OLOGRAMMA DI UN PRESIDENTE

Barack Obama si ricandiderà per il “second term”. Gli osservatori lo considerano un candidato solido perché nei confronti dello sfidante il Presidente in carica lo è sempre. E poi perché ad Obama dovrebbe bastare anche solo una percentuale dell’entusiasmo che suscitò nella campagna precedente. Infine, pur dovendo fare i conti con la delusione provocata dalla mancata realizzazione delle sue eccessive, mirabolanti promesse, egli ha ancora un anno e mezzo per tentare di dare all’elettorato democratico la sensazione che, oltre a “dire” e “promettere”, sia stato capace di “fare” qualcosa.
Naturalmente di tutt’altro tono sono – e soprattutto saranno – i commenti dei repubblicani. Il Presidente è riuscito a farsi eleggere con una retorica campagna dalle promesse metafisiche e ora deve fare i conti con una realtà che, dal momento della sua elezione, lo fa passare da “Yes we can” (una totale assurdità) a un mesto: “Sorry, I could not”.
Il “salvataggio” dell’economia è stato macchiato da due imperdonabili errori: avere lasciato che fallisse la Lehman Brothers e l’avere impegnato somme astronomiche per impedire poi che l’intero sistema crollasse in seguito alla sfiducia indotta da quel primo fallimento. Qui, molto probabilmente, la colpa non è stata solo sua. Il Presidente sarà stato mal consigliato. Avrà seguito i consigli di quegli economisti di mentalità repubblicana che venerano il dogma dell’economia classica per cui il mercato deve sempre raddrizzarsi da sé. Quali che ne siano i costi. Una teoria che si può condividere o no: però, o non la si adotta – preferendole un immediato intervento dello Stato –  o la si segue fino in fondo. Obama è riuscito a sbagliare in tutti e due i sensi. Oggi gli americani sanno che uno Stato già pesantemente indebitato ha sborsato per questa politica economica somme enormi, attingendole dalle tasse che essi pagano.
È sperabile che il tempo, e l’augurabile ripresa economica, facciano dimenticare tutto questo, nel 2012.
È tuttavia nella politica internazionale che Obama è riuscito a dare il peggio di sé. E ci sono poche speranze di grandi successi di cui vantarsi al momento delle prossime elezioni. Chi non lo stimava molto – e fra costoro il sottoscritto – deve onestamente riconoscere che poteva andare peggio. Il suo “yes we can” poteva anche significare: “Sì, possiamo combinare disastri”. Invece il nuovo presidente si è limitato o a parlare – riuscendo a guastare i rapporti con Israele senza migliorare quelli con gli arabi – oppure a tradire tutte le promesse e tutte le aspettative. Gli americani si ripromettevano di vedergli risolvere il problema dell’Afghanistan (poteva farlo, yes, we can), magari al prezzo di una brutta figura, ma riportando “i ragazzi a casa”. Invece non lo ha fatto ed ha perfino concesso aumenti di effettivi. Sarà pure stato costretto dalla realtà, ma allora è la realtà che “can”, non lui.
Per quanto riguarda l’Iraq, si è confermata l’intenzione di ritirarsi: ma non si tratta di una decisione sua. Lui si è limitato a confermarla ed applicarla.
L’unico problema veramente nuovo, veramente grave e veramente insolubile è quello dell’Iran. Al riguardo, si avrebbe voglia di esprimere tutta la propria comprensione al giovane presidente. Nessuno può essere chiamato a risolvere la quadratura del cerchio, e figurarsi un giovane provinciale idealista. Ma questo stesso provinciale idealista ha avuto l’aria di dichiarare degli incapaci quelli che facevano politica prima di lui. È difficile che costoro e i loro adepti gli perdonino uno stallo che un giorno potrebbe trasformarsi in una guerra nucleare provocata da islamisti fanatici.
Infine è criticabile il suo atteggiamento nella recente crisi del Nord Africa. È stato risolutamente contro Mubarak, dimenticando decenni di amicizia ed alleanza, e non accorgendosi che se Mubarak è andato, il suo gruppo dirigente è rimasto. Chissà che fiducia avranno in lui, questi militari. Ancora peggiore è stata l’iniziativa veramente sua, veramente voluta e veramente non necessaria contro Gheddafi. Il Presidente ha mostrato un atteggiamento esitante ed inconcludente che ha fatto fare agli Stati Uniti la figura di una potenza di secondaria. Ridicolizzandola, se il caso volesse che Gheddafi riesca a rimanere al potere.
Obama è stato eletto sulle ali del sogno e questi due anni e mezzo lo hanno fatto atterrare su una pista in terra battuta. È difficile vederlo favorito per il “secondo termine” ma è anche vero che il novembre del 2012 è ancora lontano. Molto dipenderà dal candidato che riusciranno ad esprimere i repubblicani e da qui ad allora possono avvenire molte cose: al momento, tutto quello che si può dire in favore di Barack Hussein Obama è un rassegnato: “Poteva perfino andare peggio”.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
5 aprile 2011

OLOGRAMMA DI UN PRESIDENTEultima modifica: 2011-04-05T14:30:09+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo