IL SUCCESSO DI DI PIETRO

IL SUCCESSO DI DI PIETRO
Non è vero che, quando non si ha pane, si possa sempre mangiare la “brioche” della leggenda. È vero piuttosto che, mancando il prodotto preferito, il consumo si rivolge al succedaneo. Durante l’ultima guerra mancava il caffè e si tostava l’orzo; mancava la benzina e alcune macchine andavano a carbonella; mancava il pane e diventavano più interessanti le castagne e le patate. Il successo può essere determinato dalla mancanza di meglio.
In Italia ci sono dei cittadini che non hanno in testa teorie politiche od economiche ma idiosincrasie ma rancori e voglie di rivincita. Applaudirebbero anche il Diavolo, se solo andasse contro quelli che considerano i propri bersagli, e sono irriducibilmente protestatari. Sono persone che, per i motivi più diversi, vivono male la propria vita e invece di cercare in sé i motivi del proprio disagio, li ributtano all’esterno. Si creano dei nemici immaginari, delle teste di turco cui dare il torto di tutto: i preti, i capitalisti, gli ebrei, Berlusconi, le multinazionali, chissà.
Per molto tempo costoro hanno trovato un interprete nel Pci non perché questo partito fosse demente, ma perché il suo messaggio era sentito come palingenetico e se ne aspettavano dunque una completa rivoluzione sociale, un definitivo raddrizzamento dei torti, la fine della miseria per gli ultimi. La felicità.
Naturalmente il Partito, che pure era al corrente dei guasti del socialismo reale, non aveva nessun interesse a smentire le leggende e a smorzare le speranze ma il crollo dell’Unione Sovietica ha reso impossibile continuare a raccontare la saga del “paradiso dei lavoratori”. I partiti comunisti, oltre a cambiare nome, hanno dunque annacquato il loro messaggio: in senso positivo (promettendo meno) e in senso negativo (condannando meno gli avversari). Ma questo non è andato bene a tutti. Alcuni elettori non avevano bisogno di una sinistra moderata, appena un po’ alternativa: avevano bisogno di qualcuno che gridasse a gran voce la loro rabbia contro tutto e contro tutti. Qualcuno che definisse gli avversari affamatori del popolo, ladri e imbroglioni. Qualcuno che nel frattempo li facesse sentire moralmente migliori e vittime dell’ingiustizia.
Il Pci lasciò degli orfani da adottare e alcuni politici approfittarono dell’occasione. Nacque così Rifondazione Comunista con le sue imitazioni, i Comunisti Italiani, i Verdi e gli altri gruppuscoli. Formazioni che non avevano l’irrealistica ambizione di governare e i cui dirigenti – reperti arcaici della politologia – si contentavano di avere qualche seggio, qualche giornale e, per alcuni, il titolo di segretario.
Andati inopinatamente al potere con Prodi, questi partiti non riuscirono (ovviamente) a realizzare le loro idee ma riuscirono ad impedire la governabilità. Con le elezioni del 2008 si sono infine avuti dei fenomeni a cascata: Il Pd, dichiarando di correre da solo, ha fatto sparire gli estremisti dalla scena. Lo spazio lasciato libero sarebbe rimasto vuoto se il Pd non avesse commesso l’errore di accettare l’alleanza con Di Pietro e questo ha completamente stravolto il quadro.
Di Pietro, da quel furbo che è, ha capito che, se non c’era più Rifondazione Comunista, non per questo erano spariti i suoi elettori. Non gli rimaneva che stendere la mano per impadronirsi degli scontenti, fino a rendere scialbo e incredibile quel Pd che l’aveva salvato dalla sparizione. L’operazione non è stata nemmeno costosa: è stato sufficiente dire sesquipedali, animose sciocchezze contro il potere, e in particolare contro Berlusconi, perché quegli elettori non chiedevano di più.
Oggi Di Pietro esprime soltanto  lo scontento esistenziale di una parte dell’elettorato. Egli sa benissimo che la sua formazione non s’ingrandirà mai a sufficienza per andare sola al potere: ma l’Idv è un partito-impasse che approfitta delle frustrazioni degli ingenui e corrisponde agli interessi del suo fondatore.
Il Pd è confuso. Non capisce che non può vivere sperando che Berlusconi commetta errori enormi – o sparisca lasciando in giro solo degli sprovveduti – e non capisce che può salvarsi solo se riprende il programma originario: quello di un partito socialdemocratico che sia un’alternativa credibile al centro-destra. Se invece rincorrerà Di Pietro, o non tornerà mai al governo o non potrà governare.
C’è solo da sperare che queste semplici evidenze siano tali per tutti, nel corso del prossimo congresso.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

IL SUCCESSO DI DI PIETROultima modifica: 2009-05-18T11:45:15+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “IL SUCCESSO DI DI PIETRO

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