LA CONFINDUSTRIA SBAGLIA INTERLOCUTORE

Il documento firmato da Confindustria, Abi, Rete Imprese Italia, Cooperative e Ania è faticoso da leggere. Innanzi tutto per la lunghezza: quindici grandi pagine e mezza, per migliaia e migliaia di parole, sono una montagna da scalare. Poi, naturalmente, per la materia trattata. Ma a queste difficoltà si andrebbe lietamente incontro se ne valesse la pena. Se cioè fosse indicata una soluzione miracolosa, cui nessuno aveva pensato, e che metta tutti d’accordo. In quel caso chiunque si leverebbe il cappello. Purtroppo, la stragrande maggioranza dei suggerimenti contiene verbi al condizionale (andrebbe fatto questo, bisognerebbe riformare quell’altro) o infiniti che equivalgono ad imperativi (razionalizzare questo, ristrutturare quell’altro, introdurre il tale provvedimento): e la lettura diviene un tormento. Perché, mentre la soluzione miracolosa sarebbe subito applaudita, è ovvio che non serve a niente indicare un rimedio ben noto. Se non è stato già adottato una ragione ci deve essere. Volendo fare qualcosa di utile, bisognerebbe indicare quali siano stati gli impedimenti fino ad ora e come è possibile superarli nelle condizioni attuali.

Il problema del governo – di qualunque governo – non è quello di identificare gli ideali da raggiungere, è quello di realizzarli in concreto. Solo gli analfabeti politico-economici possono dire al bar: “La crisi dovrebbero pagarla i ricchi!” I governi si devono chiedere se i ricchi per caso non abbiano già pagato e se farli pagare sia utile all’economia del Paese. Fra l’altro, se consideriamo ricchi i proprietari di case, colpiremo l’80% degli italiani, poveri inclusi.

Il documento confindustriale, pur non essendo a questo livello, non sfugge ad una critica analoga. Il problema non è “che cosa fare” ma “come farlo”. Come ottenere il permesso della sinistra, della grande stampa e dei sindacati da cui dipende l’ordine pubblico e in definitiva l’Italia. A che serve scrivere: “È necessario eliminare rapidamente le pensioni di anzianità, accelerare l’aumento dell’età di pensionamento di vecchiaia, equiparare l’età di pensionamento delle donne a quella degli uomini anche nel settore privato”? La domanda importante è: come reagiranno gli interessati e i partiti che li sostengono? L’abbiamo dimenticato che il governo Prodi come primo provvedimento eliminò il famoso “scalone Maroni”? Non serve gridare: “È quindi evidente che la riforma delle pensioni è indispensabile”. Uno può ben sapere in che direzione spingere la barra del timone ma se gli altri, che sono di più, spingono nella direzione opposta?

Né vale invocare l’aumento delle tasse, se pure pudicamente, con termini come “sviluppare ulteriormente forme di compartecipazione da parte dei cittadini abbienti”. Accà nisciun è fess: “compartecipazione alle spese” significa “tasse”. E si sono chiesti quei signori se il provvedimento sia utile? La scienza delle finanze insegna che la redditività di un’imposta dipende dalla sua aliquota, ma c’è un livello oltre il quale da un lato si incentiva l’evasione, dall’altro si colpisce la produzione di ricchezza. Già oggi nessuno vuole venire ad aprire imprese in Italia e la Fiat minaccia di andarsene. Una politica di odio ai benestanti peggiorerebbe una situazione già pessima. 

“Se le misure sulle pensioni pubbliche non vengono decise rapidamente, corriamo il rischio di dover assumere, in condizioni di assoluta emergenza, provvedimenti ben più dolorosi, quali la messa in mobilità di decine di migliaia di dipendenti pubblici, come sta già accadendo in molti altri paesi”. Giusto. Ma se nemmeno parlando di default si riescono ad adottare modesti provvedimenti? Se si scrivono manovre a getto continuo, una, due tre, sperando vanamente di fare contenti tutti, e alla fine la Cgil proclama lo sciopero generale? Per la verità, la Cgil non l’ha proclamato “alla fine”. L’ha proclamato “in fiducia”, prima ancora di conoscere i provvedimenti. 

Può darsi che ci si arrivi, in futuro, alla messa in mobilità di migliaia di dipendenti pubblici, ma oggi scoppia la rivoluzione se un impiegato è trasferito da un ufficio ad un altro. Questa è una delle ragioni per le quali non si riesce a ridurre il numero di enti, uffici e – a proposito – province. 

A nostro parere la Confindustria e gli altri firmatari non avrebbero dovuto indirizzare il documento al governo. Essendo ragionevolmente sicuri che esso sarebbe contento di applicare questo programma, avrebbero dovuto sfidare le opposizioni chiedendo: siete d’accordo anche voi?

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

http://www.corriere.it/economia/11_settembre_30/manifesto-crescita-confindustria_c3d8ef4a-eb42-11e0-bc18-715180cde0f0.shtml

LA CONFINDUSTRIA SBAGLIA INTERLOCUTOREultima modifica: 2011-10-01T09:55:59+02:00da gianni.pardo
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