LE RIFORME CONDIVISE


Si parla di riforme della Costituzione e alcuni, come Gianfranco Fini, “auspicano” riforme condivise. Il verbo auspicare è truffaldino. Chi auspica non si attiva affatto per ottenere qualcosa, anzi  non la prevede neppure: guarda il volo degli uccelli (come gli auspici) e spera che essi predicano che le cose vadano in un certo modo. In un certo senso, auspicare è meno di sperare: perché la speranza, almeno, è del soggetto, mentre l’auspicio riguarda la sorte che è imprevedibile e dipende dal Fato.

Questo verbo conferisce tuttavia una sorta di superiore dignità a ciò che si dichiara desiderabile. Ogni sorta di alta autorità – Il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle Camere, il Papa – non fa che auspicare e con questo dà la sensazione, alla collettività, di avere fatto la propria parte. In realtà non ha fatto niente e il problema. che non è quello di auspicare o no, rimane integro: è desiderabile, una certa cosa? Se sì, che cosa si può fare per ottenerla?

Per quanto riguarda le riforme costituzionali condivise, alla prima domanda (sono desiderabili?) sarebbe facile rispondere sì se tutti desiderassero le stesse cose; se invece si desiderano cose diverse, la condivisione non è possibile. Non si può ragionevolmente chiedere alla controparte di contribuire a fare qualcosa che le è sgradita. Tutto ciò posto, in un momento come quello attuale in cui qualunque consenso ad una proposta della maggioranza è visto come un tradimento, parlare di riforme condivise è farsi vento con il fiato. Se si vuole riformare qualche parte della Costituzione non rimane che farlo con la propria maggioranza. Poi, dal momento che la minoranza si precipiterebbe a promuovere il referendum abrogativo – come ha già fatto con successo una volta – tutto il problema si ridurrebbe alla campagna elettorale per quel referendum.

Non si tratta dunque di sapere se le riforme saranno condivise ma solo di sapere chi condurrà la migliore campagna di informazione, quando il popolo dovrà approvarle. Soprattutto tenendo presente che la gente non è competente di diritto costituzionale e ridurrà la questione ad interrogativi brutali e perfino fuorvianti. La riforma della giustizia per esempio potrebbe essere ridotta a questo quesito: “Volete che Berlusconi non sia condannato per i crimini che ha commesso e che i giudici debbano decidere sempre come vuole lui?” È ovvio che chi riuscisse a far credere che questo sia il problema indurrebbe chiunque a votare no. Voterei no anch’io, se fossi capace di credere una simile balla. Il problema consiste dunque nel dovere di spiegare di che si tratta, in modo da convincere della bontà dei propri argomenti chiunque non sia già convinto di dover in ogni caso “votare per Berlusconi” oppure “votare contro Berlusconi”.

In democrazia il comunicare è quasi più importante del fare. Se si fanno ben conoscere le difficoltà che incontra il governo, la gente apprezzerà il poco che è riuscito a fare; se non si sa illustrare la situazione reale, anche a fare cento, si rimprovererà al governo di non avere fatto centouno.

Tutto ciò induce alla tristezza. La democrazia rimane il miglior regime possibile ma è doloroso constatare come, dal momento che comanda la massa, si possa dipendere da chi riesce a presentarle un progetto – qualunque progetto! – nel modo più suggestivo: magari fino a condurre ad un disastro nazionale. La spedizione di Sicilia di Alcibiade apparve, prima che cominciasse, come una gioiosa avventura da cui tutti sarebbero tornati incolumi e ricchi. In realtà, dopo una tragica serie di rovesci e disastri, si concluse con la morte o la schiavitù di tutti i conquistatori. Atene dovette pentirsi amaramente di quell’iniziativa. Con animo non diverso applaudivano Hitler le folle di Monaco e di Norimberga: anche loro, suggestionate dal genio propagandistico di Göbbels, immaginavano un radioso futuro di prosperità e potenza. E tuttavia, invece di condannare Göbbels, bisogna imparare a fare meglio di lui e per scopi utili al Paese.

La bontà della riforma della nostra Costituzione dipenderà dal valore dei giuristi che la progetteranno, la sua approvazione dipenderà non dalla condivisione con la minoranza ma dalla pubblicità che si saprà fare alle modificazioni.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

17 ottobre 2009



LE RIFORME CONDIVISEultima modifica: 2009-10-18T08:20:00+02:00da gianni.pardo
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