PER IL M5S, L’ECCEZIONE STORICA

Il Movimento 5 Stelle è nato con tare costituzionali che – come in tutti i casi teratologici – tendono a condurre alla morte. È una tara, ad esempio, il fatto di non avere un’ideologia chiara e coerente, ancorché sbagliata. Se il partito comunista ha avuto una così lunga e immeritata fortuna è perché il suo messaggio è stato semplice e comprensibile. Eccolo, per gli acculturati: dopo il Terzo Stato, cioè la Borghesia, è venuta per il Quarto Stato, il Proletariato, l’ora di prendere il potere. Cosa che molti nel popolo traducevano così: “Andiamo a prendere i soldi dei ricchi, e già che ci siamo prendiamo anche quello che hanno nelle loro case, e tutto il resto. Chi è ricco è ricco perché ha rubato ai poveri”. Messaggio che – a suon di “anticolonialismo” – è entrato anche nelle teste di molti africani. E infatti essi hanno ridotto sul lastrico le economie dei loro Paesi, facendogli fare un’infinità di passi indietro.
Dunque esistono ideologie sbagliate o persino infantili, ma l’essenziale è che siano chiare. Viceversa quella del M5S non è un’ideologia. È un confuso ribellismo, un vago rivendicazionismo, l’esigenza di una millenaristica palingenesi morale. Insomma un coacervo di scemenze confuse e contraddittorie, e spesso anche dannose.
In queste condizioni, il peggio che poteva capitare al Movimento (ed è proprio ciò che gli è capitato) sarebbe stato di andare al potere ed essere chiamato ad applicare in concreto le proprie idee. Accorgendosi così di non averne, o di averne di sbagliate. Si pensi all’esilarante vicenda dei “navigator”. In queste condizioni la storia non poteva che infliggergli una serie di smentite. Cui è seguita ovviamente una diminuzione costante dei consensi, e un continuo aumento dei contrasti interni.
In un partito come il Movimento, i contrasti interni sono giustificatissimi. Se il nocciolo dell’ideologia è costituito da una serie di sentimenti confusi, ciascuno ha i suoi. Ed ha tutto il diritto di considerarli più legittimi di quelli degli altri.
È per questo che oggi il Movimento è considerato un partito allo sbando. Le indagini demoscopiche gli attribuiscono ancora circa il 16% dei consensi ma mi chiedo se le urne confermerebbero questa cifra. È partendo da questo stato di cose che bisogna esaminare le possibilità di Giuseppe Conte di guidare il partito verso un approdo positivo.
Io non ho molta stima di quest’uomo, ma in questo caso, se l’operazione non avesse successo, non direi che sia colpa sua. Un partito – ma anche un Paese -può essere salvato dalla decadenza andando in una di queste due opposte direzioni: ritrovare il suo messaggio originale, se è ancora valido e se è stato soltanto trascurato, o intraprendere una nuova strada, ammettendo che il vecchio assetto è definitivamente morto. In ambedue i casi si richiede un uomo carismatico e fuori dal comune.
Ecco alcuni esempi. Dopo la sconfitta del 1918 l’Impero Ottomano era sfiduciato e in crisi totale. La sua forma di Stato era perenta e si rischiava il fallimento. L’unica soluzione era quella di cambiare con la forza tutto ciò che c’era da cambiare, andando verso il futuro e rigettando il passato col coraggio di un’amputazione. Il chirurgo di questo salvataggio si chiamò Mustafà Kemal, per tutti il Padre dei Turchi, Atatürk. Ma quanti Atatürk ha prodotto la storia? La difficoltà della missione è stata dimostrata negli anni recenti dall’involuzione costituita da Erdogan. Questa involuzione dimostra che alla Turchia non sono bastati quasi cent’anni di Kemalismo per uscire dal Medio Evo. E infatti, almeno attualmente, prevale l’antica anima islamica.
Altro esempio, ma di segno opposto, è stato quello di De Gaulle. Questi è stato capace di raccattare da terra l’orgoglio e l’onore della Francia, per farla risorgere dall’abisso, e per farla tornare ad essere quello che essa era stata. “La France Éternelle”, di cui parlava il Generale, almeno nella misura in cui lo permetteva una situazione tanto cambiata. E per giunta, come salvatore della Patria, egli è stato capace di ripetersi a partire dal 1958. Veramente, per quella nazione, è stato l’Uomo della Provvidenza.
Un leader assolutamente fuori dal comune può condurre il suo Paese al futuro o ricondurlo al suo passato. Ma se un partito – in questo simile a un Paese – non ha né un passato al quale tornare, né un futuro verso il quale dirigersi, chi può salvarlo?
Ammettiamo che Conte abbia questa idea: il Movimento non può trovare posto che a sinistra. Egli dovrebbe dunque dire ai “grillini”: “Per avere un nostro diritto all’esistenza dobbiamo tagliar via tutte le ubbie utopistiche dei dilettanti della politica. Dobbiamo allearci con il Partito Democratico, e formulare un serio programma”. Messaggio razionale e plausibile, ma Conte avrebbe il carisma per imporlo? Una simile azione è nelle sue corde?
I conquistatori vincono nell’opposizione al nemico esterno o interno, i negoziatori sono i re della composizione, e in sostanza del compromesso. Salvini ha trovato un partito, la Lega Nord, allo stremo e con i libri pronti da portare in Tribunale, e ne ha fatto il primo partito italiano. L’ha fatto andando contro il conformismo di sinistra, dando voce ai desideri del popolo (per esempio difendere l’Italia dall’‘invasione’ africana) ed arrivando persino ad essere brutale, nel suo populismo. Ma nel frattempo avendo come sfondo il pragmatismo economico lombardo. Per questo è apparso come un difensore dell’Italia e della sua prosperità. Conte invece sembra coltivare il “Ma anche” che ridicolizzò Walter Veltroni.
È vero che in passato il “Ma anche” ha prodotto i suoi dividendi. Penso alla Democrazia Cristiana che, profittando della rendita di posizione del suo anticomunismo di facciata, è stata, per circa un quarantennio, il partito di tutti gli italiani, comunisti compresi. C’era da spartire la grande torta dello Stato e i democristiani si sono messi a tavola. Ma oggi non c’è più nessun Diavolo da combattere e nessuna torta da spartire. Ci sono mali incancreniti e nodi che forse soltanto un nuovo Atatürk sarebbe capace di sciogliere.
Il povero Conte è la persona sbagliata al posto sbagliato. Non solo lui non è Giulio Cesare, ma non è nemmeno Augusto. Quest’ultimo fu, sì, l’uomo della pacificazione, del potere morbido e quasi invisibile, ma aveva sotto di sé un Impero Romano con forze tali da farlo vivere ancora per quattrocento anni. Si può dire altrettanto del Movimento 5 Stelle?
Qui non basta che arrivi “Qualcuno”, qui è necessario l’Eroe Straordinario, l’Eccezione Storica. Qui ci vorrebbe un miracolo.
Ed io non credo ai miracoli.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
5. maggio 2021

PER IL M5S, L’ECCEZIONE STORICAultima modifica: 2021-05-05T16:02:59+02:00da gianni.pardo
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