L’IDEA DELLA GUERRA GIUSTA

Un articolo di Johannes Thumfart apparso su Die Zeit on line (1) il 1° aprile 2011.

L’azione militare in Libia solleva di nuovo un vecchio interrogativo: può una guerra essere giusta? E se sì: quella contro il regime di Gheddafi lo è?
In quali casi, pur non trattandosi di una guerra puramente difensiva, è legittimo fare guerra contro uno Stato sovrano? Oggi, mentre i jet della Nato sparano contro l’esercito di uno Stato sovrano, questo interrogativo è particolarmente dirompente;  ma se ne discute da millenni.
Già per Cicerone una guerra era giusta – bellum iustum – se era difensiva. I primi teorici come Sant’Agostino e l’Hostiensis svilupparono l’idea che guerre giuste possono essere combattute anche per altre ragioni, più o meno come uno strumento della cristianizzazione. Dal tempo delle crociate deriva la cattiva considerazione dell’idea che si possa far guerra in nome del bene.
Nel Rinascimento sorse poi il concetto che potesse essere giusta una guerra per motivi umanitari. Lo spagnolo Francisco de Vitoria, filosofo del diritto, chiedeva nelle sue lezioni del 1539 sulla scoperta dell’America di porre un termine ai sacrifici umani degli aztechi attraverso un intervento europeo.
Vitoria viene oggi considerato come il padre spirituale delle Nazioni Unite. Per lui sussisteva una responsabilità collettiva dell’umanità che non si ferma dinanzi alle frontiere di uno Stato. Il criterio essenziale della guerra giusta è per lui un’ingiustizia che fa soffrire una popolazione civile: più o meno quando le viene tolto il diritto all’incolumità fisica o la sua partecipazione economica e politica alla comunità. Quando una simile ingiustizia è sistematica, per esempio quando un governo nega assolutamente ai cittadini una partecipazione politica ed economica, è un dovere, secondo Vitoria, far cadere questo governo dall’esterno.
Questa era già allora una definizione pericolosamente aperta. Vitoria dunque la restrinse: una guerra giusta doveva servire esclusivamente a eliminare l’illecito. Essa non aveva il diritto di aumentare la potenza dei partecipanti. E tuttavia i suoi argomenti furono criticati già mentre era in vita, dal momento che servivano a giustificare il colonialismo spagnolo nell’America Latina.
Nei secoli dopo Vitoria in Europa si moltiplicarono i dubbi che egli stesso aveva sollevato: forse che una guerra non può essere considerata giuridicamente fondata da ambedue i belligeranti? In particolare le guerre religiose del sedicesimo e diciassettesimo secolo condussero ad absurdum l’idea di una guerra giusta per una sola delle parti. Le potenze cattoliche e protestanti pretesero di porsi a difensori dei loro adepti nei territori della confessione nemica.
Dalle amare esperienze della Guerra dei Trent’anni si sviluppò l’ordine della Pace di Westfalia del 1648: un sistema internazionale di Stati sovrani che vietavano l’ingerenza nei loro affari interni. La guerra difensiva divenne agli occhi dei più l’unica forma di guerra legittima.
Da allora il principio della non ingerenza è stato sostenuto da molti. Anche Kant nel suo scritto sulla pace del 1795 ha indicato che l’intervento umanitario non è un mezzo appropriato per raggiungere la pace mondiale. L’idea di una guerra giusta presuppone un ordine giuridico sopraordinato ai singoli Stati. Il quale però non esiste.
Tale ordine giuridico è nato con l’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite nel 1945. Naturalmente la Carta contava innanzi tutto sui mezzi diplomatici, per assicurare una stabile pace mondiale. Tuttavia l’intervento contro la Germania e contro il Giappone aveva mostrato che la guerra poteva benissimo essere necessaria e giusta. Per questo la Carta accordava al Consiglio di Sicurezza il potere di decidere le misure militari necessarie contro gli Stati. L’idea della guerra giusta di Vitoria era di nuovo sul tappeto.
Come si può valutare l’intervento in Libia secondo la prospettiva di questa idea? Michael Walzer, un noto seguace di Vitoria, non lo vede come conforme al diritto. Infatti, il nudo desiderio di liberarsi di un dittatore non è sufficiente per lo spargimento di sangue. Solo gravi crimini contro l’umanità, all’incirca un genocidio, potrebbero legittimare un intervento. Ma è di tutta evidenza che Gheddafi non ha commesso un genocidio.
Tuttavia anche violazioni dei diritti umani, come quelle che erano all’ordine del giorno in Libia – torture, bombardamento di civili – secondo la prospettiva di Vitoria giustificano un intervento per far cessare questi illeciti.  E nello stesso modo argomenta la Risoluzione 1973 dell’Onu riguardo alla Libia. I dimostranti libici hanno assunto volontariamente grandissimi rischi per indicare queste violazioni del loro diritto alla partecipazione e all’incolumità e per far valere le loro richieste.
Comunque la Carta dell’Onu, considerata nella sua essenza, non vede nessun intervento per imporre diritti umani positivi, come la partecipazione politica, ma si limita a criteri negativi. Prima di tutto per essa sono ragioni per gli interventi il fatto che si metta in pericolo la pace mondiale e la sicurezza internazionale. Il regime di Gheddafi non ha creato nessun pericolo di questo genere.
In ogni caso si pone il problema di sapere perché si interviene in Libia e non altrove. Naturalmente, la decisione riguardo all’intervento dell’Onu non spetta ad un solo Stato. Per questo bisogna vedere esattamente perché l’Occidente, così attivo sul tema della Libia, fa ben poco per sostenere attivamente, per esempio, il movimento democratico in Birmania.
La legittimazione dell’azione militare in Libia verrebbe già meno, secondo Vitoria, quando a causa dei bombardamenti fossero uccisi dei civili. Quando coloro che oggi attaccano Gheddafi approfittassero dei commerci con lui. Oppure quando società occidentali fossero incaricate della ricostruzione del Paese oppure ottenessero un conveniente accesso alla risorse petrolifere. Ogni genere di vantaggio dei partecipanti alla guerra giusta è inevitabilmente un ostacolo alla sua legittimità.
Secondo il metro di Vitoria per una guerra giusta – ed anche secondo quello delle Nazioni Unite – il comportamento della comunità internazionale riposa su fragili fondamenta.
Rimane un argomento empirico: le democrazie molto raramente scendono in guerra le une contro le altre. A lungo termine non esiste nessun migliore mezzo per assicurare la pace mondiale che sostenere i movimenti democratici nei loro sforzi. L’intervento in Libia mostra ancora una volta le possibilità, ma anche le imponderabilità di questa idea. Perché anche George W.Bush si richiamò a questo argomento.
Johannes Thumfart
Traduzione dal tedesco di Gianni Pardo.
(1)http://www.zeit.de/politik/2011-04/libyen-gerechtigkeit-krieg?page=1

L’IDEA DELLA GUERRA GIUSTAultima modifica: 2011-04-04T10:07:45+02:00da gianni.pardo
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