IL MOMENTO DI PARLARE DI DRAGHI

Questo è il momento di parlare di Draghi. Prima che abbia un grande successo o che fallisca la sua missione, in modo da non essere influenzati da questi risultati.
Personalmente ho per lui una grande simpatia. Innanzi tutto perché, essendo molto conosciuto e stimato in Europa, per una volta mi dà la possibilità di essere fiero di un compatriota. Poi perché – anche questo è raro – in parecchie occasioni, non che essere compatito, è stato temuto. E l’ultima volta che qualcuno proveniente dalla penisola è stato temuto è stato Giulio Cesare.
Un’altra ragione di simpatia è che, per le sue qualità, fa pensare all’“inglese” del mito: sobrietà, laconicità, understatement, invariabile cortesia unita ad una taciuta e temibile “capacità guerriera”. E tutto questo senza iattanza o boria. Un sorriso mite, quasi volesse far notare che è lì, per dovere, e preferirebbe essere a casa sua. Infine – qualcuno sorriderà – perché, non alto e minuto com’è, riscatta gli uomini di piccola statura. Zittisce perfino quel giovialone pieno di umanità di Marco Travaglio che infatti non l’ha mai chiamato “psiconano”. Anche perché – in questo esattamente come Berlusconi – psichicamente Draghi è tutt’altro che un nano.
Ma il Draghi di cui dobbiamo occuparci non è quello incaricato di formare il nuovo governo: per questo dobbiamo aspettare i risultati. Al massimo questa esperienza sarà interessante per vedere in che modo un personaggio come lui può relazionarsi con la realtà italiana. E allora ricominciamo da capo.
Per la gente normale Archimede è quello che ha gridato “Èureka” e Machiavelli colui per il quale “Il fine giustifica i mezzi”. Anche se, in realtà, quest’ultimo quella frase lui non l’ha mai né detta né scritta. Nello stesso modo Draghi è colui che, nel 2011, ha detto che avrebbe salvato l’euro “Whatever it takes”. E infatti ciò che lo caratterizza è quell’“A qualunque costo” che forse costituisce il nocciolo della sua teoria economica.
Mario Draghi è una persona seria, intelligente, competente ed è per giunta un grande pragmatico. Purtroppo ciò non gli impedisce di essere keynesiano. Per questo, quando nel 2011 i mercati sono andati all’assalto dell’Italia, non si è chiesto se essi stessero certificando il suo reale fallimento economico ma come potesse impedire qualcosa che, economicamente, si era già verificata. Ma andiamo avanti. La risposta del suo Keynes è stata: tutto si può risolvere “mettendo in circolazione enormi quantità di moneta”. Quali che possano essere i costi dell’operazione. Ma era la risposta giusta?
Che potesse non esserlo, lo dimostra la stessa espressione “Whatever it takes”. Perché “Whatever” significa che il costo potrebbe anche essere altissimo, esorbitante, giustificato soltanto dalla disperazione. Ma – ecco dove comincia la mia critica a Draghi – un prezzo quale che sia va pagato soltanto se siamo sicuri che l’alternativa sia ancora più cara. Ed è questo ciò di cui non sono sicuro.
Se la manovra keynesiana riuscisse in tutti i casi, dopo l’intervento dell’estate del 2011 (e non oltre) l’Italia avrebbe dovuto rimettersi in moto, lo spread con i titoli tedeschi sarebbe dovuto scendere a livelli normali, e il tutto si sarebbe dovuto dimenticare come una congiuntura negativa. Purtroppo l’esperienza dice che le cose nonv stanno così. Il moltiplicatore keynesiano una volta funziona e nove no, ad essere generosi. Dunque, se si accettassero le lezioni dell’esperienza, anche a tentare quella manovra, bisognerebbe smettere di insistere ad applicarla non appena si vedesse che non sta funzionando. Ma – per quanto ne so, e confesso di non saperne molto – il fatto non si è mai verificato. Tanto da far pensare che per molti la teoria di Keynes non sia quella di dare una momentanea sferzata all’economia, ma quella di spendere il denaro che non si ha (deficit spending) a tempo indeterminato e in quantità indeterminate. Che è poi quello che ha fatto anche Draghi.
Finché è stato alla Banca Centrale Europea, ha continuato a finanziare l’Italia, facendo finta di comprare i suoi titoli e addirittura rimborsandole gli interessi simbolici da essa pagati. Dunque non è stato un keynesiano classico, si è soltanto preoccupato di fornire all’Italia denaro fresco di stampa, frutto di inflazione invisibile. Invisibile perché è vero che l’euro non si è svalutato, ma senza l’intervento della Bce si sarebbe rivalutato di altrettanto. E infatti la generosità della Bce si è avuta a spese degli altri membri dell’eurozona. Perché noi siamo stati i principali beneficiari di quel denaro immaginario.
E non basta. Per tenere bassi i tassi d’interesse la Bce per molti anni, e ancora oggi, ha concesso prestiti a tassi puramente simbolici. Ma questi tassi hanno letteralmente eliminato la rimunerazione del risparmio privato, nel senso che i privati non hanno più ricevuto un interesse, per i loro capitali. Prova ne sia che il residuo è rimasto inattivo sui conti correnti o si è spostato sull’azionario. È per questa ragione che, mentre noi italiani a momenti mettiamo Mario Draghi sull’altare, in Germania l’opinione pubblica lo ama più o meno quanto uno scorpione nella scarpa.
Ecco che cosa rimprovero a Draghi. Avere reso un luogo comune la legittimità del deficit spending. E infatti, quando la signora Lagarde, succedendo a Draghi, ha parlato di interrompere il flusso di denaro da quella banca, l’Europa intera si è allarmata e lei ha dovuto fare una precipitosa marcia indietro. Prima Draghi ha cominciato a spendere all’impazzata, poi, quando la Lagarde si è accorta del pericolo, è stato troppo tardi: ormai non si riesce a smettere, come nella favola dell’apprendista stregone. Draghi avrebbe fatto un capolavoro se avesse risolto il problema italiano: di fatto ne ha soltanto rinviato la soluzione, nel frattempo aggravandolo.
Se qualcuno si chiedesse che cosa, a mio parere, sarebbe stato opportuno fare, nel 2011, ecco la mia risposta. Negare la realtà non serve a niente, perché alla fine prevale sempre la realtà. E in quel momento la realtà è che l’Italia era fallita. Dunque bisognava accompagnarla garbatamente fuori dall’euro, sottoscrivere un concordato preventivo con i creditori, e aspettare che l’Italia si riprendesse da sola, con la sua lira, corrispondente a una frazione di euro. Soluzione sbagliata? E sia. Ma lo è anche quella di spazzare la polvere sotto il tappeto.
Ecco perché sono tutt’altro che sicuro che Draghi riuscirà a tirare fuori l’Italia dal guaio in cui si è messa con la politica demenziale degli ultimi decenni. E in particolare dell’ultimo anno. Le ragioni del più nero pessimismo sono due. Draghi è convinto che fare debiti sia una buona cosa, ed io sono convinto che – alla resa dei conti – è una pessima cosa. In particolare nel caso in cui, come è vero per l’Italia, non si è in grado di pagare. Né è gran consolazione sapere che nella stessa situazione si trovano molti altri Stati, a partire dall’America. Questo significa soltanto che, alla resa dei conti, non saremo gli unici a soffrire.
Inoltre seppure è vero che Draghi è un pragmatico molto competente, e potrebbe pensare a qualche buona soluzione, rimane altrettanto vero che, se tentasse di attuarla si troverebbe contro tutti i partiti e l’intera Italia. Col risultato finale che non caverà un ragno da un buco.
Per salvare l’Italia, Draghi ha probabilmente la ricetta sbagliata. Ma se anche avesse quella giusta, non ci riuscirebbe lo stesso.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
8 febbraio 2021

IL MOMENTO DI PARLARE DI DRAGHIultima modifica: 2021-02-08T15:06:23+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “IL MOMENTO DI PARLARE DI DRAGHI

  1. Diceva Einstein che è più difficile spezzare un atomo di un pregiudizio. A parte la mia ignoranza abissale su tutto ciò che riguardi correnti gravitazionali, relatività e simili, il celeberrimo scienziato forse mi avrebbe apprezzato perchè io di pregiudizi non ne ho. Con me funzionano i fatti, sulla base di quelli sono in grado di sostenere persino il Diavolo in persona, anche se avessi passato fino al giorno prima la mia vita in convento. Con questo presupposto valuterò se l’azione di Draghi sia meritevole di sostegno, ben conscio che se questi leggesse la premessa di questo articolo si farebbe una risata e si chiederebbe “Franco Marino chi?”.

    Da quel che si intuisce arriveranno 200 miliardi. Sulle perplessità in merito ai debiti, risparmierò lo spiegone. Oltretutto non ho nulla a priori contro i debiti, se creano nuove fonti di ricchezza. Il debito dell’imprenditore che spende 100.000 euro e ne guadagna 200.000 euro, è benedetto. Se quel debito però non viene messo nelle condizioni di generare ricchezza, rimane debito. E mentre il fatturato è aleatorio, il debito no.
    Qui nascono le perplessità. Il nostro paese ha conosciuto casse del mezzogiorno, del tocco, della controra, della mezzanotte, delle sei di sera. Ma ha fatto 2700 miliardi di debiti rimanendo con un PIL da zona retrocessione. I perchè si riconducono alla stramaledetta mentalità statalistica che, incoraggiata da una dottrina cattolica che ritiene i soldi lo sterco del diavolo e quella comunista secondo la quale il profitto è un furto, come una zavorra grava su qualsiasi italiano che voglia aprire un’impresa.
    Come partita IVA dal lontano 2001, se non fossi italiano, mi sentirei uno dei tanti individui normali che hanno qualcosa da produrre e cercano un mercato a cui proporle. Ma sono italiano e mi tocca sentirmi un eroe, parte di una consorteria. Noi partite IVA, appellati come evasori, ladri, traffichini, padroni, sfruttatori – e per carità qualcuno è anche così – pur tuttavia siamo quelli che tengono in piedi questo paese.
    Personalmente, il mio problema non sono le tasse: se il governo mi dicesse “Devi pagare il 50% del tuo fatturato per tenere in piedi ospedali, scuole, pensioni etc.” a parte sincerarmi che i soldi vadano dove devono andare, non avrei problemi. Ciò che un individuo non spende per costosi servizi, ritornerebbe all’imprenditore sotto forma di consumi.
    Le domande che uno come me pone ad una classe politica sono: la mia attività verrebbe protetta dalla concorrenza di aziende straniere che hanno altre regole? Posso cacciare a pedate chi invece di lavorare per me mi usa come mucca da mungere per non fare nulla? Sono al riparo dal primo sbirro in toga che, solo perchè gli sono antipatico, decide di rendermi la vita un inferno? Sono al riparo dal primo malavitoso che decide che oltre alle tasse da pagare, ne devo pagare una per dare da mangiare ai carcerati della sua famiglia?
    E assodato che devo dare all’erario il 50% di ciò che guadagno, li devo pagare con un fisco chiaro, semplice e lineare o devo temere una virgola fuori posto per ritrovarmi con una cartella esattoriale da 30.000 euro?

    Questi sono i quesiti più comuni che angosciano un imprenditore. Se a sostenere Draghi in modo decisivo fosse un centrodestra fatto da Berlusconi (quello vero, non la macchietta degli ultimi anni) Salvini e la Meloni, in grado di vincere con una netta maggioranza le elezioni, non avrei dubbi. Ma la maggioranza che sostiene Draghi è fatta da partiti che vogliono abolire la prescrizione, la cui visione della giustizia non è ispirata dall’elementare principio di civiltà giuridica che un imputato è innocente sino a sentenza passata in giudicato ma che un innocente è un colpevole mai scoperto; che ritengono il posto di lavoro inviolabile, anche quando occupato da un palese incapace, scansafatiche; che espongono la mia impresa alla concorrenza di cinesi che sfruttano i loro lavoratori e di americani che drogano le proprie multinazionali a colpi di bond e dunque pretendono che una cinquecento gareggi con una Ferrari, salvo poi perdere e dare la colpa al pilota. Ritenendo disonesto, sfruttatore, sovranista psichico chiunque non sia d’accordo.
    Se Draghi mostrerà di agire in questo senso, io non ho pregiudizi: sono disposto ad ascoltarlo e a valutarlo con serenità. Ma sono quarant’anni che sento, leggo, vedo che “bisogna stimolare la produzione, incentivare la libera iniziativa, riformare la giustizia”; che vedo spendere soldi che nutrono le solite correnti politiche; che vedo noi imprenditori esposti ad ogni tipo di rischio e nel mentre osservo gli statali non correrne manco mezzo, anche quando palesemente vanno lì solo per scaldare la poltrona.
    Quando vedo che gli azionisti di maggioranza del governo sono gli stessi che hanno provocato la malattia, non mi viene naturale avere fiducia.
    Il problema non sono i 200 miliardi, non è Draghi. Semplicemente, gli italiani devono cambiare mentalità. Capire che ogni pasto dato a chi non lo merita è un pasto tolto a chi lo ha meritato. Che il denaro vale solo quando equivale a beni e servizi. Che un imprenditore trattato come un delinquente o non apre la sua impresa o, se la apre, la delocalizza. Condannando i suoi lavoratori a mendicare un posto da fame, magari presso qualche “prenditore” impunito perchè protetto da qualche partito. Che è giusto che ci sia uno stato ma come arbitro. E che solo una sana economia di mercato, un temperato liberalismo, possono far prosperare il paese. Se i 200 miliardi stimolano questo cambio di mentalità, sono soldi benedetti.
    Ma ci credo poco. Le facce sono sempre le stesse e, quel che è peggio, hanno anche le stesse teste.
    Solo che la faccia si può rifare, la testa no.

    Voglia scusarmi per la lunghezza.

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