LA STRATEGIA DI GRILLO

Non riconosco a Beppe Grillo grandi qualità. Non mi piace perché è (o gioca ad essere) volgare; non mi piace perché offre soluzioni semplicistiche e superficiali, oltre che sbagliate; non mi piace perché è un predicatore e un demagogo. Masaniello sarebbe vissuto meglio se avesse capito in tempo che il suo mestiere rimaneva quello di vendere pesce.
Ciò non toglie che, a mio parere, un merito gli va riconosciuto: è estremamente realista. Non direbbe mai – come ha fatto Barbara Lezzi – che bisogna trasformare l’Ilva di Taranto in una fabbrica di cozze. E se ha detto un mare di scemenze, probabilmente lo sa, che sono scemenze. La caratteristica dell’umorismo (che è il suo mestiere) è l’acutezza del senso critico. Così, anche quando ha parlato di “decrescita felice”, scherzava. Se qualcuno gli prospettasse l’idea di barattare la sua villa di Bibbona con un un tucul in provincia di Caltanissetta, per realizzare la sua personale decrescita felice, credo che Grillo gli risponderebbe a muso duro: “Ma che cazzo dici? Ma sei tutto scemo? Decrescita felice un corno. Se se non ti scansi ti sparo una cannonata nel buco del culo, a te e alla tua decrescita felice. Vacci tu, a Caltanissetta. E da lì mi mani una cartolina”. Così gli direbbe, con i suoi modi compiti.
È alla luce di questo realismo che bisogna leggere le sue azioni. Quando reputa che una cosa sia concretamente giusta, se ne frega degli statuti, dei sacri principi, delle piattaforme digitali e della democrazia diretta. Tira diritto. Forse non ha la mascella quadrata della Buonanima, ma soltanto i capelli incolti di Marx. Certo, dirama ordini indiscutibili, da tutore di un mazzo di sbandati, “Sono ragazzi, direbbe con la sua voce chioccia. Non hanno le idee chiare. Vanno guidati con la dolcezza. O col bastone, fa lo stesso”.
Ma riprendiamo il discorso da principio. Nel 2018 Grillo ha capito che il Movimento, pur avendo riportato una strepitosa vittoria elettorale, non aveva i numeri per governare da solo. Se avesse reputato che andando immediatamente a nuove elezioni, il Movimento avrebbe avuto il 50% e più dei voti, avrebbe scelto quella via. Ma il buon senso gli ha reso chiaro che il finale non sarebbe stato questo e dunque ha permesso che il M5S si associasse col primo che passava. In questo caso la Lega.
Poi, quando Matteo Salvini ha provocato la crisi e la gente ha cominciato a misurare la capacità di governo dei pentastellati, ha capito che un ritorno alle urne sarebbe stato addirittura devastante. Dunque, se all’inizio il Movimento doveva allearsi col primo che passava, salvo il Pd, ora non aveva scelta: o il Pd o il ritorno a casa. E l’alternativa si è risolta da sé.
Ecco perché, per tutti i mesi seguenti, il Movimento è stato così prono dinanzi a Conte. Pur considerandolo un manichino da vetrina della Rinascente, Grillo lo ha dichiarato un insostituibile, incontestabile, incomparabile, incommensurabile miracolo della politica. Il terrore delle urne è diventato il fulcro della religione, cui ogni altra cosa, dignità inclusa, andava entusiasticamente sacrificata. Oltre queste Colonne d’Ercole non c’era un oceano, ma un abisso verticale.
E tuttavia, malgrado ogni sforzo, e persino malgrado ogni previsione, il governo Conte è caduto. Sconcerto e panico. Dunque Dio non esiste. E ora?
Grillo non ha avuto dubbi: non bisogna perdere la testa. Bisogna mantenere la rotta. Qual è stato il principio fondamentale del Movimento? Non andare alle urne. Ebbene, è semplice: se l’iniziativa del Presidente della Repubblica ci offre di partecipare al potere e di non andare alle urne, non ci resta che farlo. È questo, essere fedeli al Movimento. In fondo non abbiamo mai avuto altra bandiera.
Ma il partito attraversa un brutto momento. Da tempo non ha un capo riconosciuto e autorevole La crisi interna non è scongiurata. Grillo ha diramato gli ordini ma stavolta in parecchi non hanno obbedito. La consultazione della base, malgrado un quesito formulato in maniera oltraggiosa, e su un punto secondario per giunta, ha lo stesso lasciato spazio a un 40% di oppositori. Alcuni deputati e alcuni senatori si sono rifiutati di votare la fiducia a Draghi, fino a formare nuovi gruppi in Parlamento. Né, credo, basterà Conte a incollare tutti i cocci. Quell’uomo non fa il peso. Se Grillo gli ha affidato lo scettro è soltanto perché sa di poterglielo togliere in ogni momento. E tutte queste contorsioni hanno dimostrato che, per una volta, neanche il realismo di Grillo è infallibile. In questa occasione i pentastellati non hanno rischiato di andare a casa, perché: l’esecutivo avrebbe avuto la fiducia anche senza di loro. E comunque, andando al governo, non hanno scongiurato il pericolo delle urne, tra qualche mese. Dunque bisogna soppesare vantaggi e svantaggi dell’ultima mossa.
Tra i vantaggi bisogna mettere la fetta di potere che tocca al partito di maggioranza relativa. Ma dal momento che l’attuale governo è chiamato a guidare il Paese in un momento estremamente difficile, adottando provvedimenti impopolari e affrontando problemi confinanti con la fame, essere sulla plancia di comando è tutt’altro che un affare. Né il Movimento può sperare di far prevalere i propri principi e i propri programmi: perché essi o non esistono o sono demenziali. Inoltre il partito è oggettivamente meno forte, essendo diluito in una maggioranza che arriva fino a Salvini. In queste condizioni al Movimento conveniva restare all’opposizione. Cosa che peraltro è nelle corde della sua anima anarchica.
All’opposizione un partito perde i vantaggi del potere ma può perfettamente mimetizzare il proprio disorientamento, la propria mancanza di concordia, la propria mancanza di programmi. All’opposizione basta gridare “No!”, basta sottolineare che il governo non ha distribuito la Luna, come aveva promesso, e si appare vincenti. Nel 2023 il Movimento si sarebbe potuto presentare come nuovo, agitando le vecchie bandiere di No-questo e No-quello, che pure tanto successo hanno avuto. Se invece è “correo” del governo, con quale faccia si presenterà agli elettori? Non avrà nulla da dire, avendo sparato tutte le sue cartucce e avendo determinato tutto quanto è avvenuto dal 2018 in poi. Prima con la Lega, poi col Pd e infine con Draghi. E allora, perché non giocare agli idealisti irriducibili?
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
3. marzo 2021

LA STRATEGIA DI GRILLOultima modifica: 2021-03-03T08:40:20+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “LA STRATEGIA DI GRILLO

  1. Su questo punto avrei qualcosa da obiettare.
    Lei a mio avviso sottovaluta la capacità dei partiti di incidere sulle convinzioni personali dei loro lettori.
    Fino a ieri Draghi, per i leghisti, era un emissario di Soros. E’ bastato che il loro leader – anzi il Capitano, come loro lo chiamano – decidesse di sostenere il governo Draghi e molti leghisti sono diventati…draghiani.
    E’ vero che il Movimento 5 Stelle ha cambiato natura ma è riuscita a cambiarla anche in molti grillini che oggi fanno gli stessi discorsi che ieri deprecavano. Ieri condannavano il pragmatismo, oggi lo ostacolano. Ieri sostenevano di voler uscire dall’Euro, oggi sostengono che l’Euro è da cambiare per carità (ma nessuno sa però dire come andrebbe cambiato) ma che comunque bisogna rimanere nell’Euro. Ieri erano no-Vax, oggi sono SI’-Vax.
    Poi certo, alla lunga molti si accorgono che il cilindro è vuoto e che il coniglio è scappato. Ma è un procedimento a lungo termine, non breve come Lei sostiene.

    Sa che le dico? Rimpiango i tempi in cui anche nelle elezioni politiche c’erano le preferenze ma perlomeno i politici venivano votati per i problemi che risolvevano, non per l’adesione a cause umanitarie o gepolitiche su cui non hanno alcun potere di intervento.

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