IL M5S: SI’ O NO A DRAGHI

I pentastellati hanno la bava alla bocca, pensando di aver perso Palazzo Chigi. Fanno pensare alla famosa frase latina (da una lettera di San Pietro, Nuovo Testamento): sono “Tamquam leo rugiens, circuit, quaerens quem devoret” cioè simili ad un leone ruggente, che va in giro, chiedendosi chi divorerà. Beppe Grillo dice “No a Draghi, sì a Conte”, come chi, mentre sulla ghigliottina il corpo di Luigi XVI è ancora caldo, gridasse: “Viva la monarchia!”
Intendiamoci, questo genere di reazione umana è più corrente che non si creda. Quando un avvenimento è troppo emotivamente coinvolgente per essere dominato, troppo improvviso e negativo per essere accettato, la reazione di rigetto è naturale. In questi casi i francesi esclamano un irrefrenabile e patetico: “C’est pas possible!” Quasi che, negando la possibilità di un fatto, se ne potesse negare la realtà.
Ma non bisogna infierire su chi ha perso. Piuttosto che irridere il Movimento 5 Stelle, cerchiamo di comprenderne la reazione. I deputati e i senatori pentastellati rappresentano la maggioranza relativa del Parlamento. Dal momento che si sono presentati come estranei alla destra e alla sinistra, potevano allearsi sia con l’una sia con l’altra, come in effetti hanno fatto, ma sembrava a loro – ed anche a tutti gli altri – che non si potesse costituire una maggioranza senza di loro. La legislatura in corso, di riffa o di raffa, non poteva che essere la legislatura del partito di Beppe Grillo.
Questa convinzione è stata così forte che, mentre andavano avanti i (più o meno finti) negoziati con i renziani per il programma di un eventuale Conte 3, il M5s non ha fatto nessuna concessione. I renziani volevano cambiare il premier? E loro rispondevano: “Conte è fuori discussione e non si tocca”. I renziani volevano il Mes, e loro ripetavano: “Non se ne parla”. Italia Viva voleva togliere il ministro Bonafede dal Ministero della Giustizia e la risposta era un rotondo no. Anzi, era “no” su tutta la linea. Come si spiega?
Si spiega col fatto che, anche nel corso dei recenti negoziati, i “grillini” si sono ritenuti talmente forti, talmente indispensabili, che credevano di avere fatto un’offerta più che generosa, a Italia Viva, permettendole di rientrare nella maggioranza. Del resto, se Italia Viva non l’avesse accettata, andando a nuove elezioni avrebbe rischiato di sparire, e comunque i suoi adepti avrebbero perso poltrona e stipendio. Dunque non avevano che da piegarsi. I Cinque Stelle erano talmente convinti di tutto questo da non concepire né che le cose stessero diversamente, né che qualcuno potesse avere il coraggio di buttare tutto all’aria.
Poco fa si è parlato della morte di Luigi XVI, ma è opportuno citarlo per un episodio precedente. Mentre la folla rumoreggiava sotto le sue finestre, chiese a un dignitario: “Ma che cos’è, un moto di piazza?” “No, Sire, gli rispose l’altro. È una rivoluzione”. La domanda del re si spiega con l’inconcepibilità, per il sovrano (per giunta assoluto) di concepire una rivoluzione. E nello stesso modo, quando Grillo dice: “No a Draghi, sì a Conte” è come se un nobile, vedendo la ghigliottina in Place de la Révolution (oggi della “Concorde”), la scambiasse per un palco in occasione della festa del Santo Patrono.
La verità è che la caduta del governo Conte i Cinque Stelle non l’avevano mai messa nel conto. Anche perché l’esperienza glielo dimostrava: caduto il Conte 1 si era fatto il Conte 2 ed ora, caduto il Conte 2, non rimaneva che costituire il Conte 3. L’intendance suivra, per continuare con la Francia. E invece non erano le salmerie, quelle che seguivano, era il famoso cigno nero, l’imprevisto negativo: il no di Renzi e compagni che ha portato il Paese a un governo tecnico e, in mancanza, a quelle nuove elezioni che prima tolgono un terzo dei parlamentari, e poi due terzi degli eletti “grillini”. Cento meno un terzo 66, meno due terzi 22. Insomma dei pentastellati, se si va ad elezioni, ne rimarrà all’incirca uno su cinque o poco più. Un disastro. No, niente Draghi, meglio il governo Conte, con qualunque numero. Solo che il poveretto è politicamente morto, e non c’è esorcismo che possa farlo resuscitare.
Ora come andrà? Lo sa Iddio. “Interpretare la nuova fase non sembra facile per nessuno”, come scrive Massimo Franco sul “Corriere della Sera”. Ma se i “grillini” hanno un briciolo di buon senso (molti ne dubitano) si acconceranno alla nuova situazione. Invece di condannarsi immediatamente all’irrilevanza cercando di contrastare la marea che, con tutti i distinguo e le esitazioni del caso, seguirà Draghi, dovrebbero proclamarsene i primi sostenitori. Formalmente per il bene del Paese e sostanzialmente per conservare posti di governo. Ma Giove rende pazzi coloro che vuol perdere.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
4 febbraio 2021

IL M5S: SI’ O NO A DRAGHIultima modifica: 2021-02-04T12:27:29+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “IL M5S: SI’ O NO A DRAGHI

  1. Francamente non auguro fortuna al governo Draghi volendo augurarla a me. In fondo è una emanazione dagli stessi poteri europeisti che emanano Mario Monti. Non sarà ricercato il bene dell’ Italia, ma la sua addomesticazione adducendo ciò come bene. Già in stato avanzato dato che non siamo padroni neanche della moneta…

    Chissà se Draghi avrà da protestare per il fatto che in questa fase Monti è stato fatto senatore a vita o forse si accontenterà di essere prossimo presidente della repubblica predestinato.

I commenti sono chiusi.