RIFLETTENDO SUL MEDIO TERMINE

L’attuale maggioranza, oltre ad essere innaturale, ha recentemente vissuto una metamorfosi sostanziale. Quando i due partiti si sono associati, pur avendo il M5s perduto moltissimo dal marzo 2018, avevano più o meno lo stesso peso in termini di consenso nel Paese. Ma da allora il partito di Grillo è andato restringendosi come “La peau de chagrin” (la pelle di zigrino) di balzacchiana memoria, fino a non entrare nel consiglio della Regione Calabria e fino a fermarsi prima del 4% in Emilia. Una liquefazione che si avvia all’evaporazione.
È vero che in Parlamento i numeri non sono cambiati, ma nel Paese il Movimento è in stato di morte cerebrale e, se si staccano le macchine regolamentari che lo tengono in vita, quel trapasso sarà chiaro anche ai becchini. Il governo sta in piedi perché soprattutto i parlamentari del Movimento sanno che, se si andasse a nuove elezioni, la stragrande maggioranza di loro perderebbe seggio, stipendio e pensione. E non li rivedrebbe mai più. Formidabile interesse, certo, ma sufficiente per assicurare lunga vita all’esecutivo?
Anche ad ammettere che questo interesse sia indefettibile e inamovibile per loro, lo sarà anche per gli altri? In queste condizioni il potere contrattuale dei pentastellati è pressoché nullo. Hanno la fortuna di avere di fronte quel pacioccone di Zingaretti ma, se il capo del Pd fosse un politico come Matteo Renzi, si sentirebbero dire: “Sì, forse avete ragione, su questo punto. Ma in Parlamento comandiamo noi del Pd e si fa come diciamo noi. E se non vi piace fate cadere il governo”. È sicuro che Zingaretti continuerà a cercare il compromesso ad ogni costo, è sicuro che gli altri dirigenti del suo partito saranno pazienti quanto lui?
Tutti hanno sempre pensato che chi potrebbe “staccare la spina” al governo è Renzi, e che se non l’ha fatto fino ad ora è perché le sue attuali prospettive elettorali sono meno rosee di quel che avrebbe potuto sperare. Ma da quando il M5s si è avviato alla sparizione, il partito che potrebbe avere interesse a far cadere il governo è proprio il Pd.
Per questo bisogna prenderla un po’ più alla lontana. Finché in Italia il sistema è apparso tripolare, le alleanze possibili erano tre: centrodestra-M5s, centrosinistra-M5s e centrodestra-centrosinistra, essendo però quest’ultima coalizione esclusa da una tradizione che rimonta alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dunque chi voleva governare doveva acconciarsi a tentare di farlo con i pentastellati. Ma nel momento in cui costoro scompaiono dalla scena, si ritorna al bipolarismo di prima. E ovviamente il centrosinistra non può che coagularsi intorno al partito più forte: quel Partito Democratico che, se si votasse domani, non avrebbe certo bisogno di allearsi con i pentastellati. Ché anzi questa alleanza potrebbe essere assolutamente controindicata. Ed è facile vedere perché.
Il governo si regge in quanto, malgrado il calo di consensi nel Paese, “ha i numeri in Parlamento”. Ma – appunto – quel calo di consensi corrisponde a dire che, per gli italiani, quei parlamentari non sono più legittimati dal loro voto, e sono squalificati dal fatto di rimanere aggrappati alle poltrone esclusivamente per un interesse personale. Cosa che non mancherebbero di segnalargli col loro disprezzo, alle prime elezioni politiche.
In altri termini, più a lungo il Pd rimarrà al potere con loro, più salato sarà il conto da pagare alle prossime elezioni. Ma guardando lontano la situazione potrebbe essere vista diversamente. Fra un paio di mesi, scegliendo una buona occasione demagogica, il Pd fa cadere il governo, sostenendo che il M5s impedisce di fare ciò che è necessario alla nazione. Si torna a votare, il M5s sparisce e il centrodestra vince alla grande. Ma il Pd rappresenterebbe l’unica, seria opposizione e avrebbe buone possibilità di vincere alla grande alle successive elezioniI cinque anni di potere al centrodestra non sembrano in ogni caso evitabili.
Si potrebbe obiettare a questo schema che, appunto, esso è talmente fatale che non si vede perché il Pd dovrebbe provocare ora la crisi. Se la situazione rimane com’è per un paio d’anni ancora, una volta o l’altra si verificherebbe tutto ciò che si è previsto: e nel frattempo il Pd avrebbe governato per due anni in più. Giusto. Ma data la sua intrinseca fragilità il governo potrebbe cadere ben prima e il Pd non potrebbe più rifarsi una verginità, dicendo di avere eliminato un esecutivo irragionevole, dannoso per il Paese, composto in gran parte da incompetenti, e via dicendo. Più tempo rimane associato al ministro Bonafede, tanto per fare un nome, tanto peggio ne uscirà. Mentre se lo mandasse a casa per evitare l’obbrobrio dellabolizione della prescrizione, gli italiani potrebbero ricordarselo e tenerne conto. Raramente l’equazione del futuro ha avuto tante incognite.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com Scrivetemi i vostri commenti, mi farete piacere.
28 gennaio 2020

RIFLETTENDO SUL MEDIO TERMINEultima modifica: 2020-01-28T16:59:14+01:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “RIFLETTENDO SUL MEDIO TERMINE

  1. Il “pacioccone” non ha avuto il fegato di rifiutare il governo coi 5stelle quando avrebbe fatto un’ottima figura di fronte agli italiani, avrebbe mantenuto le promesse delle sue dichiarazioni di pochi mesi prima e, soprattutto, si sarebbe sbarazzato di un pericoloso avversario politico. Sospetto che c’entri il capo dello stato che non vuole la destra al potere, ma non è una dimostrazione né di coraggio, né di lungimiranza da parte di Zingaretti. Ora, professore, come può lei pensare che costui abbia tanta intelligenza politica, tanta pazienza e tanta dedizione al partito (fra 5 o 6 anni sarà ancora lui il segretario?) da attuare un simile piano?

  2. Tutto molto razionale, solo che i dirigenti del PD, come tutti i politici, non ragionano in una prospettiva di cinque anni, nel caso specifico perché tra cinque anni ci sarebbero altri dirigenti al loro posto. Loro pagherebbero personalmente il prezzo della sconfitta alle elezioni politiche: il fatto che questa sconfitta sia inevitabile è irrilevante.
    Quello che mi preoccupa del tirare a campare del governo è che sempre di più si vedranno costretti ad elargire mance, andando ad aggravare il già più che collaudato schema Ponzi delle nostre finanze pubbliche.

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