est asiatico, sono probabilmente due: una semplicità che lo rende comprensibile anche per i meno colti, e la sua astrattezza, col rifiuto di ogni forma di feticismo o di politeismo, che lo rende bene accetto agli intellettuali. L’Islamismo poggia su qualcosa di molto più universale delle complicazioni cristiane o induiste: il semplice bisogno di Dio. Anche quando è vietata, come è avvenuto nell’Unione Sovietica, i popoli non dimenticano la religione, e non appena sono liberi, anche settant’anni dopo riprendono a professarla.

Come il Cristianesimo, l’Islàm considera Dio onnipotente e onnisciente, e porta questo principio alle sue estreme conseguenze logiche: se un Dio misericordioso sa tutto e può tutto, l’uomo non ha il dovere di attivarsi per modificare il corso delle cose. Quando vanno malissimo se ne deve soltanto dedurre che Chi la sa più lunga di noi vuole che vadano in quel modo. Il nostro dovere rimane quello d’abbandonarci umilmente alla sua volontà: ché del resto è questo il significato della parola “Islàm”. Al massimo possiamo cercare di implorare la sua benevolenza prosternandoci fino a terra e adorandolo.

Queste caratteristiche, accoppiate alla naturale indolenza dei popoli che vivono nei Paesi caldi (lo sosteneva Montesquieu  nella sua “théorie des climats”) hanno fatto sì che molte nazioni musulmane non si siano attivate per migliorare la propria vita. La realtà è quella voluta da Dio, dunque è già la migliore possibile. E perché studiare, se l’essenziale che c’è da sapere sta nel Corano, come affermò il califfo Omar?

Per molti secoli la convivenza fra Cristianesimo ed Islàm, malgrado gli scontri militari, è stata sostanzialmente pacifica e i musulmani sono stati tradizionalmente tolleranti. Gli ebrei cacciati dalla Spagna nel 1492 furono accolti dall’Impero Ottomano e ancora un secolo fa in tutto il Maghreb la presenza degli “infedeli” non provocava la minima difficoltà. La lenta evoluzione che ha portato il mondo musulmano a contrapporsi al mondo occidentale, con connotati addirittura di odio, è recente, e forse ha avuto cause economiche. Finché l’Occidente cristiano non è stato molto più ricco dell’area musulmana, cioè finché non s’è avuta la rivoluzione industriale, gli islamici non hanno notato nessuna grande differenza fra il loro modo di vita e quello europeo. Quando invece il fossato si è allargato, con una progressiva accelerazione, il contrasto fra un mondo colto, prospero, possente, e un mondo ignorante, miserabile e imbelle, è divenuto veramente stridente. Il contrasto politico rimase contenuto finché ci fu l’Impero Ottomano, coinquilino e rivale di quello Asburgico, ma poi la Prima Guerra Mondiale certificò l’estrema decadenza e insignificanza dell’intera galassia musulmana. Cosa confermata dagli scontri titanici della Seconda Guerra Mondiale in cui  maomettani furono soltanto comparse. Forse allora divenne difficile accettare che tutto ciò avvenisse secondo la volontà di Dio. Pareva difficile ammettere che per tanto tempo, tanto platealmente e in tutte le direzioni, fossero favoriti gli infedeli.

A questo punto i seguaci del Profeta si posero inconsciamente un dilemma: o rinunciavano al principio dell’abbandono alla volontà di Dio, e dunque si rimboccavano le maniche, o al contrario dovevano ritrovare la dignità nella superiorità della loro fede. Scelsero questa seconda soluzione. Si crearono dunque una serie di dicotomie consolatorie: gli occidentali sono più ricchi, ma noi non badiamo ai vantaggi materiali; i cristiani se la spassano nel modo più immorale, noi abbiamo grandi valori che essi ignorano; gli infedeli si credono superiori perché sono più forti militarmente, noi siamo capaci di fargli paura perché siamo più valorosi e non temiamo di morire.

La frustrazione per la propria arretratezza ha trovato una soluzione immaginaria nell’estremismo religioso e al limite nel terrorismo. Ad esso sono infatti sfuggiti i Paesi più colti (Egitto, Marocco), quelli più ricchi (gli Emirati, ad esempio) quelli più forti (la Turchia), cioè quelli meno complessati. Mentre i Paesi più estremisti rimangono i più arretrati e i meno colti (Yemen, Afghanistan, Nigeria). Fra i musulmani in quanto individui, i più pericolosi sono i disadattati, sia nel loro proprio mondo (bin Laden), sia in Occidente (attentati in Spagna, a Londra e altrove).

A che cosa condurrà tutto ciò, lo si saprà nei decenni futuri: per il momento c’è soltanto da rinforzare le nostre difese. L’ideale sarebbe comunque che i musulmani scelgano: o accettano l’inferiorità economica cui li conduce il loro pio fatalismo, o vi rinunciano in favore di un’àlacre attività, come avvenuto in Asia.

Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it

15 novembre 2014

 

L’ISLAM E LA FRUSTRAZIONE DI MASSAultima modifica: 2014-11-17T10:27:39+01:00da gianni.pardo
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