RENZI A RODI

E ora le perplessità superano gli applausi

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Come si dice di certi attori, Matteo Renzi “buca lo schermo”. È un bel ragazzo che parla col cuore in mano, che non usa il politichese e da cui, come dicono gli americani, “si sarebbe disposti a comprare un’auto usata”. E tuttavia il contatto con la realtà produce le prime incrinature. Se in un telefilm c’è un chirurgo giovane e bello, mentre il suo capo è anziano e tendente all’obesità, si può star sicuri che il primo si dimostrerà miglior professionista del secondo e magari alla lunga lo soppianterà al vertice. È la legge dell’immagine. Ma la politica non va confusa con l’arte. Da anziano Giulio Andreotti era occhialuto, gobbo e con le orecchie a punta, ma ciò non gli impediva di avere un cervello politico di gran lunga più fino di quello di Francesco Rutelli.

Come immagine Renzi è imbattibile e per giunta arriva in un momento in cui l’elettorato italiano è talmente stanco della crisi e dei suoi politici che applaudirebbe chiunque gli sapesse vendere un briciolo di speranza. Non è quello che ha fatto il successo di Beppe Grillo? La differenza fra i due è però che mentre Grillo, prudente, ha mantenuto integra ed incontaminata la sua protesta (rischiando l’insignificanza ma non il rigetto) l’altro ha creduto di poter spendere la sua popolarità anche a Palazzo Chigi. E qui sono cominciati i “distinguo”. Dopo che molti hanno visto come ha varato un governo di “giovani” – siamo appena all’inizio – le perplessità si moltiplicano. Giovani? E che vuol dire, forse è una garanzia che siano migliori dei vecchi? Se poi ciò corrisponde a “inesperti” non si vede il vantaggio. E ancora: il loro capo che promette l’inverosimile è un taumaturgo o un imbonitore? E quand’è l’ultima volta che abbiamo visto un taumaturgo all’opera?

Un antico aneddoto narra di un tale che si vantava di avere fatto, a Rodi, un salto in lungo eccezionale. Finché uno degli astanti, spazientito, gli ingiunse di dimostrare in concreto le sue capacità: “Hic Rhodus, hic salta”, “Siamo a Rodi, ora salta”. Se prima qualcuno ha potuto invidiare Renzi, oggi molti esiterebbero, prima di prendere il suo posto. Se prima si è fatto a gara per presentarlo come il rinnovamento, come l’immagine del coraggio individuale, e perfino (da destra) come il piddino non trinariciuto aperto al dialogo, ora sembra che si sia instaurata la moda opposta: quella di rivederne le bucce, di esprimere dubbi, di porsi domande. Di pesare la verosimiglianza delle intenzioni.

Indubbiamente il nuovo Primo Ministro le critiche se le è cercate. Come ha potuto promettere con la scadenza di “una al mese” riforme che in Italia, per molti decenni, nessuno è riuscito a fare? È vero: divenuto Imperatore, Napoleone riorganizzò la Francia dal punto di vista amministrativo e giudiziario, oltre che da altri punti di vista, ma disponeva di un vero potere. E chiunque potrebbe forse fare altrettanto, se solo fosse l’imperatore d’Italia. Invece neppure Berlusconi, col suo carisma, col suo potere personale e  col suo “partito azienda”, come l’hanno chiamato, ha potuto fare gran che. Perché il Parlamento non obbedisce al governo e il governo non obbedisce al Primo Ministro. Chi siede a capotavola a Palazzo Chigi non comanda affatto. E infatti Berlusconi, uomo d’azione, si è sempre lamentato che, con questa Costituzione, la carica di Primo Ministro poco ci manca sia onorifica.

Bisogna riconoscere che, nell’attuale circostanza, tutti al governo si sono comportati con umiltà. Il messaggio è sempre stato che ci proveranno, che sanno di correre rischi, che si giocano tutto. E tuttavia dimenticano che la pubblicistica è impietosa. Nel momento dello scacco nessuno ricorderà questi parafulmini e tutti citeranno le critiche ai precedenti politici, il biasimo per l’immobilismo del governo Letta, le promesse delle grandi riforme (una al mese, come certe pillole particolarmente efficaci) e tutti i messaggi ottimistici che sono stati smentiti dai fatti.

Naturalmente i commentatori, malgrado il diluvio di critiche, si sono affrettati ad augurare ogni bene al nuovo governo. Né potrebbe essere diversamente: il suo successo sarebbe anche il nostro, il suo insuccesso lo pagheremmo caro. Ma  si direbbe una giaculatoria. Un modo per dire: “Non pensate che io stia gufando”. Quando qualcuno scrive, come ha fatto Luca Ricolfi, che il programma di Renzi è “qualcosa che va contro ogni ragionevole aspettativa e ogni realistica valutazione dei confini del possibile”, è come se dicesse che possiamo aspettarci solo un fallimento.

La politica spettacolo è finita. Sul proscenio ora abbiamo le colonne del dare e dell’avere e un umile pallottoliere.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

23 febbraio 2014

 

RENZI A RODIultima modifica: 2014-02-24T10:48:04+01:00da gianni.pardo
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