SPIEGARE LA STRAGE NORVEGESE

La strage norvegese continua ad importunare il nostro cervello con le sue domande: come è possibile? perché mai? Si poteva evitare? Giornali e televisioni forniscono resoconti ma i particolari e le immagini sono inutili.  Il fatto, nudo e crudo, è che un individuo ha voluto uccidere decine, possibilmente centinaia di propri connazionali innocenti, per ragioni che alla persona normale risultano incomprensibili. E le domande continuano a rimbalzare sulle pareti della nostra scatola cranica: perché? come mai? Si può impedire che accada in futuro?
Nessuno ha tutte queste risposte. Si possono solo esprimere opinioni.
Breivik è un pazzo? Probabilmente sì. Lo diranno comunque gli psichiatri. Ma la follia da sola non spiega il fatto. Innanzi tutto, pazzia e follia sono termini correnti che non fanno parte della medicina e poi la realtà psichiatrica è molto più complessa: si va da disturbi tanto lievi da poter affermare che “siamo tutti matti”, a patologie così gravi che il soggetto appare addirittura subumano.
Forse c’è tuttavia un punto comune, in questi mille fenomeni. Se concepiamo il cervello umano come un immenso computer, è evidente che, pur guastandosi, non potrà avere manifestazioni diverse da quelle contenute in potenza nella sua memoria. È molto più facile che un maniaco religioso si manifesti in una società come quella descritta da Hawthorne che in una società talmente laica che Dio è dimenticato. Dunque è interessante vedere in che misura la “follia” di Anders Behring Breivik sia in linea col nostro tempo e la nostra società.
Nel Ventesimo Secolo, dopo avere tanto stigmatizzato le conversioni forzate del Medio Evo, si è arrivati alla semplificazione ultima: non siete quello che vorrei che foste, dunque vi sopprimo. Certo, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è stato pestato nella testa della gente un giusto orrore per il genocidio; e tuttavia ciò può avere avuto un effetto indesiderato: il fatto di parlarne tanto lo ha reso un “concetto corrente”. Breivik non ama i socialisti e la cosa più semplice è sopprimerli. “Atroce ma necessaria”, ha definito lui stesso la sua operazione.
L’idea di partenza è di Adolf Hitler. Ma mentre il Führer disponeva dei mezzi di una grande potenza, Breivik poteva agire solo a livello di privato. Ciò avrebbe potuto scoraggiarlo se non lo avesse soccorso un altro mito dei nostri tempi: la legittimità del terrorismo. Per secoli la guerra è stata uno scontro fra armati, poi è nata la pratica dello sterminio dei civili (olocausto e bombardamenti) e infine, con i terroristi islamici, si è arrivati all’assassinio artigianale di innocenti. Con una doppia motivazione: “non abbiamo altre armi” e “approfittiamo della pubblicità ottenibile”. E qui si è innestato un fenomeno interessante.
Mentre per il genocidio è rimasto di prammatica l’orrore, per l’assassinio di innocenti la società contemporanea, in odio ad Israele (e agli Stati Uniti), ha mostrato un atteggiamento costantemente benevolo. “Se non hanno altre armi, a disposizione!” Per questo si parla di legittimità del terrorismo. Si è arrivati a biasimare severamente Gerusalemme per la costruzione di una recinzione che impedisce agli assassini di entrare nel suo territorio, piuttosto che coloro che hanno l’intenzione di uccidere cittadini inermi.
Ottimo carburante, per le “idee” di un Breivik: primo, si può uccidere il nemico “in massa”; secondo, il fatto che i singoli ammazzati siano innocenti non ha nessuna importanza, “se non si hanno altre armi a propria disposizione”; infine solo un’azione di questo genere assicura la pubblicità necessaria all’“idea” che si vuole affermare. E poiché viviamo nel villaggio globale, per essere efficaci bisogna battere il record precedente: quello degli studenti americani che vanno ad ammazzare colleghi e insegnanti, quello del medico militare americano che va ad assassinare i commilitoni, e se fosse possibile quello delle Torri Gemelle. Fra l’altro, dal momento che telefilm pieni di cadaveri e di crudeltà inaudite ci ammanniscono ogni giorno dosi massicce di orrore criminale, per ottenere lo sperato “successo” bisogna battere questo orrore in quantità e qualità. Breivik sarà un folle ma, come dice un vecchio proverbio, il sacco si svuota solo di ciò che contiene.
Rimane l’ultima domanda: come difendersi? La risposta è che non c’è difesa. Se Breivik fosse stato in trincea, se avesse visto molti commilitoni morire e fosse arrivato al punto di stupirsi di essere ancora vivo lui stesso, come tanti fanti della Prima Guerra Mondiale, avrebbe avuto un maggiore rispetto per la vita. Ma siamo in un mondo dove i giocattoli sommergono i bambini, dove tutto è facile e anche da grandi anything goes, tutto è lecito. Come in un videogioco.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it
24 luglio 2011

SPIEGARE LA STRAGE NORVEGESEultima modifica: 2011-07-24T13:45:07+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “SPIEGARE LA STRAGE NORVEGESE

  1. …dove i giovani laburisti, come per tradizione dagli anni Settanta, si incontrano per rinnovare il mito della società aperta, plurale e multiculturale.
    La frase sopra si riferisce a Oslo. La bomba non c’entra, ma la frase su riportata costituisce senz’altro la miccia.

  2. «Un giorno, in milioni abbandoneremo il Sud del mondo per fare irruzione negli spazi accessibili dell’emisfero del Nord, alla ricerca della propria sopravvivenza; e non verremo da amici. Ma non avremo bisogno di combattere: saranno i ventri delle nostre donne a darci la vittoria».
    Huari Bumedièn, Presidente dell’Algeria ll’ONU 1974
    No comment!

  3. Boumedienne non teneva conto del fatto che si è generosi quando si è ricchi e non si ha paura. Il giorno in cui gli europei si sentissero meno ricchi e avessero paura…
    Non che io sia sicuro della loro reazione, ma neanche Boumedienne potrebbe essere sicuro che non l’avranno.

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