NORDIO E LA SCOPA NUOVA

In un articolo sul “Messaggero” Carlo Nordio, a proposito dell’inverosimile e contraddittoria congerie di leggi e di regolamenti che affligge l’Italia, segnala il caso dell’ArcelorMittal che potrebbe essere indagata ai sensi dell’art.499 C.p. perché ritirandosi avrebbe danneggiato la produzione industriale. Ma – attenzione – proseguendo l’attività rischierebbe di essere incriminata per crimini ambientali. Chiede Nordio: come volete che gli stranieri investano in Italia, se possono andare in galera per leggi che si contraddicono, e si concludono comunque col rischio della galera?
Oggi, da ogni parte, si inventano minacce contro l’ArcelorMittal, ma nel frattempo, si legge sull’Ansa che il Presidente del Consiglio Conte è disposto ad offrirle, purché resti, lo “scudo penale”, “un pacchetto di ammortizzatori sociali per oltre duemila lavoratori, uno sconto sugli affitti e anche la possibilità di un ingresso di Cassa depositi e prestiti nell’azionariato”. E una canzone. Da un lato si fa la voce grossa, dall’altro, si constata che l’Italia non ha alternative, al punto da offrire – probabilmente invano – ponti d’oro, purché ritorni, ad un’impresa che fino a ieri malediva.
In realtà, nulla compensa il rischio di operare in Italia. E infatti le imprese, italiane e straniere, se appena possono scappano via. Non soltanto qui si possono perdere decine di milioni, ed anzi centinaia, ma poi, se si riesce a fare dei profitti, si è maledetti per averli fatti. Da noi il datore di lavoro non deve ricavare nulla dall’impresa. È come per il padrone di casa: l’inquilino paga la pigione se e quando vuole, rischiando soltanto di essere sfrattato dopo anni ed anni. O anche mai, se ha con sé un invalido.
Il giudice Nordio afferma distesamente che l’Italia non ha strumenti per costringere l’ArcelorMittal a tornare a Taranto. Nemo ad factum cogi potest. Al massimo l’impresa rischia una multa o qualcosa del genere Qualcosa che – aggiungo – in confronto alle perdite accumulate è un’inezia.
E qui arrivo al nocciolo di questa pagina. La vicenda di Taranto mi strazia all’idea di migliaia e migliaia di famiglie poste improvvisamente di fronte alla tragedia della disoccupazione senza uscite; ma sono costretto ad una confessione di cui mi vergogno: per qualche verso me la godo. Si tratta di un’incompressibile “Schadenfreude” (piacere delle cose negative) derivante da molti decenni di frustrazione.
Immaginate un oncologo che, anno dopo anno. avverte un accanito fumatore che rischia di morire. Ma quello lo irride, gli mostra i suoi bicipiti, gli dice che ha una salute di ferro. Poi, quando infine, venti o trent’anni dopo, lo sciocco si ammala di cancro, quale eroe riuscirebbe a non dirgli: “Ma quante volte ti ho avvertito?”
Io sono vecchio e non so da quanti decenni vedo l’Italia che, di fronte ad ogni problema, spazza la polvere sotto il tappeto. Si contorce, rinvia, imbroglia. E infine passa la patata bollente all’erario, perché sistemi tutto a spese dei contribuenti. Da altrettanti decenni mi faccio il sangue acqua, e predico al vento, più inascoltato di Cassandra. Perché lei almeno era una principessa, e io non sono nessuno. Così da sempre vivo nella frustrazione di vedermi dar torto da tutti quando sostengo la Tavola Pitagorica e mi sento rispondere che essa è un pregiudizio borghese: l’Alitalia deve sopravvivere magari a spese di quelli che non hanno mai preso un aereo in vita loro. E che comunque spenderebbero meno con RyanAir. Ma già, in Italia sette per tre può fare qualunque cifra, anche duecentoventotto.
Da noi i fatti mi hanno dato infinite volte torto, in base al principio: “una soluzione si trova”. Stavolta invece – stavo per dire “finalmente” – l’Italia non può fare altri debiti, non può aumentare le tasse, non può nazionalizzare l’ex Ilva (non ha i soldi per farlo, e Bruxelles non lo permetterebbe) non può caricarsi il peso del reddito di ventimila nuovi disoccupati, e alle condizioni date per l’acciaieria non troverà mai un gestore o un acquirente. Stavolta si direbbe sette per tre non possa fare che ventuno. Non è un’occasione storica di godimento?
Ma è meglio non correre. L’Italia è alla frenetica ricerca di una scopa nuova per spazzare i problemi sotto il tappeto e, visto il genio italico, chissà che non la trovi. Io già non so più dove nascondere il mio magro portafogli.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

NORDIO E LA SCOPA NUOVAultima modifica: 2019-11-18T12:47:16+01:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “NORDIO E LA SCOPA NUOVA

  1. Manca solo John Woodcock….

    PROCURE NON D’ACCIAIO
    di Luciano Capone
    http://www.ilfoglio.it

    Il capo indagato della procura di Taranto che indaga su Ilva è lo stesso dei flop di Trani. Spunti utili per il Csm

    Roma. Nella drammatica situazione dell’Ilva, mancava solo l’arrivo delle associazioni dei consumatori a peggiorare le cose. Il Codacons ha infatti presentato alla procura di Taranto un esposto contro ArcelorMittal per “tentata estorsione”: in quanto “non si può subordinare la chiusura, l’apertura di un’impresa o la rescissione di un contratto alla modifica di una legge dello stato o per impedire un provvedimento legittimamente adottato da un magistrato penale”. Strano che il Codacons non abbia pensato al reato di “violenza o minaccia a un corpo dello stato”, perché in quel caso ci saremmo trovati di fronte alla trattativa stato-Ilva, che avrebbe prodotto un indotto letterario-giudiziario non indifferente. Iniziative del genere, che farebbero sorridere in qualsiasi altro contesto, vanno invece prese in grande considerazione a Taranto, dove gli investimenti e le attività dell’Ilva sono dal 2012 subordinate alle iniziative della magistratura, e dove a capo della procura c’è Carlo Maria Capristo.
    Capristo è arrivato a Taranto dopo essere stato procuratore capo di Trani, la cui guida è stata caratterizzata dalle inchieste sui fantomatici complotti delle agenzie di rating, nate proprio dagli esposti di alcune associazioni dei consumatori. Per anni sono stati chiamati come testimoni a Trani autorità nazionali e internazionali, statisti ed ex ministri, ma al netto del cospirazionismo che ha fatto riempire pagine di giornali, zero prove. I risultati della guerra alle multinazionali della finanza – che ha destato molto clamore in patria e altrettanta derisione all’estero – sono stati disastrosi, visto che tutti i processi alle agenzie di rating hanno portato all’assoluzione piena degli imputati.

    La procura di Trani guidata da Capristo è anche quella che ha avviato, sempre sulla base di alcuni esposti, una fragorosa inchiesta sui vaccini volta ad accertare la correlazione vaccini-autismo, destando ulteriore sconcerto in patria e all’estero. Dopo la finanza, l’obiettivo erano evidentemente le multinazionali farmaceutiche. E anche quella volta, dopo aver gettato benzina sul fuoco del complottismo antivaccinista, tutto finì nel nulla con un’archiviazione.

    Di esposti strani alla procura di Trani durante la gestione Capristo ne sono arrivati numerosi. Molti hanno causato guai giudiziari a tante persone innocenti, uno invece sta creando problemi a lui. Capristo è infatti indagato per abuso d’ufficio per una vicenda grave: il falso complotto Eni. Si tratta di una vicenda complicata, una sorta di depistaggio architettato dall’ex legale esterno Eni Piero Amara volto ad accusare due ex consiglieri indipendenti di Eni, Karina Litvack e Luigi Zingales, di aver ordito un complotto ai danni dell’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi e del suo predecessore Paolo Scaroni. Le accuse erano false e avevano lo scopo di destabilizzare un’altra inchiesta milanese sull’Eni. Il depistaggio è stato scoperto a Messina, dove hanno patteggiato per corruzione Amara e Giancarlo Longo, il magistrato che a Siracusa era al centro di un sistema di compravendita di sentenze e che aveva aperto il fascicolo sul falso complotto Eni. Ebbene, prima di rivolgersi al suo amico siracusano, Amara aveva inviato tre esposti anonimi a Trani. Ciò che la procura di Messina contesta a Capristo è l’anomala trasmissione degli atti a Siracusa (dove c’era il pm amico di Amara) anziché a Milano, naturale sede competente per il falso complotto. Capristo si è difeso dicendo che della trasmissione degli atti a Siracusa se ne erano occupati due suoi sostituti e che lui aveva semplicemente vistato la loro relazione. Il problema è che su questo punto è stato smentito dal suo sostituto, l’ex pm Antonio Savasta, che ha dichiarato ai magistrati messinesi che è stato Capristo a decidere il trasferimento del fascicolo a Siracusa. Savasta, a lungo collaboratore di Capristo, è tra l’altro un ex magistrato, in quanto ha ammesso di aver preso tangenti nell’ambito di un’inchiesta della procura di Lecce che ha scoperto un sistema di corruzione a Trani che ha portato all’arresto anche dell’ex gip Michele Nardi. In questo sistema corruttivo tra gli indagati c’è anche un altro ex pm della procura di Trani, Luigi Scimè, coinvolto come complice proprio da Savasta nelle sue confessioni.

    Nonostante le numerose denunce su questo vasto e diffuso sistema corruttivo, da capo della procura Capristo non si è mai accorto di nulla. La sua procura prendeva sul serio esposti completamente infondati e strampalati, ma ignorava quelli che denunciavano i delitti commessi nel palazzo di Giustizia. Escludendo qualsiasi ipotesi di complicità, Capristo non ha certo dato una grande prova di fiuto investigativo né di capacità gestionale al vertice di una procura ormai smantellata da indagini e arresti. D’altronde i risultati non proprio esaltanti a Trani non gli hanno impedito di essere premiato con la guida della procura di Taranto. Nella scelta del Csm, più delle doti investigative e gestionali di Capristo, ha probabilmente contato la sua militanza in Unicost, guidata dal suo amico Luca Palamara (protagonista dello scandalo sulle nomine del Csm). Ma non si tratta di un problema recente. Capristo infatti è diventato celebre negli anni Novanta per la sua inchiesta sull’incendio del teatro Petruzzelli di Bari nella quale, sulla base della testimonianza di un malato terminale di Aids incapace di articolare pensieri e parole, era stato arrestato l’ex gestore del teatro, Ferdinando Pinto, con l’accusa di aver commissionato il rogo alla mafia allo scopo di intascare i soldi dell’assicurazione. Dopo oltre 20 anni Pinto è stato completamente assolto. Nel frattempo Capristo è diventato prima capo della procura di Trani e ora di Taranto, e anche dalle sue iniziative – solo un mese fa ha scritto al Senato per manifestare la sua contrarietà allo scudo penale – dipendono il futuro dell’Ilva e la fuga di ArcelorMittal.

  2. Mi scuso per aver pubblicato il testo integrale al posto del link, ma l’articolo è per abbonati e il link non si sarebbe aperto.

    ” Oggi, da ogni parte, si inventano minacce contro l’ArcelorMittal,…”

    Caro Pardo, non me la sento, neanche per gioco, di difendere l’ex Ilva. Il solo pensiero di trovarmi dalla stessa parte di Di Maio, Lezzi, Emiliano, Landini e certi magistrati, mi fa star male.

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