UN GATTO È UN GATTO

Se c’è un principio filosofico che sembra stupido – o quanto meno inutile – è il “principio di identità”. Che senso ha stabilire solennemente che “un gatto è un gatto”? E si può anche discutere l’utilità del più famoso sillogismo: “Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, Socrate è mortale”. Sarò straordinariamente colto, ma questo l’avevo capito prima che me lo dicesse Aristotele.
E tuttavia il principio di identità si potrebbe complicare se, seguendo la critica del concetto (dello stesso Socrate) ci chiedessimo che cos’è un gatto. Infatti, se non lo sapessimo, il principio d’identità diverrebbe: “una cosa che non so è una cosa che non so”. E sarebbe il colmo della tautologia, cioè delle perdite di tempo.
Senza scomodare le idee di Platone (che ha scambiato la generalizzazione per una sostanza) tutti abbiamo un’idea abbastanza approssimativa di ciò che è un gatto. E ciò basta per capirci quando diciamo gatto, chat, cat o quello che sia. Ma la cosa diviene più difficile in altri casi.
La nostra percezione della realtà è influenzata dalla nostra mentalità o, ancora peggio, dai nostri desideri. Quando diciamo che “il pappagallo parla” diciamo una sciocchezza, perché il pappagallo è capace di riprodurre dei suoni, ma non certo di parlare sapendo quello che dice. Non fosse altro perché gli manca, nel cervello, l’enorme centro del linguaggio che abbiano noi. Ma dal momento che gli abbiamo insegnato a dire “bentornato!” per noi è inconcepibile che, dicendo “bentornato!” non sappia che significhi “bentornato!”.
Noi tutti guardiamo la realtà e siamo sicuri di vederla com’è e di capirla. Per esempio siamo convinti che un’arancia sia di colore arancione. E invece è arancione per noi, che percepiamo i colori, ma non è arancione per gli animali che non percepiscono i colori. O che li percepiscono stravolti, rispetto ai nostri. Ma del resto, forse che noi vediamo l’ultravioletto? E tuttavia ci sono animali – credo le api – che l’ultravioletto lo vedono, e ci guarderebbero con atteggiamento di superiorità, se gli dicessimo che ad occhi nudo lì, per noi, non c’è nessuna luce. E vale anche in campo acustico. Noi crediamo di distinguere il rumore dal silenzio, e tuttavia in quello che chiamiamo silenzio ci possono essere ultrasuoni che i cani percepiscono e noi no. Ecco che l’affermazione “un suono è un suono” diviene più problematica di “un gatto è un gatto”. Perché il gatto, prevedibilmente, sarà tale per moltissimi altri animali, mentre un suono può esistere o non esistere nello stesso tempo. All’affermazione: “un suono è un suono” bisognerebbe rispondere con la domanda: “per chi?” Queste divagazioni potrebbero essere interpretate come semplice aneddotica ma in realtà il problema diviene sempre più serio a mano a mano che lo si approfondisce.
Per la stragrande maggioranza delle persone la realtà ha un senso. La loro vita ha uno scopo e comunque, a loro parere, c’è molto più da sapere, rispetto a quello che vediamo. Anche a rigettare in blocco la religione, il mistero è evidente. E queste cose – il senso, lo scopo della vita, l’ignoto, il mistero – è come se tutti le percepissero, talmente sono evidenti ed “oggettive”. Al punto che protestano contro chi le mette in dubbio. Dicono al contraddittore che chiude gli occhi all’evidenza, e non si accorgono che sono loro a farlo, e la loro evidenza è immaginaria.
Dolente: la vita assolutamente non ha scopo. E poi, lo scopo di chi? Non certo di noi, che non abbiamo nemmeno deciso di nascere. Ma le persone normali vedono ciò che vogliono vedere, anche se non esiste. Perché, se dovessero ammettere che non c’è nulla oltre quello che effettivamente vedono, per loro sarebbe troppo doloroso: “Allora la mia vita non avrebbe senso? E perché dovrei vivere, allora? Ma lei lo sa che ho avuto quattro figli, e ora sono tutti sposati? Lo sa quanto ho lavorato, in vita mia? Non le sembra che debba avere un senso, tutto questo?”
Con quale coraggio dimostrare a un galantuomo, che dice sciocchezze? Come spiegargli che starebbe a lui dimostrare lo scopo della vita degli esseri umani, non a noi dimostrare che non ha scopo? E che brutto, scoraggiante, assurdo non corrispondono a “falso”?
Ma è una discussione da evitare. A parte il fatto che l’uomo comune non lo convinceremo mai, ammesso che ne fossimo capaci, sarebbe una cattiveria. Perché porlo di fronte a questo immenso e schiacciante problema esistenziale? Meglio che continui a credere alle sue fantasie. Sì, la sua vita ha un senso. Il mondo ha un senso. Siamo circondati dal mistero. Magari c’è un Dio che un giorno farà giustizia. Mai togliere al prossimo le sue idee consolanti, c’è seduto sopra. “Non vedi che bella giornata? E potrebbe Dio non esistere?”
Certo, se piovesse…
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

26 aprile 2020

UN GATTO È UN GATTOultima modifica: 2020-04-27T07:51:57+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “UN GATTO È UN GATTO

  1. Il successo planetario che da millenni riscuotono le religioni dimostra, senza ombra di dubbio, che lo scopo della vita è dare un senso alla morte 🙂 .

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