LE MANOVRE NON SALVANO L’ITALIA

Alesina e Giavazzi hanno scritto sul “Corriere della Sera”(1) un articolo interessante perché fornisce un dato che va in direzione opposta a quello che generalmente si crede: “al netto degli interessi sul debito nel 2012 la Francia avrà un disavanzo pari al -2,4% del Prodotto interno lordo, l’Italia un avanzo del +2%. L’avanzo italiano sarebbe addirittura superiore a quello tedesco, stimato al +1,4%”. Ma l’Italia, malgrado questo, ha un rating inferiore a questi due Paesi a causa del debito pubblico che da noi corrisponde ad un assurdo 120% del prodotto interno lordo. 

Va tuttavia sottolineato che questo 120% non è un valore assoluto perché non è un valore assoluto quello del pil: se a debito invariato il pil sale, la percentuale del debito sul pil scende. Facciamo un esempio: se per ipotesi il debito fosse 100 e il pil 100 , avremo il 100% di debito sul prodotto interno lordo. Ma se il pil salisse a 103, e il debito rimanesse a 100, esso corrisponderebbe percentualmente al 97% del pil: perché 100 sarebbe diviso non più per cento ma per 103. Come scrivono i due editorialisti, “la crescita (al denominatore) è importante quanto i conti pubblici (al numeratore). È la nostra incapacità di crescere e di attuare politiche che favoriscano la crescita ciò che davvero preoccupa le agenzie di rating e gli investitori”.

Gli autori proseguono parlando di una manovra di bilancio che, tra il 1993 e il 1998 – governo Amato – aumentò notevolmente la pressione fiscale, tanto che l’economia non si riprese mai più. La spesa pubblica, che era del 43,2% del pil, oggi è al 46,7%. Come si vede, la leva fiscale può rovinare la nazione perché pratica un salasso a qualcuno che è già debole e malato.

La morale della favola è molto semplice. Nel bilancio fra entrate e uscite lo Stato italiano ha un avanzo positivo del 2% e dunque è virtuoso: tuttavia ha un modello economico che ne deprime lo sviluppo e ne azzera le speranze per il futuro. Cambiando questo modello, aumenterebbe il pil, diminuendo percentualmente il debito pubblico, perfino a cifre invariate; aumenterebbe il gettito fiscale, permettendo di diminuire effettivamente, non solo percentualmente, il debito pubblico; e infine la ritrovata prosperità farebbe cambiare il giudizio dei mercati sulla nostra nazione, con benefici di ogni genere.

Ma “cambiare modello economico” è un sogno che corrisponde ad un programma di impossibile attuazione. In Italia la convinzione generale è che nulla deve essere cambiato, né in materia di legislazione sul lavoro, né in materia di amministrazione della giustizia, né in materia di sanità, né in materia di previdenza. Come ha scritto qualcuno, in Italia si avvicendano le stagioni solo perché non dipendono dal governo. Come dimenticare che si è avuta una mezza sollevazione solo perché si erano ridotti i finanziamenti a film nati morti o a indegni cinepanettoni? Ma erano parte delle “necessità culturali” e il governo ha fatto marcia indietro. Se non si può vincere sulla lobby di quattro cinematografari, come sperare di piegare la casta dei magistrati? Come togliere agli italiani il diritto all’illicenziabilità o la speranza di vivere da pensionati per venti o trent’anni?

Il governo Berlusconi è gravemente colpevole di non avere attuato le necessarie riforme. Esse erano nel suo Dna e i suoi sostenitori gli rimproverano giustamente di non averle portate a termine. Ma chi può sperare che quelle riforme poi le faccia chi, nel suo Dna, ha ancora una mentalità sovietica? Chi ha la convinzione che lo Stato, senza prendere nulla a nessuno, debba poi dare tutto a tutti? 

L’articolo del “Corriere” afferma inoltre che la famosa “patrimoniale” non risolverebbe il problema ed anzi “sarebbe esiziale per la crescita perché diffonderebbe la falsa impressione che le riforme non sono poi tanto urgenti”. In altri termini, il governo Berlusconi dovrebbe approfittare del momento drammatico non per chiedere altri soldi (per esempio con la patrimoniale) ma per piazzare quei colpi che non gli sarebbero consentiti in nessun altro momento. E questo sarebbe giustissimo, se fosse vero che questi “colpi” attualmente gli sono consentiti. In realtà non è così. Le riforme sono impossibili per le universali resistenze, a cominciare da quelle che provengono dall’interno della stessa coalizione di governo. Se l’acqua non arriva al fumaiolo, nessuno crede veramente che la nave possa affondare.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

22 settembre 2011 

(1)http://www.corriere.it/editoriali/11_settembre_19/alesina-giavazzi-emergenza-crescita_f0603b0c-e27f-11e0-9b5b-a429ddb6a554.shtml

 

LE MANOVRE NON SALVANO L’ITALIAultima modifica: 2011-09-22T09:21:00+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “LE MANOVRE NON SALVANO L’ITALIA

  1. “Le riforme sono impossibili per le universali resistenze, a cominciare da quelle che provengono dall’interno della stessa coalizione di governo”

    Mi scusi caro Gianni ma cosa ha da perdere attualmente il governo?
    Tutte le previsioni dicono che questa maggioranza in quanto a preferenze è in caduta libera ed allora che si rimbocchi le maniche e faccia le riforme tanto peggio di così…

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