L’ITALIA, PAESE CORROTTO


L’Italia è un Paese corrotto. La Danimarca lo è molto meno dell’Italia, la Somalia molto di più. E si potrebbe continuare, allineando le diverse nazioni del mondo ed esprimendo plausibili opinioni. Viceversa si rimane pensosi quando si leggono indici apparentemente scientifici, specialmente quelli con i decimali, stilati da enti come “Transparency International”. Qui, su una scala di dieci, la Finlandia merita un eccellente 9,4 mentre l’Italia precipita ad un 3,9. A pari livello col Ghana e dietro parecchie nazioni del Terzo Mondo.

Naturalmente non è escluso che, poniamo, Trinidad e Tobago sia più morale dell’Italia: ma i numeri rendono perplessi. Ci si chiede subito con quale metodo e sulla base di quali dati si giunge ad essi. La risposta è spesso: “Vai a studiare il documento e vedrai tu stesso come sono arrivati a quelle conclusioni”. Consiglio perfetto, in generale. Si può perfino giungere a vedere che l’indagine è stata condotta con molta onestà, e ciò malgrado si rimane scettici: perché il difetto è nel manico.

L’europeo medio, se ha bisogno di qualcosa, è abituato a prenderlo in un supermercato e a pagarlo alla cassa. Per ipotesi, quaranta euro. E lo stesso europeo sarebbe estremamente stupito ed indignato se scoprisse che ad un altro cliente, poco prima o poco dopo, lo stesso oggetto è stato venduto a venticinque euro. Perché tutti siamo abituati ai prezzi fissi.

Nei Paesi del terzo mondo, magari dove non ci sono supermercati, lo stesso episodio sarebbe visto con altri occhi. Chi raccontasse la sua disavventura rischierebbe di far ridere gli interlocutori. Questi magari gli chiederebbero: “Ma qual è stata la tua controproposta? E se tu non mercanteggi, perché ti lamenti se un altro è stato più abile di te?” Il negoziante arabo che fa finta di essere generoso, che ti tratta da amico e ti offre il tè, è un “corrotto” se poi si scopre che ti ha venduto una merce che vale la metà di quanto l’hai pagata?

Moralità e immoralità sono diversamente valutate cambiando il luogo e il tempo. Una volta un professore siciliano si vantò con un amico di non avere mai accettato una raccomandazione in vita sua e si vide rispondere: “E bravo, così ti sei giocato gli amici”. In quel mondo il professore era morale e l’amico immorale, oppure il parente era furbo e il professore fesso?

Torniamo alla corruzione. Da molti decenni, forse da sempre, all’università si entra e si fa carriera per cooptazione. Se nel corso del tempo non si è mai cambiato sistema e nessuno può aspirare alla cattedra solo per meriti culturali, non è ovvio che chi vuole intraprendere la carriera cerchi appoggi? E non è ovvio che chi ha dei figli da sistemare li aiuti a preferenza di estranei? Se prima ha dovuto favorire i raccomandati dei colleghi, non è normale che poi passi all’incasso? E si potrebbe chiedere al Presidente di Transparency International che cosa farebbe, per divenire professore universitario in Italia. E se ce la facesse, coi metodi italiani e pagando tutti i prezzi richiesti, poi cambierebbe comportamento, quando si trattasse di trarne profitto?

Anni fa nella dottrina penale tedesca si parlava di “azione socialmente adeguata” per indicare un comportamento reprensibile e tuttavia non reputato penalmente illecito in un dato gruppo sociale. Per intenderci: il padre musulmano che forza la figlia a sposare un uomo che lei non ama sarebbe sorpreso di apprendere che, nel diritto europeo, questo comportamento costituisce reato: precisamente “violenza privata”.

Il problema dell’Italia non è la corruzione in senso penale, è la corruzione in senso sociologico. Quel comportamento che non viene percepito come corruzione ma come semplice “buon senso”, “fare i propri interessi”, “rispettare l’amicizia”, “non essere più fesso degli altri”. L’omicidio – grazie al cielo – non beneficia di questa mentalità, ma da noi la corruzione si chiama con molti altri nomi. Non ultimo: “amore della propria famiglia”.

Non si deve dedurre da tutto questo che non bisognerebbe lottare contro la corruzione o che non bisognerebbe applicare il codice penale, soprattutto nei casi più gravi: ma mentre per il codice è facile tracciare una riga netta, per la sociologia le cose vanno diversamente. Inutile sperare in un miracolo. Ogni miglioramento che richieda un cambio di mentalità può aversi solo con sforzi erculei protratti per molto tempo. L’inerzia di una nazione è enorme.

Chissà che Transparency International dopo tutto non sia tanto trasparente quanto vorrebbe.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

17 marzo 2012

L’ITALIA, PAESE CORROTTOultima modifica: 2012-03-17T07:47:59+01:00da gianni.pardo
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