IL GOVERNO NON PUO’ SALVARE L’ITALIA

Se una madre è gravemente malata e rischia di morire, i figli si preoccupano e soffrono. Non sanno che cosa farebbero per alleviarle il dolore, per curarla e soprattutto per salvarla. La loro pena sarebbe tuttavia mescolata ad una rabbia sorda se l’anziana, da sempre adepta dell’omeopatia, rifiutasse di assumere quei rimedi che potrebbero guarirla. La compassione per le sofferenze sarebbe mista alla collera che ispirano quelli che gli inglesi chiamano i disastri auto-inflitti. Tanto che se poi la donna morisse, nell’intimo del proprio cuore ognuno non potrebbe sopprimere un commento spietato e veritiero: “Però se l’è cercata”.
L’Italia è gravemente malata ma da un lato rifiuta da sempre i rimedi, dall’altro ha governi che non sono riusciti ad imporglieli. Quest’ultima frase suscita gli applausi mentali del lettore ma sono applausi fuor di luogo. I governi non hanno curato l’Italia perché l’opinione pubblica ha sempre protestato perfino contro ogni gestione equilibrata di spese ed entrate. Il momento di maggiore concordia nazionale si è raggiunto nel periodo del consociativismo, quando maggioranza, opposizione e sindacati hanno sostanzialmente concordato nella politica dei regali a tutti. È così che si è creato il nostro gigantesco debito pubblico.
Ora siamo alla resa dei conti ma la mentalità non cambia. L’intera opinione pubblica (in particolare quella intellettuale) è insorta contro i tagli “lineari” che coinvolgevano anche il mondo dello spettacolo e Tremonti è stato costretto a reintrodurre i finanziamenti al cinema: la cultura non si tocca. E la cultura sono i cinepanettoni.
C’è una costante divaricazione fra concreto e astratto. L’astratto, su cui si concorda, è il dovere di tagliare le spese, di combattere l’evasione fiscale, di diminuire il parassitismo della politica, eccetera; il concreto è la resistenza che si manifesta non appena uno qualunque di questi nobili propositi si trasforma in progetto reale. Infatti ogni provvedimento intacca gli interessi di qualcuno. Se si propone di tagliare un parassita per migliorare la situazione dell’albero, è naturale che l’edera non sia d’accordo. Se, studiando i costi della politica, si scoprisse che esiste tutta una categoria di impiegati che sono stati assunti per chiamata diretta (“raccomandazione”), che non svolgono nessuna funzione utile per la collettività e che, messi tutti insieme, costano miliardi di euro l’anno all’Erario, si identificherebbe l’occasione sognata del “taglio”. Ma i dipendenti protesterebbero che, da un giorno all’altro, sono quasi messi sul lastrico; che non accettano di essere trasferiti altrove o ad altre funzioni; che il Tar comunque ha dato loro ragione: lo Stato non può venir meno al contratto siglato con loro. Tutto questo sarebbe comprensibile. Meno comprensibile sarebbe che la comunità nazionale, e in primo luogo i giornali di sinistra, sosterrebbero con la massima forza le loro ragioni, trattando il governo da criminale (“macelleria sociale”) e costringendolo a ritirare il provvedimento.
Sono state combattute miniriforme indolori, come quelle del ministro Brunetta per contenere l’assenteismo e si è osteggiato qualunque provvedimento inteso ad aumentare la produttività. Ammesso che non si vogliano punire i battifiacca, e si proponga di premiare chi lavora molto, i giornali dichiarano insopportabili le “discriminazioni fra i lavoratori”, distinzioni che infliggono un “biasimo obiettivo” al lavoratore normale: quello che fa il suo lavoro come si è sempre fatto e come piace ai sindacati. Nella discussione sulla Fiat un certo sindacato ha preteso che l’impresa producesse in Italia anche rimettendoci.
Non c’è rimedio, per l’Italia. L’economia – non cambiando nulla, e nulla si vuole che cambi – non dipende dal governo. Se qualcosa si potesse fare, e il governo la facesse, otterrebbe una tale montagna di critiche da perdere con certezza le prossime elezioni. E forse dovrebbe per giunta ritirare il provvedimento. La norma della Costituzione che vieta il referendum per le leggi tributarie e di bilancio (art.75) è vanificata dal fatto che i governi sono proni all’opinione pubblica e ai giornali: e ciò che vieta la Costituzione viene realizzato dalla demagogia.
L’Italia è una malata che rifiuta le cure ma nel frattempo chiede che la politica rilanci l’economia, riduca il debito pubblico, renda il Paese prospero e felice. Chiede la Luna. Se dovesse morire, la conclusione sarebbe inevitabile: “Se l’è cercata”.
Da noi il governo non è buono o cattivo: è inesistente. E per giunta noi italiani pretendiamo che cammini sulla corda mentre tutti la strattoniamo a destra e a manca.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it
3 agosto 2011

IL GOVERNO NON PUO’ SALVARE L’ITALIAultima modifica: 2011-08-03T12:38:53+02:00da gianni.pardo
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