E SE L’ITALIA USCISSE DALL’EURO?

Se un’impresa è in difficoltà l’imprenditore si chiede che cosa gli convenga fare: contrarre mutui a tassi altissimi, dal momento che anche le banche conoscono la difficile situazione della società, o dichiarare fallimento, contentandosi di non perdere di più di quello che ha già perso?

Lo schema vale anche per l’euro. Fino ad oggi ci si è posto solo il problema delle condizioni del salvataggio, per esempio della Grecia. Da un lato essa deve fare questo e quello, dall’altro i Paesi che se lo possono permettere devono fare questo e quell’altro. Ma perché non considerare anche costi e ricavi del fallimento? 

I governanti si esprimono come se considerassero una bestemmia l’ipotesi della fine dell’euro ma a livello popolare l’ipotesi circola molto e crea problemi politici. In Paesi come la Germania o l’Olanda troppi si chiedono perché mai dovrebbero ripianare i debiti di nazioni spensierate come la Grecia, la Spagna o l’Italia, e ciò che non si osa sussurrare nelle cancellerie viene gridato ad alta voce nelle osterie. Magari da voci rese impastate dalla birra. 

L’ipotesi dell’uscita volontaria dall’euro è la meno importante, perché la meno appetita. Secondo Federico Fubini, del Corriere della Sera, che riferisce uno studio dell’Ubs(1), nel caso di Atene “ogni greco pagherebbe tra 9.500 e 11.500 €  il primo anno e 3-4.000 € negli anni successivi, [costi] notevolmente superiori ai sacrifici dell’austerità”.

Si vada dunque all’ipotesi delle Kneipe tedesche. La volontà degli ubriachi di non pagare per gli altri è certamente ragionevole ma bisogna vedere se conviene economicamente. Secondo l’Ubs, “il costo della fine dell’euro per un contribuente tedesco o olandese sarebbe otto o dieci volte più alto del più caro dei salvataggi”, quanto meno nel primo anno seguente la rottura.

Ma questo calcolo potrebbero essere aleatorio. Più serie e difficilmente contestabili sono le osservazioni che seguono. Eliminando l’euro, “La moneta dei Paesi periferici si svaluterebbe di circa il 60%, come accaduto ai pesos argentini dopo la fine della parità con il dollaro. Come in Argentina, le banche arriverebbero rapidamente al collasso perché i cittadini cercherebbero di ritirare i loro risparmi per spostarli all’estero” e “Anche le banche tedesche o olandesi andrebbero ricapitalizzate a costi altissimi, per le enormi perdite sui titoli dei Paesi del Sud. Le valute dei Paesi del Nord si rivaluterebbero almeno del 40%, mettendo fuori mercato interi settori industriali. La disoccupazione crescerebbe ovunque in Europa, l’instabilità sociale e  politica sarebbe inevitabile”. Dopo undici anni di moneta unica, l’uscita dall’euro di un gigante come l’Italia provocherebbe un enorme sconquasso. Si può ammettere che non bisognava creare l’euro, ma oggi tornare indietro da quell’errore sarebbe più costoso che tentare di andare avanti. Con buona pace dei bevitori tedeschi, i governanti la sanno più lunga di loro. 

Dal momento che nessuna teoria vale quanto un esperimento concreto il riferimento all’Argentina è importantissimo. Una moneta debole, cessando la parità artificiale con una moneta forte, va immediatamente a cercare nel mercato il proprio reale punto di equilibrio. E questo punto di equilibrio non può che essere molto al di sotto della precedente parità. Qui si parla del 60% ma, anche limitandoci al 50%, ecco alcune delle conseguenze. La prima è il raddoppio del prezzo di tutti i beni importati. La benzina passerebbe dall’oggi al domani a tre euro al litro. Raddoppierebbe il prezzo di tutto ciò che è importato, per esempio televisori, telefonini, automobili straniere, elettricità dalla Francia, gas dalla Russia, e via dicendo. Perfino senza acquistare nulla di nuovo, ci troveremmo a pagare il doppio i pezzi di ricambio per le Ford, le Renault, le Toyota che abbiamo già comprato. Aumenterebbe anche il costo degli alimentari, perché anche in questo campo importiamo molto, dal grano alla carne. Di botto, sarebbe come se gli stipendi, pur rimanendo nominalmente gli stessi, fossero decurtati, del 30-40% del potere d’acquisto. Non osiamo immaginare le conseguenze politiche e sociali.

Naturalmente ci sarebbe l’altra faccia della medaglia. Innanzi tutto se dopo la svalutazione la moneta italiana valesse la metà di ciò che valeva prima, i titoli del debito pubblico italiani detenuti all’estero varrebbero la metà. Sarebbe come se, invece di “prestarci” del denaro per salvarci, i Paesi virtuosi ci regalassero la metà del valore dei titoli italiani in loro possesso.

Ci sarebbe poi un altro vantaggio, anche se non immediato. Se è vero che in Italia la Golf dall’oggi al domani costerebbe il doppio, e non sarebbe venduta, è anche vero che la Punto, in Germania, costerebbe la metà e farebbe una concorrenza spietata alla Polo. La svalutazione ci porterebbe di nuovo ad una situazione che un tempo abbiamo conosciuto bene: avendo, a parità di livello tecnologico, un costo del lavoro più basso di quello dei concorrenti, l’Italia diverrebbe un temibile avversario economico. Le imprese pagherebbero una miseria gli operai (non nominalmente, ma come potere d’acquisto) e assumerebbero molti dipendenti, perché i beni si vendono bene all’estero. In Italia i turisti arriverebbero in folla, perché sarebbe come se ristoranti, alberghi ecc. fornissero i loro servizi a metà prezzo e probabilmente ci sarebbe una ripresa dell’economia: naturalmente partendo da un livello economico notevolmente inferiore e sempre che si fosse riusciti ad evitare la rivoluzione.

Anche il debito pubblico italiano sarebbe favorito dal nuovo allineamento della moneta italiana. Se la svalutazione interna fosse, poniamo, del 40%, i detentori di risparmi perderebbero in termini di potere d’acquisto il 40% dei loro averi. Sarebbe una boccata d’ossigeno per uno Stato scialacquatore e una severissima punizione per i risparmiatori, che avrebbero ignorato l’aureo consiglio degli economisti secondo i quali il migliore investimento del proprio denaro è goderselo. Subito.

E se queste sono le osservazioni che può fare un profano, chissà quante altre ne potrebbe fare un competente. La conclusione è che forse, malgrado la debolezza del nostro governo, ci salveremo.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

11 settembre 2011

E SE L’ITALIA USCISSE DALL’EURO?ultima modifica: 2011-09-11T15:22:48+02:00da gianni.pardo
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7 pensieri su “E SE L’ITALIA USCISSE DALL’EURO?

  1. Secondo me sono due ipotesi diverse e che avrebbero conseguenze diverse.
    La prima è l’uscita dell’Italia dall’euro ma non la fine dell’euro. La seconda è l’abbandono dell’euro e il ritorno alle monete nazionali da parte di tutti i paesi dell’eurozona. Nel primo caso i titoli del debito pubblico italiano, così come i debiti e crediti di soggetti privati, rimarrebbero in euro.Nel secondo caso il tasso di conversione nelle rispettive monete nazionali da chi e con quali criteri verrà stabilito ?

  2. Nel primo caso, per cominciare, non saremmo soli. Uscirebbe certamente la Grecia e probabilmente anche la Spagna e l’Irlanda. Ma la cosa è secondaria, perché c’è una risposta che vale per il primo come per il secondo caso: in ogni caso, per ogni singola moneta, sarebbero i mercati a determinarne il valore.
    Ricordiamoci che se un Paese intende stabilire d’autorità il cambio della propria moneta (lo fece l’Unione Sovietica) il risultato è che la sua moneta non vale niente, in borsa. Nel senso che non viene accettata in pagamento.
    Il rublo valeva formalmente moltissimo, in pratica pochissimo e l’Unione Sovietica era costretta a commerciare con l’estero vendendo e comprando in dollari.
    Si può stare tranquilli, i problemi economici si risolvono. Tutto sta a vedere quanto costa ai singoli cittadini, quelli che devono pagare il conto.

  3. Secondo me l’euro e’ stata una cattiva idea, per il solo fatto di essere una creatura burocratica, cioe’ decisa a tavolino anziche’ desiderata e richiesta dai popoli europei.
    E ora si vede: economie che vanno a velocita’ diverse, regimi fiscali differenti, debiti differenti, tutti ammanettati insieme con un complicato sistema di regole e, in teoria, di sanzioni.
    A parte il problema del nostro debito detenuto da creditori esteri, che andrebbe probabilmente rinegoziato, il futuro me lo aspetterei piu’ o meno come dice Pardo: tutto cio’ che abitualmente si esporta andrebbe a gonfie vele, e tutto cio’ che abitualmente si importa (petrolio,gas,elettronica) diventerebbe molto piu’ caro.
    Tanti nuovi posti di lavoro, aziende che aprono invece di chiudere, benzina e gas al doppio, computer ci teniamo quello che abbiamo, iPhone v6 ce lo scordiamo.
    Ma forse non sarebbe la fine del mondo, potrebbe essere meglio di una patrimoniale all’anno da qui all’eternita’, con l’IVA al 28% e l’anno prossimo si vedra’ cosa altro pagare, senza mai poter decidere che strada prendere. Un po’ come essere in mano agli strozzini.

  4. analisi corretta anche se lievemente iettatoria.
    “non si finisce mai di impalare!” diceva il conte Dracula

  5. “Innanzi tutto se dopo la svalutazione la moneta italiana valesse la metà di ciò che valeva prima, i titoli del debito pubblico italiani detenuti all’estero varrebbero la metà. Sarebbe come se, invece di “prestarci” del denaro per salvarci, i Paesi virtuosi ci regalassero la metà del valore dei titoli italiani in loro possesso.”

    Mi spiace per il sig. Federico Fubini ma la tesi è totalmente infondata. Varrebbero la metà solo se i titoli del debito pubblico italiano detenuti all’estero fossero denominati in lire. Se l’Italia abbandona l’euro e ritorna alla lira, l’euro per noi diventa una valuta estera al pari del dollaro o del franco svizzero. La svalutazione di una moneta non ha niente a che fare con un default, parziale ( 50% ) o totale, di obbligazioni in valuta estera.
    Né si potrebbe obbligare il creditore ad accettare una moneta diversa da quella pattuita nell’obbligazione. Indipendentemente dal valore di cambio che il mercato determinerà per la nuova lira, la scelta è tra rimborsare il debito in valuta estera, totalmente, parzialmente, o non rimborsarlo affatto. In secondo luogo un default, parziale o totale, preclude per molti anni l’accesso al credito sul mercato estero. Entro la fine dell’anno sono in scadenza 123 mld di titoli e nel 2012 440 mld. Dove li trova l’Italia i soldi per rimborsare il 50% dei titoli in scadenza ?

    “Ci sarebbe poi un altro vantaggio, anche se non immediato. Se è vero che in Italia la Golf dall’oggi al domani costerebbe il doppio, e non sarebbe venduta, è anche vero che la Punto, in Germania, costerebbe la metà e farebbe una concorrenza spietata alla Polo. La svalutazione ci porterebbe di nuovo ad una situazione che un tempo abbiamo conosciuto bene: avendo, a parità di livello tecnologico, un costo del lavoro più basso di quello dei concorrenti, l’Italia diverrebbe un temibile avversario economico.”

    Circa 800 mld del debito pubblico italiano è posseduto da soggetti esteri.
    La Cina ne possiede per 220 mld, la Francia ( banche, assicurazioni, fondi ecc ) 330 mld, la Germania circa 150 mld. Non riesco ad immaginare dei Paesi che dopo aver ricevuto un danno enorme da parte dell’Italia, accettino anche l’invasione sul loro mercato di prodotti italiani, senza ricorrere a misure protezionistiche.

  6. Questo è una domanda rivolta all’autore dell’articolo (ma chiunque con cognizione potrebbe rispondere): cosa succede ai (per esempio) mutui casa che sono stati contratti tra gli anni 2000 e,
    caso 1) solo l’Italia esce dall’euro (quindi l’euro non è più come lo conosciamo oggi ma continua ad esistere). Il debito va estinto in euro secondo il valore di questo, anche se il coontratto è stato stipulato fra soggetti nazionali? (è chiaro che in questo caso l’euro si rafforzerebbe);
    caso 2): la germania (insieme eventualmente a qualche altra nazione forte)esce dall’euro.
    Altri possibili casi non mi vengono in mente pur potendo esistere.

  7. Non sono abbastanza competente per risponderle. I competenti dicono tutti indistintamente che sarebbe qualcosa di drammatico, se non di tragico. Tanto che si cerca di evitarlo perfino in Grecia, che non è né grande come l’Italia né tanto essenziale all’euro e all’Europa come l’Italia.
    Se l’Italia uscisse dall’euro, per quanto ne capisco, la moneta “italiana” varrebbe quanto decidono i mercati (svalutazione). Il tutto a favore dei debitori e a carico dei creditori (percettori di reddito fisso, banche nel caso dei mutui, risparmiatori che hanno qualcosa da parte, ecc.). Sarebbe avvantaggiato chi ha denaro in valuta estera. Sarebbero svantaggiate le banche estere che detengono titoli italiani, perché questi titoli cambierebbero denominazione (da vecchio euro a eurital, per esempio), perdendo qualcosa come il venti o il trenta per cento del valore. Se invece l’Italia dichiarasse default, probabilmente i detentori di titoli pubblici italiani perderebbero tutto: ma a questa ipotesi non credo quasi per nulla. Non conviene a nessuno.
    Mi creda, quando penso alla situazione economica italiana mi sento male.

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