TEORIE ECONOMICHE SUL MODO DI SUPERARE LA CRISI

La domanda che oggi occupa le menti di tutti è chiara: che cosa bisogna fare per salvare l’Italia dalla recessione e dal possibile fallimento? Che cosa bisogna fare per rilanciare l’economia e risolvere i problemi – quello del debito pubblico in particolare – che pendono sulle nostre teste come spade di Damocle?

Questo genere di perplessità angustia i Paesi sviluppati dalla crisi del ’29 del secolo scorso e sarebbe troppo lungo ripercorrere la storia dei vari tentativi e delle politiche economiche adottate dai grandi Stati nei momenti di difficoltà. Chi legge l’inglese troverà parecchio in http://en.wikipedia.org/wiki/Keynes. 

Per rimanere nell’ambito di una conversazione, basterà dire che per lunghi decenni il profeta dell’economia è stato John Maynard Keynes. La sua teoria in soldoni era questa: in un momento in cui si ha disoccupazione e capacità produttiva sottoutilizzata, se il mercato è fermo lo si può rimettere in moto con spese statali che stimolino la domanda; anche se queste spese fossero affrontate contraendo debiti. 

Sempre che non prendiamo fischi per fiaschi, lo schema può essere riassunto come segue: immaginiamo che in una città ci sia un momento di stasi produttiva e di disoccupazione. Ovviamente i disoccupati non possono spendere molto, ché anzi devono cercare di non morire di fame. Ma se li assumiamo per produrre televisori in una fabbrica che soffre della stasi produttiva, da un lato essi guadagneranno un salario, e dunque potranno comprare molti più beni di prima; dall’altro, ciò facendo, arricchiranno anche gli altri cittadini produttori, comprando i loro prodotti, e costoro, completando il giro, potrebbero poi comprare i televisori.

La teoria sembrò funzionare negli anni del New Deal e divenne quasi vangelo nel secondo dopoguerra. Poi cominciò a produrre guasti, fu aspramente combattuta da grandi nomi come Friedrich von Hayek, Milton Friedman e Joseph von Schumpeter, e sembrò tramontare per sempre. Per ritrovare nuova vita, almeno come proposta, ai giorni nostri, per esempio per impulso del premio Nobel Paul Krugman, che la sostiene ancora pressoché quotidianamente sul New York Times.

E qui qualcuno potrebbe chiedere: in conclusione Keynes aveva ragione o torto? Un serio libro di economia risponderebbe che sarebbe azzardato dare una risposta netta. Ma quello che non osano i competenti possono osarlo gli incompetenti. 

Immaginiamo che ci sia un uomo che soffre di una tale depressione da far temere seriamente che si suicidi. Purtroppo non si dispone di nessuno dei moderni farmaci, per aiutarlo. C’è solo una droga che rende euforici (la cocaina? L’eroina? Neanche in questo siamo competenti) e si decide di indurlo ad assumerla. L’uomo sta meglio e il problema sul momento sembra risolto. Domanda: la droga è un rimedio contro la depressione? La risposta è no se vogliamo parlare di un rimedio stabile, perché quell’uomo potrebbe divenire un drogato, e magari morirne, di droga; sì se vogliamo parlare di un rimedio momentaneo – in economia si direbbe congiunturale – e l’uomo, pur uscendo dalla depressione, non diviene un drogato.

La teoria di Keynes non è assurda ma ha il difetto di rendere decente, accettabile, quasi morale la “droga”. Una volta che gli Stati si sentono dire che possono creare debiti, perché così favoriscono l’economia, chi li ferma più? È per questo che l’Italia ha l’enorme debito pubblico che ha (1.900 miliardi di euro, quasi 32.000 a persona). 

Il problema è dunque il comportamento dello Stato una volta che la crisi è stata superata. Se smette di far debiti e magari aumenta la pressione fiscale per ripianarli, tutto bene. Se invece continua a far debiti, corre verso l’abisso.  Specularmente, come non si possono fare debiti all’infinito, non si può,  in un momento come l’attuale in Italia – in cui si hanno recessione, disoccupazione, altissima pressione fiscale, e potrebbe anche piovere – insistere con le “manovre”. Non si può dire al depresso che la vita non vale niente e che forse è meglio che smetta di mangiare. Dal momento che lo Stato spende già uno sproposito per pagare gli interessi sul debito pubblico, potrebbe aumentare quello “sproposito” di una notevole percentuale per tagliare drasticamente le tasse e per qualche utile investimento pubblico. O la va o la spacca. Poi, ripartita l’economia, potrebbe pensare a mietere ciò che ha seminato. Come scrive Krugman, gli Stati Uniti non hanno mai rimborsato l’enorme deficit causato dalla Seconda Guerra Mondiale. È stato lo sviluppo economico degli Stati Uniti a far scomparire quel “buco”. Ma, appunto, ci vuole lo sviluppo economico.

In sintesi: l’Italia ha sbagliato negli anni della follia spendacciona, come la Germania ha sbagliato con l’inflazione ai tempi della Repubblica di Weimar; ma non è perché si è ecceduto in una direzione che il rimedio è eccedere nella direzione opposta. 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

7 gennaio 2012

 
TEORIE ECONOMICHE SUL MODO DI SUPERARE LA CRISIultima modifica: 2012-01-07T08:33:12+01:00da gianni.pardo
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