LA LOGICA DELLE LINGUE

Se c’è un pregiudizio immortale è che “la lingua è logica”. Alcuni docenti, dalle scuole elementari in su, sono talmente convinti di questo principio, che riescono a considerare degli stupidi i ragazzi che fanno errori. E invece nulla è più falso. La lingua è puramente convenzionale.
Inoltre impera una totale ignoranza in materia di fonologia. È inutile infierire sul bambino che scrive “stazzione”, perché è proprio con due “z” (in fonetica /sta’ttsjone/) che noi pronunciamo quella parola.
Se una “logica” ha la lingua, è quella della funzionalità. Per esempio nel senso che, se due parole sono tanto simili da provocare problemi, si ha una “dissimilazione”. In francese dal latino pullus (galletto) e pedunculus (pidocchio) sarebbe dovuto derivare “pou” per ambedue la parole, ma l’idea di dire che si mangia un pidocchio fece troppo schifo, sicché “pou” significò (e significa) pidocchio, mentre il pollo divenne “polletto”, “poulet”. E lo si poté mangiare senza storcere la bocca.
Viceversa, a proposito di “logica”, le lingue sono capaci di contraddirla tollerando ridondanze inverosimili, come l’eccesso di “segni di plurale” che si ha in italiano. Si prendano queste due frasi, in cui sono stati messi in maiuscolo (per la difficoltà di inserire corsivi o grassetti) le parole che indicano trattarsi di un plurale. In italiano: GLI ITALIANI ADULTI SANNO quanto PERICOLOSI SIANO GLI INCROCI DELLE AFFOLLATE STRADE URBANE, e la corrispondente traduzione in inglese: “Grownup ITALIANS KNOW how dangerous CROSSROADS of crowded urban STREETS ARE. L’italiano ha dodici plurali, l’inglese cinque, e non è meno chiaro. Dov’è la logica di quella sovrabbondanza? Ma le lingue sono convenzionali e di tutto ciò neanche ci accorgiamo.
Ma anche l’inglese ha le sue illogicità. La frase “il governo americano ha deciso che gli Stati Uniti rimarranno neutrali” in inglese si traduce così: “Il governo americano hanno deciso che gli Stati Uniti rimarrà neutrale”. Naturalmente adotta quest’espressione chi vuole porre l’accento sui membri del governo piuttosto che su quell’organo in astratto, ma lo stesso nessuno mai, in italiano, metterebbe il verbo al plurale con governo, comitato, squadra e simili.
L’uso della lingua è talmente “a orecchio” che si arriva a risultati comici. Stamani un politico ha detto che “stiamo assistendo al funerale di un’amministrazione al collasso”, che è come dire: “stiamo assistendo al funerale di un uomo svenuto”. Il tentativo di essere efficaci (che molti risolvono col turpiloquio) porta poi ad impensate esagerazioni, con conseguente usura delle parole e attenuazioni di senso. Géhenne (l’inferno) in francese una volta si usava per tormento. Poi, esagerando, si è usata la parola per indicare una noia, e a poco a poco la parola si annacquò fino a divenire “gêne”, che significa “fastidio”. Altro esempio: una volta “sans doute”, significava senza dubbio, poi si cominciò ad esagerare (“Dico senza dubbio ma intendo dire molto probabilmente”) e oggi per conseguenza chi vuole dire veramente “senza dubbio” è costretto a dire “Sans aucun doute”, “Senz’alcun dubbio”.
Né noi italiani siamo più logici. Non soltanto usiamo il singolare “qualche” per indicare un plurale (“Ho qualche amico, a Modena”) ma amiamo talmente esagerare che ormai impieghiamo l’espressione “vero e proprio” per indicare qualcosa che non lo è. Si dice: “La discussione si è trasformata in una vera e propria battaglia”, mentre nessuno mai direbbe che quella di Waterloo fu “una vera e propria battaglia”. O quello di Messina “un vero e proprio terremoto”.
Purtroppo la lingua si evolve (evolve, è di moda dire!) e troppo spesso nella direzione sbagliata. Il giornalista televisivo la cui carriera dipende da quanto è importante l’avvenimento al quale partecipa tende a gonfiarlo per gonfiare sé stesso. Una rissa in cui c’è scappato il morto è definita “un massacro”, dimenticando che il massacro richiede molti morti, non soltanto uno. E infatti è sinonimo di carneficina. E purtroppo, dal momento che, a forza di usarla, la parola comincia a perdere vigore, si passa a dire: “è stato un vero e proprio massacro”. E così il linguista rimane aggrappato alla parola “strage”, chiedendosi per quanto tempo ancora essa resisterà. Chissà, un giorno magari sentirà infliggere alle sue orecchie questa frase: “L’assassino, con un solo colpo di pistola, ha fatto strage della vittima”.
La logica non ha niente a che vedere con le lingue. La correttezza deriva dal livello di cultura, d’intelligenza e di buon gusto, ed è prova di queste qualità. La lingua è il biglietto da visita dell’anima.
Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it
25 ottobre 2015

LA LOGICA DELLE LINGUEultima modifica: 2015-10-26T12:40:02+01:00da gianni.pardo
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