A REPUBBLICA MANCA PIU’ DI UN QUID DI CULTURA

La grandezza dei grandi compositori di sinfonie è quella di riuscire a costruire una cattedrale sonora partendo da due o tre note. Quelle due o tre note, da sole, sarebbero insignificanti, ma l’artista è capace di vestirle con tanti diversi impasti sonori, con tante variazioni, con tante trovate e sorprese musicali, che alla fine, ricordando che l’ossatura centrale è costituita soltanto da quelle note, si rimane sbalorditi come dinanzi a un miracolo. 

Francesco Merlo non è un grande compositore di sinfonie ma, nel suo piccolo, ha tentato qualcosa del genere. Sulla Repubblica del 4 marzo ha scritto un intero articolo di variazioni sulla parola “quid” (“che cosa?”), che nel brano, senza contare il titolo, ricorre ben quarantuno volte. 

Non va tuttavia dimenticato che per comporre una sinfonia, o in questo caso un capolavoro su un minutissimo tema, col risultato di realizzare un miracolo, è bene che ci si chiami Mozart, Beethoven, Brahms o almeno Haydn. Abbiamo il sospetto che Merlo non abbia nessuno di questi cognomi. Infatti egli scambia oscurità allusiva per profondità, inconsistente fuoco d’artificio per brillantezza e comunque rovina tutto partendo da un errore di latino. Non ci si può presentare pretendendo di offrire un solitario récital di danza, al livello di Roberto Bolle, per poi accasciarsi alla prima piroetta. Perché in questo caso non si sa se debba prevalere il riso o il compatimento.

Scrive Merlo: “Con un guizzo linguistico malandrino che voleva solo ridimensionare il proprio delfino Alfano – <gli manca il quid> – Berlusconi ha implicitamente ammesso di aver perduto anche il suo di quid, che è stato plusvalore in economia e carisma in politica, benché molto spesso sia stato, quid unicum in Occidente, lontanissimo dal quid iuris dello Stato di Diritto”. Scrive questo e dimostra di non conoscere l’espressione che usa.

Va innanzitutto detto che parlare di “quid”, intendendo “qualcosa”, è pressoché erroneo: perché in latino qualcosa si diceva “aliquid”. Ma in italiano è invalso l’uso (registrato anche dai dizionari) di usare l’espressione “un quid”, nel senso di “un qualcosa”: e dunque passi. Ma non bisogna in nessun caso accoppiare quid a iuris, perché diversamente risorge dalle ceneri il vero significato di quella parola. In “quid iuris” quid è pronome interrogativo e bisogna scrivere “quid iuris?” (e non “quid iuris”). “Quid?” del resto richiede sempre il punto interrogativo, a meno che non si tratti di interrogativa indiretta. 

Quid iuris?” significa letteralmente “che cosa [si può dire] del diritto?” e si può tradurre più compiutamente così: “che cosa se ne può dire in diritto?”. Ecco il contesto in cui si può usare quell’espressione: Tizio ha venduto per cinquecento euro un litro d’acqua miracolosa a Caio, sostenendo che guariva immediatamente le piccole ferite. Cosa che dimostrava facendo sparire una ferita, che in realtà era un piccolo adesivo trasparente applicato sulla pelle. Questo il fatto, su cui non ci sono dubbi (è risolto il problema: “quid de facto?”): ma come va qualificato in diritto? Quid iuris, siamo di fronte ad una truffa o ad una circonvenzione d’incapace? Se l’imbroglio è credibile, la qualificazione giuridica è truffa; se è incredibile, e può ingannare solo una persona molto ingenua, siamo di fronte a una circonvenzione d’incapace. Ecco l’uso corretto di “quid iuris?”. E ora proviamo a sostituire la precedente traduzione nella frase di Merlo. “Berlusconi ha implicitamente ammesso di aver perduto anche il suo di quid, che è stato plusvalore in economia e carisma in politica, benché molto spesso sia stato, quid unicum in Occidente, lontanissimo dal qual è la norma, ovvero il principio di diritto, applicabile al caso? dello Stato di Diritto”. Come si vede la frase non ha senso. E allora crolla tutta la sapiente costruzione dei quarantuno quid. Da uno che non conosce il senso della parola che intende commentare non abbiamo molto da apprendere. 

Fra l’altro l’incauto non merita nessuna pietà, perché si permette di irridere chi forse ne sa più di lui, scrivendo: “E così il quid,  monosillabo ad alta densità, che a Berlusconi arriva forse dal latino goliardico dei papelli e del proforma…” Lasciandogli l’intera responsabilità dell’ “alta densità”, bisognerebbe ricordargli che Berlusconi si è laureato in legge in un periodo in cui non si entrava in quella facoltà se non provenendo dal Liceo Classico. Talmente era ovvio che bisognava conoscere il latino. Forse è lui, Merlo, che si è abbeverato solo sui papelli. Senza dire di quanto sia fastidioso l’uso di “proforma” come sostantivo. Insomma, non bisognerebbe entrare con baldanza nell’arengo culturale, per attaccare gli altri, avendo come sola arma la propria acida malevolenza e la propria insopportabile boria.

Ma gli scivoloni in materia di latino di Merlo ci offrono un’altra perla. “E’ davvero un vecchio sciamano questo Berlusconi che inaspettatamente ripropone, nel triste fine carriera, il suo antico e solo talento, quell’istintivo quid di artista dell’avanspettacolo che gli permette di sintetizzare  inconsapevolmente l’Italia in un solo pronome indefinito”. Purtroppo per lui, quid non è pronome indefinito, ma interrogativo, salvo casi assolutamente marginali cui il giornalista non faceva certo riferimento. Decisamente, Merlo non ha fortuna, col latino, e questa ignoranza gli ha dato alla testa. 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

4 marzo 2012

A REPUBBLICA MANCA PIU’ DI UN QUID DI CULTURAultima modifica: 2012-03-04T15:28:33+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

2 pensieri su “A REPUBBLICA MANCA PIU’ DI UN QUID DI CULTURA

  1. “Non va tuttavia dimenticato che per comporre una sinfonia, o in questo caso un capolavoro su un minutissimo tema, col risultato di realizzare un miracolo, è bene che ci si chiami Mozart, Beethoven, Brahms o almeno Haydn.”

    Tenpo fa lei scrisse un articolo ” Dov’è Beethoven ? ” in cui si chiedeva, se non ricordo male, perché la nostra epoca non produca più i geni musicali del passato.
    Mi sono chiesto, e chiedo a lei: se Beethoven o Bach fossero nati nella nostra epoca, avrebbero scritto la stessa musica ? E se non la stessa musica, avrebbero potuto scrivere altri capolavori musicali ? Cioè considerati tali da noi contemporanei ? Intendo dire, Beethoven sarebbe riuscito ad esprire il suo genio in un contesto storico culturale diverso ? Io ne dubito.

  2. Caro Carlo, lei molto mi onora, pensando che io possa rispondere a simili domande. La realtà è che purtroppo non ne so niente.
    Comunque, conversando fra amici, posso aggiungere che la decadenza artistica attuale non riguarda solo la musica, ma anche la letteratura, la pittura e la scultura. Non so che cosa manchi.
    Comunque un genio può nascere anche in un periodo di decadenza. Il fatto è che non sembra sia nato.
    Che musica avrebbe composto, un simile genio? Abbiamo un esempio in Gershwin: probabilmente avrebbe composto canzoni ma poi l’amore per la musica l’avrebbe condotto a tentare di meglio, appunto come George Gershwin. Se questi non è arrivato alle vette di Brahms o di Mahler è perché non ne aveva la statura. E neppure la tecnica.
    Il problema è anche: i contemporanei avrebbero apprezzato la sua musica? Ai tempi di Mozart, di Beethoven o di Brahms, per non parlare diVerdi, la gente impazziva per la loro musica. Oggi c’è uno scollamento fra l’arte più seria e il pubblico. Ma già, l’ho detto, siamo in decadenza.
    Devo proprio tornare alla mia prima risposta. Siamo in miseria, dal punto di vista artistico, ed è tutto quello che si può dire.

I commenti sono chiusi.