IL LIBERO ARBITRIO

Il concetto di libertà – in quanto decisione immotivata – rischia di essere assurdo. Entra infatti in contraddizione col principio scientifico per il quale ogni effetto deve avere una causa. E se, al contrario, la decisione è motivata, con ciò stesso può dirsi che non sia libera, in quanto conseguenza di quei motivi.
Qualcuno può rispondere: “Io posso alzare questo braccio come potrei lasciarlo a riposo. Posso fare l’una o l’altra cosa. E ciò basta a non definire assurda la libertà”. Chi alza un braccio per dimostrare che è libero non si accorge che fa quel gesto proprio per dare quella dimostrazione. Ed è questa esigenza che lo determina a fare quel movimento.
Il violentatore commette il reato perché ne ha una gran voglia e soprattutto perché pensa che nessuno lo scoprirà. Se invece, pur avendone la stessa voglia, si astiene, lo fa perché gli hanno insegnato che è male; perché teme di essere scoperto;, perché reputa che non gli convenga. L’esitazione – cioè la ricerca del motivo per fare o non fare qualcosa – è un meccanismo così ovvio che si estende anche agli animali. Il leone non caccia sempre e comunque: caccia quando ha fame. E c’è un momento in cui dinanzi all’occasione di cacciare si chiederà se scomodarsi o aspettare la prossima preda. Un gatto permette agli umani di avvicinarsi fino a tre o quattro metri, poi si chiede se deve scappare o no. Ho visto gatti alzarsi e accennare a fuggire, pur continuando a guardarmi, perché speravano ancora di vedermi andar via.
La sensazione di libertà che abbiamo tutti è un’illusione soggettiva. Noi crediamo di essere giunti ad una certa decisione “volontariamente” e invece ci siamo giunti sulla base della nostra natura fisiologica, del nostro condizionamento, della nostra cultura, delle nostre esperienze, di tutto ciò che siamo e sappiamo. E infatti inevitabilmente decidiamo secondo ciò che ci sembra opportuno.
Il problema della libertà entra prepotentemente anche nel campo del diritto. Si può rimproverare a qualcuno la commissione di un reato in quanto si presuma che il colpevole ne sia “responsabile”, e avrebbe potuto comportarsi diversamente. Ma è proprio così?
Il colpevole di violenza carnale non avrebbe commesso il delitto se non fosse la persona che è. Se non avesse una certa concezione delle donne. Se, in una parola, non fosse uno squilibrato. La maggior parte di noi ha talvolta avuto la tentazione di superare i limiti di velocità, in autostrada, ma quanti di noi hanno avuto la tentazione di violentare una donna? E ciò ci conduce alla domanda: il violentatore è una persona moralmente colpevole o un selvaggio, un malato?
Il problema è tanto serio che nel diritto penale esiste l’assoluzione per infermità mentale. Quanto più un crimine è orrendo, tanto più alta è la probabilità che il colpevole non sia normale, e per conseguenza tanto più forte è la necessità di assolverlo. Che è poi esattamente il contrario di ciò che si sente la necessità di fare, data la gravità del fatto. Lo stesso giudice, al momento di assolverlo, non sente di potersi serenamente fidare degli psichiatri. Non che siano ignoranti o incompetenti, ma maneggiano una scienza che non offre sufficienti certezze.
Si deve dunque escludere il concetto di responsabilità dalle nostre vite? Nient’affatto. Infatti, riguardo al problema delle sanzioni per i cattivi comportamenti, è indimenticabile un vecchio aneddoto. Quando l’India era sotto la Corona britannica, un notabile locale cercò garbatamente di opporsi all’impiccagione di coloro che bruciavano le vedove sulla pira del marito asserendo che si trattava di una vecchia usanza. Il governatore l’ascoltò e infine, pur confermando l’Inghilterra rispettava le usanze dell’India, gli fece notare che anche l’India doveva rispettare le usanze inglesi: e una di queste era la consuetudine d’impiccare chi bruciava le vedove.
All’assassino si potrebbe dire che se lui non ha potuto non uccidere, noi non possiamo non chiuderlo per sempre in un penitenziario. Psicologicamente, nel momento in cui stabilisce una lunga pena detentiva per la violenza carnale, la società inserisce nel calcolo mentale del criminale un elemento deterrente di non secondaria importanza. Del resto, anche nella vita normale noi tutti, reagendo ai cattivi comportamenti degli altri, inseriamo nella loro mente il giusto concetto che forse gli conviene comportarsi meglio.
Insomma, in materia di libertà, non ci rimane che vivere “come se”. Come se fossimo liberi.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
3 marzo 2016

IL LIBERO ARBITRIOultima modifica: 2016-03-22T11:16:09+01:00da gianni.pardo
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