LA CRISI DI SISTEMA

Non dimentico mai una risposta che dette De Gaulle a chi gli chiedeva se non fosse troppo idealista: “Amico mio, gli disse più o meno, se gli ideali muovono il mondo, sarebbe realistico non occuparsene?”
Qualcuno potrebbe farmi osservare che in questo campo, essendo io un miscredente a 360° e un realista fino al cinismo, non ho voce in capitolo. Ma sarebbe un ben misero rimprovero. Infatti esso andrebbe girato a chi non ha nessun principio di vita. Mentre il mio è proprio il realismo. E se oggi in Italia ravviso una crisi di sistema non è perché gli italiani hanno abbandonato ogni ideale per darsi alla realtà, ma perché non hanno nessun principio, nemmeno la realtà. E mentre di solito, negli scorsi decenni, questo problema di fondo è stato mascherato da situazioni contingenti, al giorno d’oggi la cosa è divenuta evidente a tutti: la realtà attuale non ha nemmeno un alibi.
Per rendersene conto bisogna rivedere un secolo di storia d’Italia. All’inizio del secolo scorso l’Italia era povera, arretrata, affamata, ignorante. Una terra da cui si scappava per non morire di fame, perdendosi in Francia, negli Stati Uniti, nell’America del Sud e perfino in Australia. Chissà quanti cugini e figli di cugini, di cui non avrò mai notizia, avrò in questi due ultimi continenti. Un Paese da cui devi scappare non si può amare. Non è una Madre, è una matrigna.
Per questo, molti videro la Grande Guerra come la Quarta Guerra d’Indipendenza. Un’occasione di coesione sociale, di presa di coscienza dell’italianità. Ma i morti furono troppi e la vittoria non bastò a compensare le sofferenze patite. La penisola fu preda di una tale disperazione e di una tale rabbia che gli italiani ne uscirono con l’illusione del fascismo. Un regime che, qualche anno dopo, riuscì a convincere gli italiani di essere una nazione. Una nazione vincente e, Dio ci perdoni, guerriera. Così vestì in divisa persino gli infanti Figli della Lupa e fece credere che fossimo i figli di Roma. Purtroppo l’innocente carnevalata si trasformò in tragedia, in Anno Zero, con l’esperienza della guerra. L’Italia ne uscì non solo sfiduciata, ma frastornata, disorientata, senza un ideale al quale aggrapparsi.
Allora contava ancora molto la Chiesa, ma era in perdita di velocità. Basti dire che, seguendo quella china, abbiamo oltrepassato il nostro naturale paganesimo fino a ridicolizzare, con Papa Francesco, la stessa fede. Molti italiani per questo si volsero alla nuova chiesa, il marxismo, che aveva il merito di essere irreligioso e prometteva di azzerare la classe dirigente. A queste tendenze distruttive si opponeva soltanto l’istinto di conservazione (anche di conservazione della libertà) di cui si fece forte il Partito della Grande Paura, cioè la Democrazia Cristiana. La quale di cristiano non aveva niente, ma almeno non era comunista. O se lo era, lo era sotterraneamente, in chiave di buonismo clericale, di pauperismo evangelico e di santa ignoranza. Oltre che della volontà di non lasciare troppo spazio inoccupato alla sua sinistra, favorendo i comunisti.
L’Italia rimaneva una non-nazione ma tuttavia, non essendo ancora moderna, conservava parecchie di quelle virtù contadine che insegna la necessità. Fu in nome di questo ingenuo e primitivo liberismo che riuscì a ricostruirsi e, per qualche tempo, a realizzare un Miracolo Economico. Forse non eravamo un popolo di grandi cittadini fieri del proprio Paese, ma eravamo almeno una massa di formichine intente a crearsi finalmente un angolino di benessere, dimenticando tutto: la Chiesa, il fascismo, il comunismo e perfino l’esistenza del governo.
Ma non poteva durare. E non durò. I politici si convinsero di saperla più lunga delle formiche, vollero realizzare la giustizia sociale, credettero che nazionalizzando avrebbero reso più prosperi i cittadini (oltre che aumentare il loro potere), vollero moralizzare il Paese con un giustizialismo fanatico, vollero guidare l’economia. Ma soprattutto, aumentando in modo demenziale l’intervento dello Stato, indussero la nazione a rallentare sempre di più, a indebitarsi sempre di più finché, esaurito il po’ di grasso prima accumulato, dopo avere anche raschiato il fondo del barile, l’Italia si trovò peggio che in mutande.
Siamo agli inizi del Ventunesimo Secolo. Ll’Italia non solo non ha più una guida, ma nemmeno un nemico. Non la Chiesa, troppo debole per essere accusata della situazione presente. Non i comunisti, spazzati via dalla ramazza della storia. Non il capitalismo, rimasto l’unico modello di attività economica. In compenso il Paese è oppresso, anzi schiacciato dai pesi che si era caricato sulle spalle negli anni dell’incoscienza. Gli anni in cui si è creduto che far di conto fosse da miserabili; che le risorse dello Stato fossero inesauribili; che se per caso si fossero esaurite, si sarebbe speso il denaro che non si aveva. Finché anche questa risorsa cominciò a sbriciolarsi e, all’inizio degli Anni Dieci, l’Italia si trovò a un passo dal fallimento.
Sappiamo come se ne uscì, malgrado gli osanna tributati a Mario Draghi. Non risolvendo i problemi che ci avevano portato a quel frangente. Non cambiando il nostro deleterio modello economico-sociale. Non lasciando finalmente libere le formiche di fare il loro mestiere: prova ne sia che abbiamo continuato a caricare lo Stato di nuovi pesi (si pensi al demenziale Reddito di Cittadinanza) senza mai diminuire la pressione fiscale. Cioè le dimensioni della Sanguisuga di Stato, che forse è anzi un’Idrovora di Stato.
Insomma abbiamo continuato a spazzare la polvere sotto il tappeto, facendo debiti indefinitamente, senza cambiare nulla di serio in campo economico. Fino a bloccare l’economia italiana al livello dell’inizio del secolo. Almeno, così è andata fino al momento in cui, con la pandemia, invece di stare fermi, siamo andati indietro.
Siamo al presente. Come hanno reagito gli italiani a questo progressivo degrado o – se vogliamo – a questa progressiva presa di coscienza del degrado? Semplice: con una rabbia devastante; con la voglia irrefrenabile di “mandare affanculo” tutti; per così dire azzerando la società e ripartendo da zero. Era nato il Movimento 5 Stelle.
Quello che Beppe Grillo e compagni non hanno capito è che non è distruggendo che si costruisce. Non hanno capito che, se loro non avevano un’idea nuova, la concezione di un nuovo modello socio-economico e politico, non sarebbero andati da nessuna parte. Questi neofiti della politica pensavano che il torto fosse dell’élite nazionale, di quell’establishment che avrebbero voluto eliminare, e non capivano che il difetto non era dell’establishment ma della società che quell’establishment aveva espresso.
Così la loro parabola, dopo avere raggiunto l’impensabile picco del 32% dei consensi alle elezioni politiche, cominciò a scendere ad uno ad uno tutti i gradini della disillusione. Fino ad arrivare alla fine del 2020, quando gli italiani si sono finalmente convinti che la soluzione non veniva da sinistra, non veniva dai pentastellati, non veniva dalla destra, insomma non veniva da nessuna parte. ed hanno accettato entusiasticamente Mario Draghi. Perché non-politico, perché competente, quasi perché non-italiano. Senza capire che il problema è nel manico: in un modello socio-economico stantio, dal quale tutti sperano indebiti vantaggi e cui nessuno è disposto a sacrificare nulla.
Così siamo smarriti, privi di bussola, incapaci di imboccare risolutamente una strada: sia perché non l’abbiamo identificata, sia perché, se l’identificassimo, non avremmo il coraggio di imboccarla. E questo stato presente ha un nome: si chiama “crisi di sistema”. Il momento in cui ci si rende conto che la situazione presente è tutta sbagliata ma non si sa come correggerla.
In questi casi la soluzione ce l’ha la Storia. Il modello della monarchia assoluta francese non era più adeguato alla Francia del Settecento, e sia gli intellettuali, sia il popolo, pensarono di correggerlo. Direi quasi gentilmente. Poi le cose si ingarbugliarono al punto che la soluzione finale fu del tutto diversa da ciò che si era prima pensato. E soprattutto molto più sanguinosa.
Per quanto grave sia una crisi di sistema, la Terra continua a girare, e questa è una garanzia di futuro. Anche se non sempre felice, basti pensare alla Russia del 1917.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
15 febbraio 2021

LA CRISI DI SISTEMAultima modifica: 2021-02-15T10:28:32+01:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “LA CRISI DI SISTEMA

  1. Il suo lucido sapere, il metodo di collegare i fatti e le conseguenze, il giudizio pur ironico, ma lucido,
    il piacere di leggere i suoi scritti e di sentire di avere finalmente e completamente capito, mi obbligano a complimentarmi con Lei.
    Grazie: non dovremmo più chiamarla Professore,
    bensì Maestro.
    Di questi tempi ci auguriamo di leggerla a lungo, va da se’ che Le auguriamo fervidamente di mantenersi bene ed in Salute.
    Scusi la confidenza, proviene da anni di lettura dei suoi articoli, di riflessioni conseguenti , di speciali apprezzamenti .
    Grazie davvero.

  2. Prof. c’ha ragione. Solamente che questo “sistema” fà mangiare a troppi e quindi difficile da cambiare. Saluti Prof.

  3. Lei è tanto generoso, nel Suo giudizio, che mi mette in imbarazzo. Non mi rimane comunque che ringraziarla. Sono troppo vecchio per vivere ancora a lungo, ma mi sono già prenotato per il vaccino :-).

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