GRANDI NOVITA’ NEL VICINO ORIENTE

La questione palestinese è nata in anni tanto lontani, da essere divenuta mitica. E tuttavia, a riprenderla per sommi capi, la si può riassumere tutta con due sole parole: orgoglio e frustrazione.
Nel 1948 l’Onu propose l’istituzione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese. Il piano prevedeva un assurdo geografico – lo spezzettamento dello Stato ebraico in due regioni separate – e tuttavia coloro che lo rigettarono, ricorrendo alle armi per “buttare a mare gli ebrei”, furono i palestinesi. E persero. Questo permise agli israeliani di creare il loro Stato, un Paese piccolissimo ma almeno non in due pezzi.
Questo episodio è l’archetipo dell’intera questione. Gli arabi hanno sempre peccato di un orgoglio eccessivo. Per la frustrazione che gli fa vedere qualunque compromesso con gli “infedeli” come una sconfitta, hanno sempre preteso tutto, non hanno offerto niente e in conclusione hanno perso tutto. Le più cocenti frustrazioni si sono accumulate. Gli alleati dei palestinesi hanno perso le guerre del ‘56, del ‘67, e del ‘73. In conseguenza delle persecuzioni subite nella Seconda Guerra Mondiale, gli ebrei sono divenuti tutti combattenti eroici, anche perché sanno di non doversi aspettare dal nemico la minima umanità. E poi sono superiori come disciplina e come tecnologia.
Nel 1973, favorito anche dall’audacia di un grande uomo come Anuar al Sadat, l’Egitto ha avuto il coraggio della realtà ed ha deciso che, almeno per quanto lo riguardava, ne aveva abbastanza. Così ha teso la mano ad Israele, ottenendo un accordo che da allora ha garantito la pace e, in una certa misura, anche la collaborazione.
Questa situazione di stallo è stata favorevolissima per Israele. Niente da temere dal Sinai. Niente da temere da est, perché la Giordania, infinitamente più debole di Israele, non soltanto non ha seri motivi di contrasto con Gerusalemme, ma dei palestinesi non ne vuole proprio sapere. Da loro le sono venuti soltanto fastidi, fino al famoso “Settembre Nero”, quando li ha preso a cannonate. Non basta. A costoro, che prima erano cittadini giordani, ha tolto anche la nazionalità.
I palestinesi sono una sorta di apolidi. Non hanno uno Stato (nemmeno uno Stato occupato) non hanno la sovranità, sono poveri e sono riusciti a farsi odiare. Israele non solo non li amministra ma, più che volerli occupare, ha eretto un muro invalicabile per tenerli lontani. Dei palestinesi, in realtà, non vuole saperne niente nessuno. Lo stesso Egitto ha da tempo rinunziato alla sovranità su Gaza.
Quanto alla frontiera Nord, da un lato il Libano ha una vocazione pacifista, dall’altro la Siria, per quanto bellicosa e anti-israeliana, è anch’essa stanca di guerre. Al punto che, dal momento che dal suo territorio partono attacchi iraniani contro Gerusalemme, tollera poi che l’aviazione israeliana compia autentici atti di guerra contro le basi iraniane in Siria. Sa che Israele agisce in condizione di legittima difesa e comunque, anche volendo, non può contrastarla. Le lezioni di quattro guerre sono state sufficienti. Malgrado tutto ciò, è sembrato per molto tempo che oltre gli accordi con Giordania ed Egitto non si potesse andare. Qual era l’ostacolo principale? La retorica e il tabù religioso.
Per la mentalità islamica, il mondo si divide in due parti: quello in cui c’è l’Islàm (dar al-Islam, la terra dell’Islàm) e quello in cui non c’è, ma ci dovrebbe essere l’Islàm (dar al-Harb). Quest’ultimo è infatti chiamato “la terra della guerra”, nel senso che i musulmani dovrebbero conquistarlo per convertire i vinti con la forza, secondo il programma di Maometto II, nel Settimo Secolo.
Se dunque gli adepti della jihad guerriera hanno tutto il diritto di versare il sangue degli infedeli in Francia, figurarsi se è tollerabile che una parte del sacro territorio islamico sia sotto il dominio ebraico. Ecco perché gli arabi non hanno nulla da offrire agli israeliani, se non l’esilio (dove?) o la morte.
Questa è la teoria. Ma qual è la pratica? La pratica è che gli arabi non hanno mai potuto far niente, per i palestinesi, se non perdere guerre in loro nome, fargli la carità, sostenerli a parole e incitarli all’intolleranza. E i palestinesi si sono lasciati manipolare. Gli arabi hanno sempre avuto interesse ad agitare la bandiera della guerra santa contro Israele perché essa è stata una delle poche cose su cui erano d’accordo. L’unica retorica unificante. E tutto questo è stato vero per una strabiliante quantità di anni, dal 1948 al 2020. Né si può dire che sia finita.
Ma qualcosa è cambiato. Per i palestinesi non è finita, ma gli altri ne hanno abbastanza. Dopo la Giordania e l’Egitto, anche gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e, cosa sorprendente, il Sudan, hanno stretto rapporti diplomatici con Israele, di fatto riconoscendola. Infine, notizia recentissima, al movimento si è accodato l’importantissimo Marocco. Non so quanto abbia influito in tutto ciò la risolutezza di Trump, certo la diga si è aperta. Tutti i Paesi che con Israele avevano buoni rapporti sottobanco ora potranno averli alla luce del sole e il cambiamento è impressionante. Anche perché Israele, soprattutto per gli standard locali, è una superpotenza militare, finanziaria e tecnologica. Dunque un partner prezioso. Infatti lo Stato più dispiaciuto, di questi sviluppi, sarà sicuramente l’Iran.
Ma qui si arriva ad una questione nodale. La riconciliazione vera tra musulmani ed ebrei si avrà, pubblicamente, quando stringeranno un accordo di pace Israele e l’Arabia Saudita. Ma è cosa possibile?
In teoria lnon dovrebbe essere difficile. I rapporti fra i due Paesi, quanto meno sottobanco, sono ottimi da decenni. Soprattutto da quando l’Iran sciita non ha nascosto le sue mire egemoniche sul Vicino Oriente. Dunque proprio per l’Aabia è essenziale avere come alleata la massima potenza militare regionale. Ma Riyad è la capitale del Vaticano maomettano, la custode dei luoghi santi e la meta del pellegrinaggio rituale. Il re saudita è il portabandiera dell’ortodossia. Come può rinnegarla? Come può stringere la mano del premier israeliano, metastasi ebraica nel sacro territorio dell’Islàm? Ciò ne danneggerebbe l’immagine in modo forse irreparabile, nel mondo. Dunque la sua esitazione è più che comprensibile. Oggettivamente tutto spinge l’Arabia Saudita a fare la pace con Israele; formalmente la cosa rimane assurda e rischiosa. Ma molto dipende dai futuri sviluppi.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
14 dicembre 2020

GRANDI NOVITA’ NEL VICINO ORIENTEultima modifica: 2020-12-14T15:29:39+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “GRANDI NOVITA’ NEL VICINO ORIENTE

  1. Dal “Jewish Insider”, 14/12/2020
    It made headlines around the world when Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu reportedly met face-to-face with Saudi Crown Prince Mohammed bin Salman in Neom, Saudi Arabia, late last month.
    While the Saudis denied the meeting took place, most observers are confident that the leaders did meet up, bolstered by flight tracking information showing a direct flight to the city from Israel. In a briefing with reporters last week announcing the normalization of ties between Israel and Morocco, senior White House advisor Jared Kushner said that a Saudi-Israel peace deal “is an inevitability.”
    But what exactly is on the horizon for the relationship? Could normalization really be around the corner? And what will change when the Biden administration assumes office?
    “There is, I suspect, much more cooperation than any of us know going on between” Israel and the Saudis, said Karen Elliott House, former publisher and managing editor of The Wall Street Journal and the author of On Saudi Arabia: Its People, Past, Religion, Fault Lines — and Future.
    House, who has visited Saudi Arabia dozens of times over more than 40 years, told JI that Iran is clearly the top agenda item for Netanyahu and bin Salman, but the two leaders share other common concerns.
    “[The Saudis] are very rightly enamored of Israeli technology, and I think they would like investments there,” she said. “I think that’s longer-term on the horizon — the Iranian issue is the pressing one.”

    Ha fatto notizia in tutto il mondo quando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe incontrato faccia a faccia il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman a Neom, in Arabia Saudita, alla fine del mese scorso.

    Mentre i sauditi hanno negato che l’incontro abbia avuto luogo, la maggior parte degli osservatori è fiduciosa che i leader si siano incontrati, sostenuti dalle informazioni sul monitoraggio dei voli che mostrano un volo diretto per la città proveniente da Israele. In un briefing con i giornalisti la scorsa settimana, che annunciava la normalizzazione dei legami tra Israele e Marocco, il consigliere senior della Casa Bianca Jared Kushner ha affermato che un accordo di pace saudita-israeliano “è inevitabile”.

    Ma cosa c’e’ all’orizzonte per il rapporto tra i due Stati? La normalizzazione potrebbe davvero essere dietro l’angolo? E cosa cambierà quando l’amministrazione Biden entrerà in carica?
    “Sospetto che ci sia molta più cooperazione in corso tra Israele ed i Sauditi di quanto nessuno di noi sappia”, ha affermato Karen Elliott House, ex editore e caporedattore del The Wall Street Journal e autore di “ Arabia Saudita: La gente, passato, religione, linee di errore e futuro.”
    Karen House, che ha visitato l’Arabia Saudita dozzine di volte in più di 40 anni, ha detto a Jewish Insider che l’Iran è chiaramente il primo punto all’ordine del giorno per Netanyahu e Bin Salman, ma i due leader condividono altre preoccupazioni in comune.
    “[I sauditi] sono giustamente innamorati della tecnologia israeliana, e penso che vorrebbero investimenti in Israele “, ha detto. “Penso che la cosa sia a lungo termine all’orizzonte – la questione iraniana è quella urgente”.

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