IL DISSENZIENTE E IL TRADITORE

In democrazia il dissenso è lecito, nessuno ne dubita. E infatti nessuno pretende che nei partiti politici la pensino tutti allo stesso modo. Ma è necessario distinguere il dissenso su un singolo punto dall’essere contro il partito stesso: un calciatore può sostenere che è meglio un attacco a due punte piuttosto che a tre, ma non può calciare nella propria porta. Questo non sarebbe dissenso, sarebbe tradimento.
Un buon esempio di questo eccesso è rappresentato dal comportamento dell’Udc durante gli ultimi mesi del primo quinquennio berlusconiano. Il governo cercava di fare qualcosa e l’Udc si metteva costantemente di traverso. Il fer de lance di questa linea era Marco Follini  che, dopo aver richiesto a gran voce una fantomatica “discontinuità”, dopo avere preteso la formazione di un inutile “Berlusconi 2” e dopo aver infine contribuito in modo possente alla sconfitta del centro-destra del 2006, lasciò perfino l’Udc e passò all’opposizione. A quel Pd che onora ancora oggi della sua insignificante presenza.
Quello di Follini fu un legittimo dissenso o una sostanziale opposizione alla coalizione cui apparteneva e nella quale aveva addirittura la carica di Vice-Presidente del Consiglio? Brutalmente: fu dissenso o tradimento?
Il dissenziente è colui che non è d’accordo su un punto particolare ma concorda sull’essenziale; è uno che cerca di migliorare l’azione comune ma certo non mette a rischio l’intera struttura. Viceversa, chi fa finta di discutere ma in realtà è un traditore, non ha tanto voglia di cambiare rotta quanto di mandare a fondo la nave. Questo è il discrimine infallibile.
Il falso dissenziente è subdolo. Dal momento che la qualifica di traditore danneggia chiunque, incluso chi traditore lo è veramente, l’uomo intelligente (e la nostra mente va a qualcuno in particolare) nel momento stesso in cui fa buchi nella sentina si profonde in dichiarazioni di solidarietà e fedeltà. Purtroppo, non tutti arrivano a questo livello di furbizia. C’è al contrario chi, non appena il regicidio non riesce, dimostra quali fossero già da prima i propri veri sentimenti. Degrada così la propria azione e la fa innegabilmente identificare come manifestazione di acida frustrazione, di miserabile rancore, di patetica voglia di apocalisse.
Un esempio attuale è il comportamento di Italo Bocchino. Questo politico di seconda schiera ha commesso una serie di errori.Non ultimo quello di presentare le proprie dimissioni e oggi infatti è solo un peón: un deputato qualunque di cui ben presto nessuno si occuperà. Ecco perché, approfittando dei residui dell’effimera notorietà, cerca in tutti i modi di rimanere sotto i riflettori. Sputa veleno, moltiplica le accuse al Pdl, a Cicchitto, a Berlusconi, rendendo quest’ultimo responsabile perfino degli attacchi del “Giornale”. Quasi che Vittorio Feltri non scriva se non sotto dettatura.
Quello di Bocchino non era un dissenso politico e infatti, gettata la maschera, si è subito allineato con il più banale antiberlusconismo. Ciò facendo ha anche danneggiato Gianfranco Fini, in qualche modo chiamato in correità: per fortuna, ciò durerà finché qualcuno si accorgerà della sua esistenza.
Che squallore. La leggenda di Muzio Scevola insegnava che è lecito cercare di uccidere l’oppressore o chiunque si reputi tale, ma non è lecito, dopo aver fallito, né chiedere la sua pietà né dare la colpa ad altri: al massimo al proprio braccio che ha fallito la mira. Invece Bocchino accusa Berlusconi di averlo epurato, dimenticando quanto ha esagerato e soprattutto che si è dimesso lui, irrevocabilmente.
La stampa di sinistra, interessata a trarre vantaggio anche da un’alluvione o da un terremoto, naturalmente lo ascolta; segue la sua linea; pubblicizza le sue sparate e lo illude sulle sue prospettive: ma questo non lo salverà dal ricadere nel buio. E non l’aiuterà nemmeno il Pais spagnolo – antiberlusconiano gratuito – arrivato alla scorrettezza di pubblicare la notizia dell’allontanamento di Bocchino senza scrivere una sola volta la parola “dimissioni”.
Poco fa si è detto che Italo era un politico di seconda schiera: ora si può aggiungere che, ai sensi del principio di Peter, in quella posizione egli ha raggiunto “il livello della propria incompetenza”.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
3 maggio 2010

IL DISSENZIENTE E IL TRADITOREultima modifica: 2010-05-04T14:58:30+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo