IL SECCHIO VUOTO DEL SINDACATO

L’attuale trattativa tra la Fiat e i lavoratori di Pomigliano d’Arco, oltre che per le cinquemila famiglie interessate, è significativa dal punto di vista storico e teorico.
Luciano Lama, l’indimenticato leader sindacale della Cgil, una volta definì il salario “una variabile indipendente”: indipendente dal rendimento dei lavoratori, dai bilanci dell’impresa e dalla sostenibilità economica. Forse pensava che l’erario avrebbe ripianato il deficit delle imprese (tutte?), forse pensava che sarebbe intervenuto San Gennaro, forse voleva solo far fallire lo Stato borghese: certo è che sul momento non ci fu una sollevazione, contro quell’enormità. Nessuno osò fiatare: Mussolini no, ma il sindacato aveva sempre ragione. In realtà, c’era da inorridire. La frase di Lama aveva la stessa logica di chi dicesse che si può dividere cento in tre ed avere tre volte quaranta, oppure che un secchio può versare più acqua di quanta ne contenga. E dire che già nel Medio Evo – epoca buia – si diceva “nemo dat quod non habet”, nessuno può dare ciò che non ha. Ma forse nel sindacato non si masticava molto latino e ancor meno filosofia.
Il tempo è passato ed ha rimesso le cose a posto. Già in Germania, qualche tempo fa, in alcune grandissime fabbriche, fu proposta l’alternativa: o abbassamento del salario o “delocalizzazione”. Cioè trasferimento all’Est degli impianti. I lavoratori votarono per l’abbassamento del salario. Ora una situazione analoga si riproduce a Pomigliano d’Arco: o gli operai rinunciano a quei comportamenti che potrebbero rendere l’attività antieconomica, oppure la Fiat Panda continuerà ad essere fabbricata all’estero. I sindacati (Fiom a parte), sono pronti a firmare e un tempo questo sarebbe stato un trionfo, per l’azienda: ma anche qui ci sono novità. La Fiat sa che non ha margini: non può più contare sullo Stato. E per questo non firma.
Il leader del sindacato dissenziente, Maurizio Landini, sostiene che l’azienda vuole togliere ai lavoratori il diritto di sciopero e il “diritto” di ammalarsi, ma la Fiat non potrebbe mai dire cose del genere. Il diritto di sciopero è nella costituzione. Dunque, per giudicare adeguatamente la trattativa, bisognerebbe conoscerne i particolari. Tuttavia, la sostanza la capì perfino Pinocchio: dopo avere mangiato le pere, la marionetta fu costretta dalla fame a mangiare i torsoli.
La Fiom parla di “ricatto” e fa finta di non accorgersi che la Fiat è a sua volta ricattata dal mercato. Per questo tutti concordemente suggeriscono che sull’accordo si pronuncino i lavoratori, anche se in passato i sindacati hanno sempre osteggiato il referendum. Stavolta però gli serve per passare la patata bollente agli operai: “Volete lavorare senza danneggiare in nessun modo l’azienda o preferite essere disoccupati?” Gran dilemma.
A proposito di “ricatto” la verità è che non c’è più quello del sindacato. In Italia questa è una sorta di rivoluzione.  Una nazione abituata a considerare i freddi numeri e la logica economica come una sorta di aberrazione comincia a fare i conti con la realtà. Anche quella storica.
Molti credono che la differenza di livello di vita fra l’Ottocento e il Novecento dipenda dalle “conquiste dei lavoratori” mentre per comprendere che non è vero basta esaminare la logica del salario. Si faccia il caso che il lavoratore produca dieci e il datore di lavoro gli paghi nove (la differenza è il plusvalore dei marxisti): questo significa che, in costanza di percentuale, il quantum assoluto del salario dipende dal quantum assoluto di ricchezza prodotta. Se l’operaio produce cento ha un salario di novanta, ma se produce mille ha un salario di novecento. Ecco l’origine della differenza di livello di vita fra gli operai dell’Ottocento e quelli attuali. Quelle che chiamano “conquiste dei lavoratori” sono in realtà “conquiste della produttività”. Se gli operai dell’Ottocento avessero chiesto un salario che gli consentisse di vivere come vivono oggi, sarebbero stati tutti licenziati. Non per vendetta, ma perché nessun datore di lavoro se li sarebbe potuti permettere. L’imprenditore versa all’operaio meno ricchezza di quanta l’operaio ne produca perché diversamente non avrebbe interesse ad assumerlo. La riprova di tutto questo è che sono molto prosperi anche Paesi a bassa sindacalizzazione come la Svizzera (per non parlare degli Stati Uniti) e che nel Paese in cui è stato a lungo abolito il plusvalore, l’Unione Sovietica, il governo si è dovuto mantenere al potere con la forza ed ha condotto l’intero popolo alla miseria.
A Pomigliano d’Arco si comincia a studiare storia con esempi concreti.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
12 giugno 2010

IL SECCHIO VUOTO DEL SINDACATOultima modifica: 2010-06-12T14:46:30+02:00da gianni.pardo
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