QUANTO FA UNO DIVISO SEI?

Immaginate che vi pongano questo quesito: “Se sei commensali a fine cena devono spartirsi una torta e se si mettono d’accordo per tagliarla in parti uguali, quanta ne toccherà a ciascuno?” Voi dite: “Un sesto”, e subito vi si irride. “Nient’affatto, perché fra i sei c’è un violento che, malgrado gli accordi, se n’è preso due fette”.
Non è uno scherzo. Infatti l’apologo rappresenta la differenza fra la teoria e la pratica, tra le verità a priori e le verità a posteriori di cui parlava Immanuel Kant. Che uno diviso sei faccia un sesto è una verità a priori, perché deriva dalla definizione di “uno”, di “sei” e di “sesto”. Ma nella vita concreta, se sei commensali devono spartirsi il cibo, il leone pretenderà “la parte del leone” e il cucciolo, riuscirà a mangiare qualcosa quando il capobranco sarà sazio. Nella savana uno diviso sei può fare ancora uno, se l’animale alfa esclude tutti gli altri dal pasto.
Tutto questo significa che, nel momento in cui cerchiamo di prevedere il futuro, non dobbiamo fidarci delle astrattezze logiche. La realtà non è logica. E al riguardo abbiamo un esempio ai massimi livelli. Quando in Europa inventarono l’euro, decisero che, perché si potesse partecipare, bisognava che fosse minimizzato il rischio di inflazione e per conseguenza il quantum di debito pubblico. Per essere soci – si disse – il debito pubblico non deve superare il 60% del prodotto interno lordo. L’Italia era già allora ben oltre (intorno al 100%) ed io scrissi: “L’Italia non entrerà mai nell’euro”. Facendo la più grande cattiva figura della mia vita. Mi ero infatti fidato – che sciocco! – della parola dei più grandi, dei più seri e dei più gloriosi Stati d’Europa.
Ma l’Europa non ammise l’Italia sic et simpliciter, infatti – severa com’è sempre stata – condizionò l’ammissione alla costante diminuzione del debito pubblico, fino a giungere al 60%. In realtà non soltanto l’Italia non si avvicinò mai al 60%, non soltanto non diminuì il suo debito pubblico, ma addirittura cominciò subito ad aumentarlo. “E allora, diranno gli amici, tu hai fatto la tua seconda cattiva figura?” “Eh no, rispondo. Con lo stesso inganno mi si può truffare una sola volta”. E infatti non soltanto l’Europa non ha più parlato, per noi, di avvicinarci al 60% , ma ha permesso che quella proporzione fra debito e pil fosse largamente superata dagli altri membri dell’euro. Per esempio, la Francia che un tempo era pressoché virtuosa, ora viaggia nei dintorni del 100%. Ecco quanto valgono i trattati.
Così possiamo tornare al presente, e ad un problema che somiglia molto a quello descritto. Per la concessione dei prestiti e del regalo di quaranta miliardi del Next Generation Ue (chiamiamolo NGU) per complessivi 209 miliardi in cinque anni , l’Unione Europea vuole che usiamo questo denaro per rilanciare il Paese dopo il disastro economico della pandemia. Non a caso si è ripetutamente ricordato il piano Marshall, quello che assolse un’analoga funzione alla fine della Seconda Guerra Mondiale. I commentatori si sono anzi sgolati a sottolineare che l’importo attuale è largamente superiore a quello del dopoguerra.
Che significa rilanciare il Paese? In questo a Bruxelles hanno le idee chiare. Sono ancora keynesiani ma cercano di non essere dementi e dicono che per l’Italia servono investimenti produttivi, non sussidi e bonus a pioggia. Spesa per ripartire come sistema Paese, non semplici consumi. E infatti il NGU specifica che l’Italia deve fare quattro fondamentali riforme (che si premura di elencare), e che la loro attuazione sarà monitorata ogni sei mesi. Il denaro arriverà soltanto se saranno attuate quelle riforme, perfino secondo il calendario e, per così dire, lo scadenzario presentato all’Unione Europea in aprile. Tutto molto bello, chiaro e inequivoco. Uno diviso sei fa un sesto.
Ora scendiamo sul piano della realtà. L’Italia da molti decenni dichiara urgente e improrogabile la riforma della giustizia, e questa riforma non l’ha mai fatta. Lo stesso vale per la riforma della Pubblica Amministrazione e per le altre due. Per non parlare di quelle che in questa occasione non sono state citate. E allora, come la mettiamo?
Prima ipotesi: Draghi compie il miracolo di realizzare tutte le riforme promesse e altrettanto fanno i suoi successori nei cinque anni totali del NGU. Tutti siamo felici ed io in particolare celebro l’evento passeggiando sull’acqua.
Seconda ipotesi: l’Italia non mantiene la parola data e l’Europa non le versa i fondi promessi. Non riesco nemmeno ad immaginare le facce sbalordite degli italiani: “Ma come, non ci date i soldi? Allora parlavate seriamente, ci volete proprio male? Che è successo, che vi abbiamo fatto, di che cosa ci accusate? Non ci dite che credevate veramente che avremmo realizzato le riforme. Tutti possiamo essere occasionalmente un po’ sciocchi, ma nessuno credeva che voi poteste esserlo a questo punto”. Ma questa francamente mi sembra un’ipotesi fantascientifica.
La terza ipotesi è la più realistica. Eccola: l’Italia non mantiene la parola data e l’Europa le versa lo stesso i fondi, perché teme che fallisca e trascini nel fallimento l’intera Unione Europea. In questo caso noi saremo quel commensale che arraffa la maggior parte della torta e lascia gli altri con un palmo di naso. Peggio per coloro che si sono fidati di noi. E nel frattempo avremo anche dimostrato che, se il buon Dio, per correggere i nostri vizi, ci avesse mandato non Mario Draghi, ma l’Arcangelo Gabriele, lo stesso non saremmo tornati sulla retta via.
A quando il fallimento?
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
15 febbraio 2021

Qualche giorno fa, , Carlo Casagni, ironico, mi ha suggerito di scrivere un racconto sul tema del pessimismo. Eccolo, per chi volesse un’occasione di lettura.
UNA GARA DI PESSIMISMO
dedicato a Carlo Casagni
La segretaria gli aprì la porta e l’uomo entrò. Il dr.Giunti scattò in piedi come una molla, girò intorno alla scrivania e venne a stringergli la mano:
– Sono il dr.Giunti. Voglia accomodarsi. E gli indicò con un gesto cortese la potroncina dall’altro lato della scrivania, mentre lui riguadagnava agilmente il suo posto di lavoro e congiungeva la punta delle dita, inclinando leggermente la testa.
Era un uomo piccolo, occhialuto, dall’abbigliamento più casuale che trascurato e sostanzialmente insignificante. Ma perfettamente cortese, notò il visitatore, che a quel punto ebbe finalmente la parola e si presentò.
– Io sono Armando Canneto. Non so se il prof.Ezio Girlando le ha parlato di me.
Canneto faceva un bel contrasto, col dottore. Tanto lo psichiatra aveva l’aria di un piccolo impiegato, tanto il suo cliente, alto, aitante, elegante, dall’aria possente, dava un’impressione di forza. Ma Giunti non ne pareva affatto impressionato. Infatti rispose:
– Sì, l’ha fatto. Ma ha perso il suo tempo, perché io la tratterò come chiunque altro, nel senso però che tengo a trattare tutti bene. Perché fa parte della deontologia professionale, e perché penso che in fondo siamo tutti bambini spaventati. Anche se lei non ne ha l’aria.
Canneto sorrise mestamente:
– A volte l’apparenza inganna.
– Infatti l’amico Girlando mi ha detto che lei soffre di depressione e di un patologico pessimismo. È esatto?
– Purtroppo sì, e per questo mi ha suggerito di venire da lei. Perché lei è il migliore.
Giunti sghignazzò, come se l’altro avesse detto un’enormità.
– Vuole scherzare? Il migliore è quello che guadagna di più. E le mie tariffe sono tutt’altro che speciali.
– Sì, ma lei non guadagna molto perché – mi ha detto Ezio – rifiuta quasi tutti i clienti che si presentano.
– È vero. Ma questo avviene perché, invece di essere un professorone, io cerco di mandar via quelli che non credo di poter aiutare. E sono la maggior parte. Vede, dico a lei come dico a tutti che non credo alla psichiatria e, visto che ci sono, non credo neppure alla psicoanalisi. Detto fra noi, io non credo a niente.
Ma lo disse sorridendo, come qualcuno che avesse trovato la soluzione di un indovinello. E l’altro non seppe che cosa rispondergli. Ma presto il dottore riprese a parlare, con la fretta di qualcuno che volesse sbrigare una pratica. “Questo mi manderà al diavolo fra un paio di minuti”, pensò Canneto.
– Vengo al dunque. Secondo l’amico Girlando, lei soffre di un atroce pessimismo, una sorta di depressione. Lei vede tutto nero ed è infelice. Ora, vede, se lei ha serie ragioni per essere pessimista, che posso fare, io, per eliminare la sua realtà negativa? Ovviamente niente. E se invece lei non ha nessuna ragione per essere infelice, è malato di mente, e non sarà certo una blanda logoterapia che la tirerà fuori dai guai. Risolto questo dilemma, saprà lei stesso cosa fare ed io potrò andare a giocare a golf, dal momento che è una bella giornata.
Canneto fu vagamente infastidito da questo discorso e da questo tono, e gli replicò asciutto, quasi facendo il gesto di alzarsi:
– Se interferisco con i suoi piani per questa giornata, me lo dica.
– Ma no, sieda, ho detto una battuta. Allora?
– Allora che cosa?
– Lei ha motivi seri per essere infelice, o soffre della sua immaginazione?
– Non mi tratti da imbecille, per favore. Il fatto che dobbiamo morire è un parto della mia immaginazione?
– Oh, è questo? rise il dottore.
– E tutto il resto. Non mi piace il lavoro che faccio. Non mi piacciono i colleghi di lavoro. Mia moglie è morta tre anni fa, di cancro, e i miei figli notano più la sua assenza che la mia presenza. Ho quarantadue anni, mi sento invecchiare ed è come se non avessi speranze. Devo continuare?
– No, se si tratta di bazzecole del genere.
Cannata stavolta si rabbuiò:
– Per lei sono bazzecole? Solo perché non sono capitate a lei? Per caso lei considera gli altri meno dei cani randagi?
– Mi scusi, disse serio Giunti. Non voleva offenderla. Il fatto è che non ho potuto trattenere un moto di sollievo, e forse addirittura di esultanza. Perché lei un cliente che io posso aiutare. Lei non è un caso grave.
– La tentazione di suicidarsi non è un caso grave.
– No, disse serio Giunti. No, se la situazione che si crede negativa è frutto di un equivoco. Si sdrai sul sofà. Non perché sdraiarsi sul sofà corrisponda alle vignette satiriche sulla psicoanalisi, ma soltanto perché anch’io ho le mie timidezze, e parlerò più a mio agio se lei non mi guarda in faccia.
Poco dopo, ricongiungendo le punte delle dita, che per lui era qualcosa come tornare in porto, cominciò a parlare.
– Caro amico, tutto ciò che lei mi racconta, e il resto che potrebbe raccontarmi, sono cose negative ma normali. È normale che il lavoro sia un’immane seccatura, è normale che il rapporto con i suoi figli sia difficile, è persino normale che sua moglie sia morta, perché non è scritto da nessuna parete che il cancro debba colpire sempre gli altri, domani potrebbe colpire anche lei e me. Non l’ha detto lei, che siamo mortali?
Vede, il suo pessimismo nasce dalla sorpresa che la sua esistenza non corrisponda a quello che lei si aspettava, a quello che lei desiderava. Ma – mi scusi – perché avrebbe dovuto? Lei soffre non di pessimismo ma di ottimismo. Se fosse stato un vero pessimista anzi, che dico, un vero realista, lei si sarebbe stupito – e congratulato con sé stesso – per il fatto di essere vivo, in buona salute, di bell’aspetto e con dei figli normali, cioè rompiscatole.
Tutta la sua malattia consiste nell’essere partito col piede sbagliato, intendo con i principi sbagliati. Se fosse partito con i principi giusti, se avesse saputo da sempre che la vita è spesso una stupida tragedia che si conclude con la morte, sarebbe stato felice di ogni giorno in ci è ancora vivo, di avere un lavoro e, mi permetta di sottolinearlo, di avere quarantadue anni. Un’età in cui lei può ancora correggere tutto, ricominciare tutto.
Ecco perché penso di poterla aiutare. Lei è partito dal livello zero della scala Celsius, e si è accorto con sorpresa e disgusto che la vita è sottozero. Io invece parto dallo zero assoluto, circa °-273, e la mia scala è tutta in positivo. Se soltanto ci vediamo un paio di volte, e se riuscirò a farle accettare la mia scala, lei scoprirà che la felicità è respirare l’aria fresca del mattino, una buona notte di sonno, o il bel film che abbiamo visto in televisione a causa dell’insonnia. Le spiegherò perfino in che senso la noia è un lusso di cui lei dovrà imparare a godere, perché non tutti ne beneficiano. Ci sta?
Canneto rimase in silenzio, poi confessò:
– Per la verità, sono sorpreso.
– È un ottimo inizio, devo darle soltanto qualche lezione di pessimismo. Si metta d’accordo con la segretaria per il prossimo incontro. Attualmente ho un altro cliente che aspetta.
L’accompagnò alla porta, gli strinse la mano molto cordialmente, col sorriso felice di chi può dire: “Non si preoccupi, non è un tumore, è soltanto una stupida cisti”.
Gianni Pardo

QUANTO FA UNO DIVISO SEI?ultima modifica: 2021-02-17T08:04:58+01:00da gianni.pardo
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