LE RAGIONI DI TANTE RIVOLUZIONI

E il caso Libia
Le rivolte che infiammano le nazioni musulmane, dall’Atlantico al Mar Rosso al Mediterraneo Orientale, non possono avere tutte le stesse motivazioni. Quand’anche le avessero – ma non possono – sarebbe strano che giungessero al livello di quasi rivoluzione nello stesso momento. Bisogna dunque cercare l’elemento comune o la causa scatenante – quand’anche poi dovesse apparire futile – ad un livello per così dire sovrannazionale.
1.    Se un governo dura in carica per molto tempo, e si comporta bene, la gente si abitua alle cose buone – che considera ormai ovvie – e nota solo le cose cattive, magari ingigantendole. Ecco perché si dice che “il potere logora”. Non è una forma di stupidità o di cattiveria: è la natura umana. Ognuno applica questo genere di principi anche a se stesso. Se sta male, si lamenta della malattia e il resto non ha importanza; se sta bene dimentica che vantaggio è la salute. Tutto questo vale anche per i regimi autoritari, indipendentemente dal modo come operano, dal momento che essi durano più degli altri.
2.    Tuttavia non si può dimenticare la barzelletta dei prigionieri che, interrogati sulle loro condizioni, dicevano: “Non ci possiamo lamentare”. E infatti se l’avessero fatto dopo sarebbero stati frustati. I regimi autoritari e longevi scontentano la gente ma sono capaci di reprimere le proteste in modo talmente duro da scoraggiarle. Nessuno infatti protestò contro Stalin; nessuno protestò contro Mao; nessuno protestò contro Pol Pot e la stessa Cina è tranquilla dal tempo del massacro di Tien An Men.
3.    Fra le nazioni attualmente più o meno in rivolta, nessuna forse è capace di una democrazia come la si intende in Europa. In alcune si vota, le elezioni sono più o meno libere e più o meno oneste, ma la tendenza universale è ad un autoritarismo spesso incarnato in un “uomo forte”. E quando il popolo può identificare il potere in una persona, è come se conoscesse nome e faccia dello Stato. Purtroppo, mentre la propaganda di regime attribuisce a quell’uomo ogni merito per la situazione felice del Paese, in privato ciascuno pensa che se ha perso il lavoro, se la spesa quotidiana diviene insostenibile e perfino se la strada è allagata dalla pioggia, la colpa sia sua. È lui l’origine di tutto: di tutto il bene per la propaganda di Stato, di tutto il male per chi è scontento. E infatti recentemente le folle hanno chiesto la testa del rais.
4.    Il problema è aggravato dalla demografia e dalla disoccupazione. In tutta l’area la popolazione è aumentata in modo impressionante e la percentuale di giovanissimi (spesso inoperosi e ben poco alfabetizzati) è estremamente alta. A fronte di tante bocche da sfamare, la produzione agricola non è sufficiente e questo obbliga ad importare derrate alimentari. Purtroppo, proprio questi costi internazionali sono recentemente aumentati, finendo per ripercuotersi sul prezzo al consumo. Se la gente fosse colta e ragionevole, saprebbe che non sono Ben Alì o   Mubarak, i colpevoli. Saprebbe che la soluzione non è bruciare qualche automobile e demolire qualche vetrina ma avere meno figli. Ma la gente non è ragionevole. Crede che un cambiamento sia sempre possibile e sia sempre per il meglio. Del resto, anche il Paese più progredito del mondo ha votato per un candidato presidente che aveva come motto “Change” e un kantiano, categorico, astratto “yes, we can”.
5.    Mettendo insieme questi elementi è concepibile che la molla delle proteste risulti dalla combinazione dei fattori elencati, e soprattutto dal secondo: il potere non è più stato tanto temibile da scoraggiare le sommosse ed anzi ha avuto tendenza a cedere. Vedendo che in casa del vicino si è avuta la rivolta e il regime non ha reagito con crudeltà ognuno si è detto: “E perché noi no? Forse siamo contenti del nostro governo e del nostro ‘uomo forte’? Scendiamo in piazza”.
6.    Se l’effetto domino che è sotto gli occhi di tutti è stato reso possibile dalla mitezza delle reazioni dei governi, è possibile che la causa profonda delle “rivoluzioni” sia più balorda che politica: la gente si è rivoltata contro la propria scontentezza esistenziale. Ha ingenuamente creduto che qualunque cambiamento possa avere effetti magici. Purtroppo la realtà ha costanti ben più solide.
7.    Il caso Libia. Gheddafi è al potere da 42 anni. Tuttavia è (ancora) sufficientemente sostenuto dai capi militari per contrastare una rivolta che sembra più violenta che altrove. Infatti per il successo della protesta è importante sapere a che livello è arrivato lo scontento. Se non è giunto ai massimi livelli (tanto da poter innescare una congiura di palazzo) il regime fa solo finta di cambiare: come è avvenuto in Egitto, dove gli stessi militari comandano più di prima. Se invece sono scontenti i grandi sostenitori del regime e la grande maggioranza della popolazione, si ha il totale cambio dei dirigenti: anche se spesso non dello stile di governo.
8.    La Libia è interessante anche per un altro verso. Se la rivolta si fosse dichiarata in questo Paese prima che in altri, vedendo che il governo reagiva facendo morti e feriti, non ci sarebbe forse stata la “moda” delle rivoluzioni. Purtroppo i moti libici sono arrivati per ultimi, quando tutti si erano convinti che bastava scendere in piazza per vincere e questo forse farà scorrere molto sangue. Fino alla guerra civile.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
21 febbraio 2011

LE RAGIONI DI TANTE RIVOLUZIONIultima modifica: 2011-02-22T14:24:57+01:00da gianni.pardo
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