REPETITA IUVANT?

Un caro amico mi ha fraternamente fatto notare che il governo e la politica italiana, per non parlare dell’epidemia, come argomento di editoriali, sono ripetitivi e noiosi. Cosa che costituisce un implicito invito a parlare d’altro. E poiché io la penso come lui, sarebbe normale non soltanto che gli dessi ragione, ma seguissi in concreto il suo consiglio, chiudendomi nel silenzio.
Purtroppo, il fatto che siamo in due a pensarla nello stesso modo non dimostra niente. Al contrario, qualcosa potrebbe dimostrare il fatto che tutti gli altri la pensano all’opposto. Me ne accorgo leggendo gli editoriali dei principali quotidiani. Se i giornali si occupano di questo, è segno che di questo i loro lettori vogliono che gli si parli.
Vale anche per l’epidemia. Magari sarò il solo in Italia a trovare questo argomento insopportabilmente noioso – soprattutto nel momento in cui, andando su qualunque canale, si parla di questo – ma è ovvio che, dopo mesi e mesi, i telespettatori non si sono stancati di numeri, virologi e infettivologi. L’argomento è noioso per alcuni, non lo è per molti.
Qui però devo essere chiaro. Quando dico noioso non dico poco importante. Dico che, sapendo quali sono le precauzioni da prendere, se uno le ha prese, non ha molto altro da sapere. Quanto ai rischi, una volta che ha evitato quelli che poteva evitare, e limitato quelli che non poteva evitare, che altro c’è da sapere o da discutere? Né serve a molto stare a sottolineare ciò che il governo ha fatto bene e ciò che il governo ha fatto male, ché tanto non cambierà comportamento sulla base di ciò che pensa il telespettatore. O persino l’editorialista di rango. “Sei scontento dell’attuale governo? Al prossimo giro, vota per qualcun altro e amen”.
Ma tutti questi ragionamenti sono armi spuntate. Perché non si tratta di una questione teorica. Se il criterio fosse culturale, ascoltare infiniti dibattiti sull’epidemia non ci trasformerebbe in competenti di epidemiologia. Dunque il talk show, in questo senso, è inutile. Ma se il criterio, invece di essere culturale, fosse – come è – emotivo, e si trattasse di preoccupazione per la propria salute, di paura per i propri cari, di ansia per il futuro ed anche per il proprio reddito – allora di certe cose non si parlerà mai abbastanza.
E lo stesso vale per la politica. Gli attori in commedia sono spesso dei “cani”, come si dice nel gergo del teatro, il canovaccio che recitano sembra scritto da un demente, ma rimane il fatto che ciò che decide quella compagnia di guitti determina il nostro presente e il nostro futuro. Anche in questo campo la mia noia ha però una possente giustificazione: non credo a una parola di ciò che dicono i politici, non credo ci sia nulla che possa salvare l’Italia e per giunta da anni ormai non mi sento più di versare una lacrima sulla sua sorte. E in questo sono favorito dalla mia età. Il futuro non mi riguarderà e se, come dice un detto francese, “come si fa il proprio letto, così si dorme”, io non sarò il compagno di letto di nessuno. E il mio letto, finché dura, non è malaccio.
Qui normalmente dovrei mettere punto e la firma. Ma non mi sentirei onesto, se lo facessi. Non è vero che non m’importa niente di tutti gli altri. Fra tutti gli altri ci sono tante persone cui voglio bene, e voglio bene anche agli sconosciuti senza fisime, che non chiedevano altro che di vivere, indisturbati, del proprio lavoro. Ma non c’è modo di salvare l’umanità dalla sua follia. Per anni ho chiesto a destra e a manca le cause della Prima Guerra Mondiale, visto che non le capivo, e per anni non sono stato soddisfatto delle risposte. Tanto che infine ho letto un intero libro sulle cause della Prima Guerra Mondiale, ricavandone soltanto di poter dire: le cause furono molte e la principale di esse fu l’incoscienza. Basti dire che tutti pensavano che sarebbe stata una guerra lampo, coronata dalla vittoria. L’unica cosa che posso fare, è cercare di definire che cosa intendo per follia umana.
Gli uomini non credono a ciò che hanno sotto gli occhi ma pressoché sempre, e in qualche caso a rischio della loro vita, a ciò che non esiste e in particolare a un futuro fulgido e felice. Per questo quasi ogni guerra comincia con manifestazioni di giubilo in piazza. Soltanto i militari sono seriamente preoccupati, perché hanno studiato polemologia. Ma il popolo pensa sempre alla svolta, al riscatto, al trionfo. La Germania degli Anni Trenta soffriva della propria sconfitta, della propria frustrazione e delle proprie difficoltà economiche ed ha creduto di risolvere tutti i problemi con un solo colpo di poker, dando le carte a Hitler. Sappiamo com’è finita.
Quanto all’Italia, da moltissimi decenni crede a Babbo Natale, ai pasti gratis, alla possibilità di tutti di vivere a spese degli altri (quali altri, se abbiamo detto “tutti”?). Per questo ha rinunziato una volta per tutte alla mentalità “ragionieristica”. Quella di chi – come gli odiati svizzeri – fa di conto, non fa il passo più lungo della gamba, e chiede a tutti piuttosto severamente di fare il loro dovere, prima di parlare di diritti. Gente dappoco, questi svizzeri.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
24/12/2020 – Buon Natale

REPETITA IUVANT?ultima modifica: 2020-12-24T08:41:32+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “REPETITA IUVANT?

  1. “Gli uomini non credono a ciò che hanno sotto gli occhi ma pressoché sempre, e in qualche caso a rischio della loro vita, a ciò che non esiste e in particolare a un futuro fulgido e felice.”. Mi pare che con ciò Lei rimproveri all’umanità (nel suo complesso) un difetto di razionalità. Ma da quali elementi Lei può inferire che l’umanità, nel suo complesso, DEBBA essere dotata di razionalità? Essa rappresenta un’eccezione, forse un’anomalia. E non ce lo assicurano certo i progressi nella scienza (per i quali sappiamo “tutto” su un virus ma non come mai un dito ha forma cilindrica e non esagonale; e abbiamo 3 ipotesi diverse sull’origine dell’universo: argomento di lancinante interesse) e nella tecnica, su cui ci raccomandano di doverci difendere dal rischio che la “superintelligente IA” governi o distrugga la stessa umanità. Talvolta mi viene il dubbio che il colibrì, l’ape e la formica, ma anche il capodoglio e il ratto, siano più razionali. Il loro difetto è che non hanno profeti, evangelisti e filosofi che ne abbiano dichiarato la superiorita “costituzionale”. Ma si sono privati delle poesie d’amore; tuttavia, non mi sentirei di escludere che nelle fogne vi siano degli Jacques Brel con lunghi baffi.

  2. Io non dico che l’umanità debba essere razionale, ché anzi credo di sapere che sia piuttosto emotiva ed abbia una visione deformata (antropomorfica) della realtà. Mi basterebbe che non credesse di essere razionale.

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