VIOLENZA DI STRADA

Nel corso dei secoli i governi sono stati rovesciati o dal nemico, in occasione di una sconfitta, o, in epoca recente e democratica, da un voto di sfiducia del Parlamento. Naturalmente i governi sono stati anche abbattuti da rivoluzioni popolari, ché anzi esse sono state il naturale rimedio per la tirannide fregiandosi perciò di una romantica aureola di valore guerriero e di anelito di libertà. 

La leggenda non sempre è stata conforme alla storia. Poco importa che i successori degli zar siano stati affamatori ancora peggiori e molto più capaci nel reprimere il dissenso: la rivolta del 1917 rimane gloriosa. La stessa Rivoluzione Francese rimane il caposaldo democratico dell’Europa moderna, e si dimentica che ciò che ha trionfato con essa, e anche dopo Waterloo, è l’Illuminismo, non la violenza di piazza o il Terrore. Tocqueville ci ha insegnato che dell’esigenza di un grande cambiamento erano convinti tutti, a cominciare dagli intellettuali e dagli stessi nobili. 

Malgrado questi fraintendimenti, la Rivoluzione da allora è stata vista con simpatia, fino a divenire una sorta di moda. La fiammata del 1848 sta lì a dimostrarlo. C’è tuttavia una costante: le rivoluzioni hanno luogo quando un regime più o meno oppressivo comincia ad allentare la sua presa. Nel 1917 bastò una notevole sommossa e un colpo di Stato, e lo zar fu eliminato. Con Stalin nessuno fiatò mai. Tutti felici? Sicuramente no. E neanche nell’Europa orientale si fiatò. Le fiamme divamparono quando, morto il tiranno, il sorriso di Khrushchev fece pensare che non avrebbe avuto il coraggio di sparare sulla folla. E a Budapest si vide che era un errore. Dopo di che la rivoluzione rimise la coda fra le gambe, come del resto dopo la repressione della piazza Tien An Men.

Insomma la rivoluzione è tanto più desiderata e ritenuta indispensabile quanto più sembra facile vincere. 

In democrazia la rivoluzione è assurda, perché qui il rinnovo del governo è previsto come fatto naturale, fisiologico e periodico. Nessuno mai può sentirsi autorizzato a darsi alla violenza dal momento che, per ottenere un cambio, basta che si ottenga l’accordo della maggioranza dei concittadini. E se non lo si ottiene, che diritto si ha di imporglielo?

Ciò malgrado questo regime figlio dei grandi ideali anti-autoritari si crede in dovere di levarsi il cappello dinanzi alla rivoluzione. La nostra Costituzione, per le manifestazioni di piazza, stabilisce all’art.17: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi… 

anche in luogo aperto al pubblico”. Ma che gusto c’è, a fare una rivoluzione “pacificamente e senz’armi”? L’ideale, si è detto, è fare la faccia feroce, menar le mani, comunque attaccare un potere che si arrenderà facilmente. La sommossa non avrebbe senso se lo Stato, invece di guardare da un’altra parte, fosse presente con dei militari armati fino ai denti, mentre la gente non dispone nemmeno di un forcone o di un archibugio.

Dal diritto alla riunione in un luogo pubblico, gli scontenti, gli ignoranti, i complessati, i disinformati, i nullafacenti, i misoneisti militanti e i violenti per vocazione hanno dedotto il loro diritto di muover guerra allo Stato; alla popolazione civile e ai suoi beni; alla libera circolazione; alla pace sociale. Naturalmente a patto che il governo non abbia il cattivo gusto di difendersi, a meno che non lo faccia giusto nella misura in cui si potrà sottolineare l’eroismo dei rivoluzionari. 

Assurdità. E tuttavia esiste una consistente porzione del popolo e una vasta pubblicistica che reputano che sia normale vedere un carabiniere ferito, in una manifestazione “pacifica e senz’armi”, e considerano intollerabile che sia ferito chi ha avuto l’iniziativa della violenza e la cerca. L’Italia è il Paese in cui si è santificato Carlo Giuliani, e, non potendo dare una medaglia al valor militare a lui, si è offerto il laticlavio a sua madre. 

Ecco ciò che avviene in Val di Susa e altrove. La Tav è solo un pretesto per chi ama menar le mani, Per farlo si inventano motivi ecologici, sanitari, economici, forse zodiacali e si è felici del coinvolgimento di famiglie ingenue, di sindaci in cerca di facili consensi, di giovani dalle idee confuse, se idee sono. L’ideale è sempre che si arrivi allo scontro, per giocare alla “petite guerre”. Un gioco in cui si segna un punto se muore un poliziotto, e ancora un punto se muore un manifestante: perché della sua morte, quand’anche fosse scivolato in un dirupo, si darà la colpa alla violenza del governo.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

2 marzo 2012

 
VIOLENZA DI STRADAultima modifica: 2012-03-02T11:23:29+01:00da gianni.pardo
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