POLITICA FOLLE

NOTA LEGALE
(Cartello appeso dietro la mia porta)
Questo appartamento è in regola con il recente divieto dell’Onu di detenere
ARMI ATOMICHE.
Con riserva di cambiare la nostra legge se e quando avremo bisogno dell’“atomica”

POLITICA FOLLE
Non so quale sia la definizione scientifica di follia, o malattia mentale che dir si voglia. E può perfino darsi che non esista. Del resto un mio amico psichiatra, interrogato su che cos’è l’intelligenza. mi ha dato questa definizione ironica: “Quella cosa che misurano i test di intelligenza”. Forse proprio per dire che non sappiamo come definirla e che quella misurazione è arbitraria. Cosa che consolerà molti, incluso me, che non saprei dire quale numero segue la serie: “1.2.3.5.8…”.
Né ci fa progredire l’espressione “malattia mentale”. Al pazzo non sono certamente i piedi, che fanno male. Così, personalmente mi accontento di una definizione “gebastelt”, come direbbero i tedeschi, cioè fatta in casa, magari con legno, chiodi e fil di ferro: per me la follia è “un più o meno grave distacco dalla realtà”. Il fobico si rifiuta di entrare in ascensore e fa cinque piani a piedi, ma dopo tutto ha soltanto un leggero distacco dalla realtà. Peggio vanno le cose per lo schizofrenico, colui che dialoga con personaggi immaginari che vede e sente. Si pensi al film: “A Beautiful Mind”.
Per scansare la follia, mi sono dato da ragazzo delle regole ferree: per cominciare, uno scetticismo pregiudiziale. Mai credere a qualcuno sulla parola, non tanto perché il prossimo sia bugiardo, quanto perché è credulone. Prestare fede alla scienza ma soltanto quando, su qualcosa, esiste un pressoché universale consenso. Reputare per principio inverosimile, e probabilmente falso, tutto ciò che appare irragionevole. E al contrario accettare per vero anche ciò che è assolutamente orribile, se dimostrato. Mai dire: “È troppo brutto per essere vero” perché questo è un modo sicuro per deragliare. Se molti tedeschi non avessero seguito questo assurdo principio, si sarebbero accorti prima della Shoah. Né mi si deve infastidire con pensose allusioni al mistero che ci circonda. Il mistero non dimostra niente. La scienza comincia quando il mistero si dirada, non quando lo si constata.
Tutto ciò posto, è ovvio che essere religiosi è una forma di malattia mentale. Benigna, nel caso del Cristianesimo, maligna – visto soprattutto come è interpretata in concreto – in qualche altro caso. Ma su questo punto non mi dilungherò, per non urtare la sensibilità di alcuni amici. E infatti passo alla politica, per dire subito che essere di sinistra è una forma di malattia mentale. Anche se, in qualche caso, una nobilissima forma di malattia mentale.
La politica è l’arte di governare la polis, cioè la nostra vita associata. Per conseguenza, avendo mentalità scientifica, la politica deve partire dalla reale natura degli esseri da governare. Se, invece di governare degli esseri umani, si trattasse di pesci, di tutto si potrebbe discutere, salvo se sia opportuno o no che essi vivano in acqua. Se gli esseri umani sono pressoché tutti egoisti, si può concepire una politica fondata sull’altruismo e la solidarietà? Assolutamente no. Eppure ciò è avvenuto. Si pensi al socialismo idealistico nella Francia dell’Ottocento, con i suoi falansteri.
Ecco perché le teorie della sinistra sono adatte a persone che soffrono di qualche distacco dalla realtà. L’idealista non parte da ciò che è, ma da ciò che dovrebbe essere. E se la situazione non corrisponde a ciò che lui vorrebbe – magari pensando agli altri, non a sé stesso – si dà come programma di modificare le cose. Uno slancio così risoluto verso il meglio entusiasmerà qualche giovane, ed anche – sia detto senza ironia – qualche anima pura, ma per lo psichiatra è il sintomo di una malattia che si spera di curare, senza nessuna garanzia di guarigione.
Pensavo che una famosa citazione fosse di Lenin ma, come spesso accade, Lenin citava un altro pazzo. Hegel ha scritto: “Wenn die Tatsachen nicht mit der Theorie übereinstimmen, umso schlimmer für die Tatsachen”, se i fatti non corrispondono alla teoria, tanto peggio per i fatti”. E così si capisce perché Hegel è stato il maestro di Marx.
Quella è una frase da manicomio eppure in suo nome milioni e milioni di persone nel mondo sono morte. Soltanto perché il sogno irrealistico della sinistra era bellissimo e costituiva una radiosa speranza. Anche quando si uccideva un terzo della popolazione, come è avvenuto in Cambogia.
Ecco il vero discrimine tra sinistra e buon senso. La sinistra non accetta il mondo com’è. Si rifiuta di accettare che esso è irrimediabilmente “cattivo”. Nella giungla o nella savana è in corso da tempo immemorabile una lotta per la sopravvivenza di tutti contro tutti, vegetali inclusi, in cui non si fanno prigionieri, in cui ci si mangia a vicenda, magari mentre la preda è ancora viva. E del resto, moltissimi pesci si cibano di altri pesci. Vivi.
Se la politica si occupasse di impedire il peggio, fra gli uomini (per esempio furto e omicidio) e per il resto li lasciasse essere come sono, farebbe meno danni. Il regime sovietico non aveva il programma di affamare i russi, ma è quello che ha fatto. E altrettanto ed anche più efficacemente, nel provocare la morte per fame, ha funzionato la dittatura di Mao Tse Tung. Viceversa, nel mondo capitalistico e più spietato che io conosco, cioè la Svizzera, il livello medio della popolazione è fra i più alti del mondo.
Non è un problema di politica, è un problema di aderenza alla realtà. In guerra, negli ospedali da campo, i medici soccorrono chi ha maggiori possibilità di sopravvivere e lasciano morire l’altro. È triste ed è inevitabile. Ma parlatene con qualcuno di sinistra e vi dirà che: “È inammissibile. Bisogna salvarli tutti e due. Non m’interessa come, dovete salvarli tutti e due”. Ecco, agli uomini di sinistra basta la soluzione teorica. E tanto peggio per i fatti.
Purtroppo la follia vincerà sempre la sua guerra contro la razionalità. Perché il cervello dell’uomo è fatto per la follia, non per la realtà. E non si correggerà mai. Le persone sane di mente sono una minoranza e, democraticamente, hanno torto.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
21/01/2021

POLITICA FOLLEultima modifica: 2021-01-22T08:35:17+01:00da gianni.pardo
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8 pensieri su “POLITICA FOLLE

  1. Post bellissimo, professore, uno dei suoi migliori in assoluto.

    Quanto alla definizione di intelligenza, io suggerirei di adottare questa: L’intelligenza è la capacità di prevedere razionalmente il futuro.

    Sono convinto, infatti, che più una persona è intelligente, più sarà capace di prevedere correttamente gli sviluppi del mondo che lo circonda e conportarsi nel modo migliore.
    Per contro, meno una persona è intelligente, più facilmente crederà alle previsioni fantasiose degli oroscopi e delle fattucchiere.

  2. Un caro corrispondente, Alessandro Zucchelli, mi invia questo succoso commento.
    Buona giornata e grazie per i contributi quotidiani alla riflessione ed all’informazione.

    Per la cronaca, “quella cosa che misurano i test di intelligenza” è una frase attribuita a Binet (Alfred Binet – Wikipedia) che fu incaricato dal governo francese di trovare soluzioni al problema del rendimento scolastico nelle scuole appena divenute obbligatorie e statali. Il problema dell’intelligenza non era mai stato affrontato scientificamente, prima e, a mio parere, occorre tener ben presente il motivo per cui è stata tirata fuori dai cassetti della scienza: a quei tempi, di fronte ad un Pierino di scarso rendimento scolastico, si voleva sapere se il motivo fosse disciplinare o patologico, ed il test di intelligenza mirava a togliere i dubbi: se su domande non scolastiche, Pierino rispondeva bene, allora era pericoloso, e bisognava fermarlo con disciplina ferrea.

    Kes Un secondo impulso allo studio dell’intelligenza è stato dato dalla prima guerra mondiale, in USA: non esistendo sistema di leva obbligatoria, e dovendo definire velocemente i livelli gerarchici, R. Yerkes (Robert Yerkes – Wikipedia) è stato incaricato di realizzare un sistema adeguato per definire i gradi militari di ingresso nell’esercito in partenza per la guerra: nacque così il famoso “Army Alpha”, seguito da altri test più sofisticati. Avendo gli USA vinto la guerra, chi era diventato capitano o colonnello grazie ai risultati del test ha chiesto, ed ottenuto, che i propri figli venissero fin da piccoli sottoposti a questo tipo di misure, per non perdere tempo in formazioni scolastiche inutili, e mirare subito a ciò che fosse più adatto. Ovviamente, dato che la vittoria non era dipesa solo dai ruoli gerarchici ma, almeno, anche dai finanziamenti e dalle decisioni politiche, il sogno di sapere se il figlio di tre anni sarebbe diventato un grande ingegnere piuttosto che un principe del foro, ha continuato ad infrangersi con fallimenti più o meno significativi, ma gli istituti di psicologia americani hanno continuato imperterriti nello studio di questa funzione della personalità tanto complessa, cui corrisponde un organo ancor più complesso, il cervello, composto da poco meno di duecento miliardi di cellule col compito di decidere (circa 171 miliardi di neuroni).

    Di conseguenza si è proseguito nella costruzione di test e di associazioni di intelligenti, a partire dal Mensa, dimenticando molto spesso di cercare una definizione efficace di intelligenza. Direi che, a fronte dell’importanza data al problema, le definizioni (per esempio presentate qui da Wikipedia: Intelligenza – Wikipedia) sono piuttosto deludenti. Quella che preferisco, che mi era stata citata dal prof. C. Scarpellini (Prof. Don Costante Scarpellini – L’Amico in Affitto (amico-in-affitto.com)) come dovuta a Wechsler (David Wechsler – Wikipedia) è: l’abilità risultante dalle capacità di 1) cogliere il problema – 2) immaginarne diverse soluzioni, – 3) scegliere la più conveniente – 4) [nel minor tempo possibile].

    Ho messo la quarta capacità tra parentesi, perché è più funzionale al test che non alla realtà: in realtà, spesso il tempo impiegato per una soluzione migliore fa risparmiare il tempi per correggere le conseguenze di soluzioni peggiori.

    Questa definizione di intelligenza mi accompagna da una quarantina d’anni, e mi piace studiarla e approfondirla. Oggi ritengo che l’intelligenza sia un falso problema, non a caso ignorato dai saggi dell’antichità, che fossero orientali o occidentali, una soluzione provvisoria a problemi storici ma che nulla ha a che vedere con i problemi umani, tanto che qualcuno, ostinatamente legato a questo concetto, è andato addirittura ad inventare l’intelligenza emotiva.

    Da quello che ho visto, riflettendo su questo tema, l’intelligenza è un’abilità fluida, differente non solo rispetto al settore in cui viene applicata, ma addirittura in costante variazione, come ho cercato di evidenziare in un articolino (I cani non sono più quelli di una volta. – L’Amico in Affitto (amico-in-affitto.com)), anche per gli animali. A mio parere, quindi, l’intelligenza si rileva dalla capacità concreta di risolvere i problemi, dal risultato conseguito, e non è un valore stabile, quindi ha poco senso misurarla, mentre sarebbe più utile porre l’attenzione su come fare a continuare ad aumentare le abilità necessarie per risolvere i problemi che interessano maggiormente.

    Cordiali saluti e ancora grazie per il contributo quotidiano alla consapevolezza ed alla maturazione!

    Alessandro Zucchelli

    Blog: https://amico-in-affitto.com/

  3. Forse “sinistra” può voler dire impedire che gli uomini si sbranino (nelle varie gradazioni), vivi, tra di loro?
    Sì, è vero, è un principio dannatamente “etico”; etica che tuttavia possiedono anche gli animali, e in particolare i primati, e in particolare gli scimpanzè, e i simpaticissimi bonobo. Un buon numero di studi etologici lo afferma e lo dimostra (ma anche per gli elefanti). E pare che gli uomini siano una loro “derivazione”. Certo, un ramo di “pazzia” c’è, quando ad esempio si afferma il principio del “socorso” a chi “sta male”: non se ne vede il vantaggio, a livello sia individuale che collettivo.

  4. Il disegno della globalizzazione e dell’omologazione planetaria, con l’abbattimento delle frontiere, perseguito dai nostri “ingegneri” non tiene conto dei caratteri imprescindibili della natura umana.

    La frenesia dell’omologazione globale di popoli e civiltà che anima i nostri buonisti, con l’abbattimento (a senso unico) delle frontiere e con l’apertura al Diverso, incarnazione del bene assoluto – in Italia si batte ogni record in questa operazione di auto-svilimento – è basata su un’idea falsa dell’essere umano, considerato interscambiabile e inoltre malleabile e ristrutturabile in funzione di un mondo senza frontiere e senza radici. In questo senso operano alacremente le nostre élite mondialiste, che si direbbe intendano riprogrammare la natura umana attraverso i loro piani di social engineering. Questi piani mondialisti farebbe sorridere – oso credere – il grande etnologo francese Claude Lévi Strauss, profondo conoscitore dell’uomo, e che a suo tempo espresse interessanti idee al riguardo.
    Egli disse, innanzitutto, che il termine « scienze » nell’espressione « scienze umane e sociali » è in fondo un’impostura, perché tali scienze lavorano solo sulla superficie delle cose. Ma quando si studia l’uomo vi è da sapere che « dietro vi sono realtà piu’ profonde, di ordine neurologico e biologico. »
    Nel 1971 Lévi Strauss, nel corso della conferenza intitolata « Razza e cultura », tenuta all’UNESCO, oso’ dire che vi era differenza tra razzismo e xenofobia. Spiegherà in seguito cosi’ la sua presa di posizione, allora tanto criticata:
    « Reagii contro la tendenza che consiste nel banalizzare la nozione del razzismo – dottrina falsa ma precisa – e che consiste altresi’ nel denunciare come razzisti l’attaccamento a determinati valori e la non predilezione per altri valori (atteggiamenti scusabili o biasimevoli, ma profondamente radicati nella comunità umane). »
    Insomma, proprio come dice anche il professor Pardo, si dovrebbe tener conto dell’uomo qual egli è, e non quale egli dovrebbe essere. Io aggiungerei che l’uomo puo’ essere lentamente « migliorato » ma non certo trasformato ossia « rivoluzionato » cambiandone i meccanismi psicologici fondamentali, quasi fosse un robot. Ma i nostri rivoluzionari rossi vi hanno provato, andandoci giu’ pesante, ossia facendo innumerevoli vittime, ma con risultati all’incontrario. Ed oggi, per risanare, rieducare (democraticamente), far tornare alla normalità i popoli che hanno vissuto sotto un regime comunista occorrono un paio di generazioni. Il gran male che il comunismo arreca è di causare danni alla fibra morale della gente, che si abitua alla menzogna, al calcolo opportunistico, al rispetto timoroso della Nomenklatura, e all’esistenza di due verità: quella ufficiale e quella ufficiosa. Dico cio’ basandomi sulla mia esperienza diretta del fenomeno, avendo conosciuto (molto da vicino e in un caso, di cui pago ancora il prezzo, « troppo da vicino » un esemplare cresciuto nel pollaio ungherese), gli ex sudditi dei regimi comunisti.
    Secondo l’antropologo Lévi Strauss « l’umanità ha saputo trovare la sua originalità solo in un certo equilibrio tra isolamento e comunicazione. Era necessario che le culture comunicassero, altrimenti si sarebbero sclerotizzate. Tuttavia, non dovevano comunicare troppo rapidamente per darsi il tempo di assimilare, di far proprio quello che attingevano all’esterno. La scommessa è che, secondo me, questo continuerà. » Egli previde che « man mano che vedremo l’umanità omogeneizzarsi, al suo interno si creeranno nuove differenze. » E indico’ nella proliferazioni delle sette in California e nella « crescente difficoltà di comunicazione tra le generazioni » i primi sintomi di questo fenomeno.
    Piu’ la società si fa grossa – spiego’- e meno trasparente e permeabile diviene al suo interno. Io vedo questo nella proliferazione, in un Occidente troppo omogeneizzato (all’americana) del fenomeno del multiculturalismo e del “comunitarismo”, che spezzettano la Nazione in clan, comunità etno-religiose, centri di interesse, movimenti, sette, gruppi transnazionali…
    Secondo Lévi Strauss, la lotta « contro ogni forma di discriminazione”, in apparenza lodevole, si inscrive nella stessa dinamica che « convoglia l’umanità verso una civiltà mondiale, distruttrice di quei vecchi particolarismi ai quali spetta l’onore di aver creato i valori estetici e spirituali che aggiungono valore alla vita , e che noi raccogliamo preziosamente nelle biblioteche e nei musei perché ci sentiamo di meno in meno capaci di produrli. »
    Disse inoltre che « L’etnologo esita a credere, benché vi si senta spinto da ogni dove, che la diffusione del sapere e lo sviluppo della comunicazione tra gli uomini riusciranno un giorno a farli vivere in buona armonia, nell’accettazione e nel rispetto della loro diversità »

  5. E che dire della lotta, senza esclusioni di colpi, che i politici ingaggiano per aggiudicarsi l’incarico di curatori fallimentari dell’Italia ?

  6. Sarei curioso di sapere che cosa si intende per “omogeneizzazione”, che cosa si intende per “globalizzazione”, se ognuna di esse è monocromatica e quando e come la loro esistenza eventualmente ci fa comodo (“perdio, quanto mi fa comodo, e quanto vorrei che ce ne fosse di più”). E se, per caso, simili caratteri si sono verificati anche in un lontano passato (seppur indicati con nomi diversi), con grande disgusto di saggi dell’epoca.

  7. È vero, i termini globalismo, globalizzazione, mondialismo, mondializzazione – di cui l’omologazione, l’ omogeneizzazione ossia l’appiattimento sono l’inevitabile conseguenza – possono essere intesi in vari sensi. Io con tali termini mi riferisco al modello unico di uomo, di società, di stili, di valori… che è in fase avanzata in Europa, ma anche nel resto del mondo. Vedi ad esempio i guasti operati sulle varie culture dal modello unico americano anche in campo musicale – il tema è di attualità con Sanremo – con il « rap » (termine che è pronunciato in Italia “alla barese”: reeep…). Mi riferisco , insomma, al frullato di culture e di popoli.
    Emmanuel Todd « “Non è la mondializzazione a dissolvere le nazioni, ma è l’autodissoluzione delle nazioni a produrre la mondializzazione. »
    Chantal Delsol : “Questa Europa che rinnega le sue radici per non dispiacere ai suoi nuovi ospiti dispiacerebbe certamente ai propri padri fondatori. »

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