PERCHÉ L’ITALIA HA UNA BASSA PRODUTTIVITA’

Sono grato ad Occam per avere legittimato il pensiero semplice. Quel filosofo ha infatti sostenuto che, quando la soluzione di un problema appare evidente, bisogna prenderla in seria considerazione, perché non è improbabile che sia la giusta.
Questo principio, a mio parere, dovrebbe avere la sua massima applicazione in economia. Qui vediamo il successo costante della “economia della massaia” (cioè quella del buon senso e delle quattro operazioni) e il frequente insuccesso dell’“economia di Stato”, benché guidata da soloni della materia e dalle migliori teste politiche del Paese.
La “macroeconomia” segue le teorie dei grandi intellettuali, dispone della forza cogente dello Stato e dunque, operando nelle migliori condizioni, dovrebbe dare i migliori risultati. Di fatto non è così. Perché allo Stato manca il correttivo del mercato. L’artigiano incompetente, se sbaglia prezzi o qualità del suo lavoro, esce dal mercato, mentre gli Stati passano troppo spesso da un insuccesso all’altro, da una crisi all’altra e spesso se la cavano aggravando il peso del fisco sui veri produttori di ricchezza.
È partendo da queste considerazioni che provo ad affrontare un problema che angustia l’Italia. Perché essa ha una così bassa produttività? Perché, diversamente da altri Paesi, ha così poche imprese di grandi dimensioni? Perché è in una crisi economica interminabile, da cui non riesce ad uscire? Per giunta, probabilmente il Covid-19 l’aggraverà fino a livelli peggio che drammatici.
La mia risposta è molto semplice: l’Italia non funziona perché gli italiani non sono liberi di agire economicamente. Ed è inutile dare la colpa ai politici. Costoro, con i loro progetti dirigisti e collettivisti, si adeguano alla mentalità della gente. Se gli italiani, invece di essere scioccamente invidiosi e malevoli verso i ricchi, fossero autentici liberisti, anche i governanti lo sarebbero. Ecco perché qui non si ricerca un colpevole, ma soltanto la causa di un fenomeno.
Il primo fardello che paralizza l’economia è lo Stato stesso. Ha troppi dipendenti e non li giudica mai in base alla loro efficienza. E dunque essi sono indotti a fare pochissimo. L’impiegato allo sportello si suda lo stipendio al punto che forse dovrebbe essere pagato di più, mentre nelle stanze interne tanti passano il tempo a leggere il giornale, a parlare con i colleghi o andando a prendere il caffè. “Il dottore è fuori stanza”. Una burocrazia inefficiente lavora poco e quasi blocca il lavoro altrui. In questo hanno le loro colpe i sindacati, soprattutto quelli, potenti, di anni fa, quando molti ancora sognavano la rivoluzione comunista.
In Italia tutto è complicato. Quando identificano un problema, gli italiani credono di risolverlo con una nuova legge, più minuziosa delle precedenti, e il risultato è una foresta inestricabile di disposizioni che paralizza il Paese. Ed avviene anche che dei funzionari onesti, pur essendo in perfetta buona fede, fermino la macchina della nazione per paura di finire in galera mettendo una firma.
Lo Stato si impiccia di troppe cose e per farle ha bisogno di un mare di soldi. Il risultato è che opprime i cittadini con un carico fiscale eccessivo e contrae una tale quantità di debiti, che un giorno i cittadini lo stramalediranno, rimpiangendo di non poter impiccare molti degli illustri politici morti. Infatti essi dovranno pagare quei debiti, o patire le sofferenze inaudite di un default.
Lo Stato rapace sarebbe tollerabile se, con la sua azione, restituisse ai cittadini una gran parte della ricchezza sottratta. Purtroppo in concreto la sua azione si traduce in un grande danno per la nazione. E con questo arriviamo al nocciolo del problema: perché l’Italia produce poca ricchezza? Semplice: perché per i cittadini è estremamente difficile arricchirsi. Il fisco diviene punitivo non appena il reddito supera il minimo e per conseguenza l’operatore economico non tende a divenire un grande imprenditore. Perché, più produrrà, più lo Stato gli chiederà, trattandolo per giunta più da sfruttatore del prossimo che da benefattore della società. Gioca inoltre un elementare calcolo economico: data la progressività delle imposte, percentualmente meno si produce e meno si paga.
La redditività dell’impresa – e del singolo lavoratore – dipendono anche dal livello tecnologico della produzione. Se si ha un buon margine di guadagno, si adotteranno i macchinari e i metodi produttivi più moderni ed efficienti. Se invece si sopravvive a stento, ci si contenterà di macchinari obsoleti e metodi tradizionali di produzione.
Il nostro è uno Stato pronto a punire le imprese di grande successo e pronto a sostenere, con sussidi e nazionalizzazioni, le imprese decotte. Insomma punisce i capaci e premia gli incapaci. A questo punto penso che Occam mi darebbe ragione: l’Italia è povera perché odia la ricchezza e gli italiani non sono liberi di arricchirsi.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
20 dicembre 2020

PERCHÉ L’ITALIA HA UNA BASSA PRODUTTIVITA’ultima modifica: 2020-12-21T09:41:12+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

3 pensieri su “PERCHÉ L’ITALIA HA UNA BASSA PRODUTTIVITA’

  1. E’ probabile che la causa sia di origine culturale. Nei Paesi a tradizione protestante il profitto è segno della grazia divina, il danaro non è lo sterco del diavolo e il ricco non compete con la gomena. Per dirla con Occam : i protestanti hanno avuto Calvino, i cattolici Francesco d’Assisi. O è troppo semplice ?

  2. Io ho una modesta proposta linguistica da fare: la creazione di un neologismo. In italiano manca un termine specifico che designi gli eccessi della burocrazia. Gli inglesi hanno “red tape” per indicare la burocrazia “eccessiva”, “troppo lenta”, “perversa”. I Francesi, da parte loro, ricorrono a “paperasse” e “paperasserie” per designare gli eccessi burocratici delle scartoffie e della “modulistica”, termine quest’ultimo evocante la pornografia cartacea all’italiana.
    Cerchiamo allora anche noi – parlo seriamente – di distinguere semanticamente la burocrazia normale, anche se questa nel Belpaese non esiste ancora e forse non è mai esistita, dalla degenerazione di essa, ossia l’attuale burocrazia, a tal punto demenziale che giustificherebbe, da parte nostra, l’equivalente della presa della Bastiglia.
    Le parole sono spesso ambigue. Esiste, infatti, l’amore dei pedofili per le loro giovani vittime, ed esiste l’amore di mamma e papà per i figlioli. C’è amore e amore, insomma. Secondo me, nel campo dell’amministrazione pubblica italiana, esiste ed andrebbe identificato con un termine ad hoc l’equivalente, in campo burocratico, della pedofilia e del sadismo e della necrofilia. Abbiamo trovato il termine “fascismo” per designare ogni bruttura politica che veda oggi il giorno, troviamo allora un termine appropriato per designare il cancro burocratico inflittoci dai burocrati del “red tape” e della “paperasserie” che si sollazzano a nostre spese, trincerati nella loro Bastiglia.

I commenti sono chiusi.