IL RIGETTO DEL BUONISMO E I POPULISTI

Descrivere un vasto fenomeno riguardante la propria epoca è difficile quasi quanto dire il colore di una scatola mentre ci si è chiusi dentro. I mutamenti della società sono molti lenti e dal momento che li viviamo giorno per giorno, è difficile coglierli, nel loro manifestarsi. Per esempio il “buonismo” sembra esserci sempre stato, e invece il lemma non esiste se non nei dizionari recentissimi. A quanto leggo, la parola è stata inventata da Ernesto Galli Della Loggia, nel gennaio del 1995, e in seguito ha avuto un successo enorme. Evidentemente i parlanti avevano bisogno di una unica parola che indicasse qualcosa cui si accenna spesso.
L’uso del termine è stato crescente come crescente è stato il fenomeno. Siamo stati sommersi dall’imperversare di eufemismi, fino a rendere insulti parole neutre come negro, minorato, demente. Ora ci sono soltanto neri, addirittura afro-americani, in America; il minorato è divenuto handicappato→disabile→diversamente abile, e probabilmente salto qualche passaggio; quanto al demente, è soltanto disturbato, anche se non si sa che cosa o chi lo disturbi.
Peggio è andata col sesso. La violenza carnale è un tremendo reato, ma si è arrivati a trasformare il corteggiamento, o un semplice complimento, in “molestia”, da molti equiparata alla violenza sessuale. Addirittura sono stati condannati parecchi uomini per aver fatto sesso con donne maggiorenni e consenzienti perché, essendo ubriache, il loro consenso era viziato dall’alcool. Come se io regalassi cinquanta euro a un mendicante, perché sono ubriaco, e poi lo facessi condannare per rapina.
È inutile enumerare i guasti del buonismo, perché tutti sappiamo come vanno le cose. Non si può più dare uno schiaffo al figlio maleducato, non si può dare del cretino a un alunno, né si sa con quali mezzi si può lecitamente far sì che un vivace pargoletto obbedisca a un ordine (sadico) del tipo: “Stai seduto”. Pare siano permesse soltanto le implorazioni e i miserere nobis, ma la legge non suggerisce nulla, nel caso non abbiano successo.
Naturalmente, mentre il fenomeno si ingigantiva, aumentava il numero dei renitenti alla leva. Prima soltanto le persone di notevole indipendenza di pensiero trovavano queste esagerazioni stucchevoli ma poi, nel chiuso delle loro case, moltissimi hanno cominciato a sbuffare. E infine ci si è accorti che gli esasperati erano più numerosi del percepito. L’ufficialità rimaneva intransigentemente buonista, i privati non ne potevano più. Per esempio nei confronti degli immigrati irregolari. Tanto che politici dotati di più grande fiuto hanno cavalcato con entusiasmo questa tigre, ricavandone voti e vantaggi.
È finalmente divenuto lecito essere cattivisti, parola che il correttore automatico mi segna in rosso come inesistente, mentre altrettanto non ha fatto con “buonismo”. Oggi, all’ennesima omelia del televisore, non è raro che il cittadino gli risponda: “Il dovere di aiutare gli altri? Io ho il dovere di aiutare la mia famiglia”.
La reazione al buonismo è stata tardiva (e per qualche verso furibonda) perché, dopo secoli di Cristianesimo e molti decenni di sinistra, è stato difficile confessare di essere stanchi di prediche. Qualunque persona perbene dà una mano al prossimo, se può, ma che questo sia divenuto un dovere universale, è eccessivo. È da idioti dire: “A molte migliaia di chilometri da qui, si stanno massacrando. E noi non facciamo nulla?” O anche: “Ci sono naufragi vicino alle coste della Libia, e noi non facciamo nulla?” Si ha voglia di passare al contrattacco: “Ma tu credi di fare qualcosa, parlandone?”
Forse la political correctness e il buonismo hanno fatto il loro tempo. E lo stesso trionfo dei partiti “populisti” potrebbe esserne un sintomo. Forse uno slogan come quello di Trump, “America first”, indica la rilegittimazione della normale auto-protezione. E anche Salvini, col suo “Prima gli italiani”, dimostra d’aver capito da che parte viene il vento. La gente ha voglia di rivolgersi a partiti non compromessi con quelli che hanno per tanto tempo occupato il governo e tutti i pulpiti della morale.
Speriamo che sia di nuovo lecito essere buoni non per obbligo di Stato, ma per dovere personale, sanzionato dalla nostra coscienza, non dal biasimo di un compunto giornalista televisivo. Uno che magari quel buonismo lo abbandonerà appena si allontanerà dalla telecamera.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
6 luglio 2018

IL RIGETTO DEL BUONISMO E I POPULISTIultima modifica: 2018-07-06T08:46:09+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “IL RIGETTO DEL BUONISMO E I POPULISTI

  1. “Forse la political correctness e il buonismo hanno fatto il loro tempo”

    Diciamo che (finalmente!) stanno trovando “pane per i loro denti”.
    Un particolare plauso allo spezzone di articolo dedicato alla critica della illiberale & inquisitoria facilità neo-femminista con cui oggi si lanciano indignate accuse (risalenti magari ad episodi di 15-20 anni prima e anche x questo motivo molto difficilmente comprovabili) di ‘molestia sessuale’ a partire magari da semplici espressioni di complimento, “ipso facto” arbitrariamente equiparate a stupri o a qlcs. di egualmente grave…

  2. Io rimango sempre impressionato dall’entusiasmo con cui la gente si accoda alle mode. L’idea di essere un gregario mi fa talmente schifo che, personalmente, devo lottare per non essere “contro” il mainstream per partito preso. Dunque veramente non capisco parecchia gente.

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