IL “CAPORALATO” IN PUGLIA

Se si parla di lavoro nero, di lavoratori sottopagati, di sfruttamento di manodopera irregolare, e in particolare di immigranti privi di qualunque protezione, si scatena una tempesta morale. Come è giusto. Lo scandalo diviene poi indignazione collettiva se un giornaliero muore di fatica sotto il sole della Puglia. Ma il problema, oltre che morale, è economico. Ed anche di questo bisogna occuparsi.
Lo Stato è obbligato a dare regole all’economia, quanto meno per eliminare la concorrenza sleale, le truffe in commercio o l’offerta di merci pericolose per la salute. Inoltre è normale che lo Stato tassi la produzione e la commercializzazione dei prodotti, perché ha bisogno di denaro per funzionare. E la legislazione si occupa anche di molte altre cose: dalla sicurezza sul lavoro all’assistenza sanitaria dei lavoratori, dal loro trattamento di quiescenza ai contratti collettivi, e di tutta una seria di limiti e pesi che riducono il profitto e rendono più costosa la produzione. Nessuno teoricamente depreca questi limiti e questi pesi, certamente intesi a nobili fini: è soltanto quando la percentuale di ricchezza prelevata dallo Stato comincia ad apparire eccessiva che si comincia a parlare, soprattutto a proposito dei salari, del problema del “cuneo fiscale”.
Non si intende qui stabilire quale sia la misura ideale di questo “cuneo”. Dal punto di vista economico importa soltanto il suo effetto nell’economia italiana, soprattutto dal momento che esso è la causa indiretta di quel “caporalato” di cui tanto si parla. Chi entra nell’illegalità non soltanto beneficia della totale abolizione di quel cuneo ma anche del fatto che corrisponde una paga irrisoria ai lavoratori.
Anche l’osservanza della legge è sottoposta alle regole economiche. Se l’ammenda per l’eccesso di velocità fosse di dieci euro, sarebbe come se non ci fossero limiti di velocità. Se la contravvenzione fosse di cinquecento euro, e le probabilità di essere multati vicine al 100%, nessuno supererebbe i limiti di velocità. Se la contravvenzione è di cinquecento euro ma è applicata molto raramente, ecco entra in gioco la flessibilità economica. Chi non può disinvoltamente permettersi, nel caso, quella perdita economica, rispetterà i limiti. Chi è più benestante, o più incosciente, correrà il rischio.
E c’è di più. Se la ragione per correre è il mero piacere di “andare a tavoletta”, chi non vuole perdere occasionalmente una bella sommetta rispetterà i limiti. Se viceversa dalla velocità dipendesse un profitto comparabile al rischio dell’ammenda, molta gente correrebbe a rotta di collo. In altri termini, l’obbedienza alle leggi dipende in primo luogo dalla costanza e frequenza della loro applicazione, ma anche dal bilanciamento di costi e ricavi, rispetto all’osservanza o alla violazione. Se la tassazione è normale e i controlli funzionano, l’evasione fiscale sarà rara. Se la tassazione è da strozzinaggio e i controlli inefficaci, l’evasione sarà altissima. La realtà si muove fra questi estremi.
A queste stesse leggi obbedisce il lavoro nero. Nel caso delle campagne pugliesi è possibile che si finisca con lo scoprire che l’alternativa non è tra permettere o non permettere il caporalato, ma tra coltivare o non coltivare certi campi. Già molti anni fa – quando l’immigrazione era insignificante – la raccolta degli agrumi in Sicilia aveva un tale costo che spesso i proprietari lasciavano marcire i frutti sugli alberi. Dunque non è che si stia parlando di un fenomeno inverosimile. Se c’è un’offerta di lavoro eccessiva, un altissimo costo della manodopera e in più un sostanziale disprezzo per la legalità, si arriva alla situazione attuale.
Se il fenomeno fosse isolato, avremmo a che fare con un proprietario avido e sfruttatore. Ma quando il fenomeno è dilagante ci deve essere qualcosa di sbagliato nella situazione economica che si è creata. Certo non si vorrebbe che, per offrire a quei manovali un lavoro normale e ben pagato, si finisse col togliergli anche il miserabile lavoro che hanno attualmente.
Se si volesse fare qualcosa a favore dei lavoratori in nero delle campagne, magari dopo avere punito gli attuali “caporali”, bisognerebbe vedere come si potrebbe ottenere un compromesso che, con una paga all’incirca normale (cuneo fiscale incluso) permetta di non lasciare le campagne incolte. Impossibile rimane che gli agricoltori lavorino in perdita.
Una delle cause del problema attuale è anche avere ammesso nel Paese una manodopera così povera e “affamata” da accettare una retribuzione bassissima. Non è stupefacente che qualcuno ne approfitti. “Naturae non imperatur nisi parendo”, usava dire un amico: “alla natura non si comanda se non obbedendole”. E in economia è lo stesso. Perché le sue sono leggi di natura.
Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it
27 agosto 2015

IL “CAPORALATO” IN PUGLIAultima modifica: 2015-09-03T12:35:27+02:00da gianni.pardo
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