I DIRITTI LEGITTIMI DEL GATTO

La semantica ci insegna che il significato di una parola non è quello che risulta dall’etimologia: il senso di ogni termine è quello che gli attribuiscono i parlanti e tuttavia c’è un limite. Se molti credono che “brunito” significhi scuro e “corrusco” significhi corrucciato, rimangono ancora abbastanza persone colte per sapere che brunito significa “brillante” e corrusco significa “rilucente di luce vivissima e improvvisa” (Zingarelli).

Il principio è ancor più valido quando ci si inoltra in campi specialistici. In occasione di un trapianto i giornalisti potranno parlare dell’ “espianto” dell’organo dal cadavere, per i medici si tratterà sempre e soltanto di un “prelievo”. L’espianto si ha quando si rimuove l’organo dal paziente trapiantato. 

Un caso frequente si ha anche nell’ambito giuridico, dove si parla ad ogni piè sospinto di diritti: diritti del bambino, diritti legittimi dei palestinesi, diritti degli animali, diritti del malato e via legiferando con disinvoltura. Questo è un cattivo uso della parola “diritto” di cui vale la pena di spiegare l’origine.

Il bambino fruisce di tutti i diritti di un qualunque altro cittadino ma a causa della sua età l’ordinamento prevede delle norme intese a proteggerlo. Queste norme naturalmente non si rivolgono a lui (che fino a quattordici anni in Italia non è neppure penalmente responsabile delle sue azioni) ma agli adulti che hanno da fare con lui. I genitori hanno il dovere di curare la sua salute e di mandarlo a scuola. Gli educatori non devono eccedere nei mezzi di correzione o di disciplina e i tutori devono curarne il patrimonio. In tutti questi casi il bambino non è titolare di speciali diritti: è il beneficiario di doveri imposti ad altri.  

Se si parla di diritti del bambino è perché molte persone pensano che i vantaggi a lui concessi derivino dalla sua speciale qualità che la legge si limita a riconoscere; tanto che i doveri degli adulti deriverebbero da quei diritti e non l’inverso. E questo errore riporta ad un’araba fenice del Seicento: quel “diritto naturale” che non è riuscito a nascere (1) ma rimane una eterna tendenza. Esso corrisponde infatti alla mentalità degli incompetenti. Costoro non solo sognano di trovare un fondamento extragiuridico per i diritti (e infatti la Chiesa parla di “principi non negoziabili”) ma sono contenti di vestire di diritto ciò che personalmente reputano giusto. Un errore che non tiene conto dell’evoluzione storica. Un tempo gli uomini erano molto brutali con cavalli, asini e cani, oggi l’idea che qualcuno maltratti le bestie è intollerabile, per le persone civili e sensibili: ma questo non trasforma gli animali in portatori di diritti. Al massimo, come i bambini, possono essere i beneficiari dei doveri imposti agli esseri umani, gli unici passibili di diritti e doveri.

Un caso speciale è quello dei “diritti legittimi dei palestinesi”. Qui le assurdità si sprecano. I diritti sono “legittimi” quando discendono da una legge e non esiste nessuna legge internazionale che impone al vincitore di concedere ad un Paese vinto una totale indipendenza in modo che poi esso possa attaccarlo. Dopo la prima Guerra Mondiale il disarmo (con annesso diritto all’intervento sul territorio per verificarlo) fu imposto alla Germania, uno Stato che certo non aveva colpe in materia di terrorismo. In secondo luogo, non esiste una legge internazionale cogente cui ci si possa efficacemente appellare: l’Onu è solo un’arena oratoria. Il diritto internazionale ha un senso quando interviene tra Stati sovrani che liberamente stipulano trattati e si spera che li onorino. Ma se uno Stato ne batte un altro in guerra avrà nei suoi confronti solo quei “doveri” che gli impone il suo proprio livello di civiltà. Il vinto non ha nessun diritto: un tempo, nemmeno il diritto ad aver salva la vita: e questo “un tempo” è stato molto recente, per Gheddafi. 

Non si può parlare di “diritti dei palestinesi”: solo politicamente si può esprimere il “desiderio di un equo trattato di pace con i vincitori”. E un desiderio non è un diritto. Ché anzi, se il vinto esagera le sue pretese, se ha l’idea di potere imporre condizioni al vincitore, la pace si allontana, come vediamo da decenni. E ne soffre più il vinto che il vincitore.

Il diritto è una categoria dello spirito come la morale o l’arte. Poi è un complesso di norme cogenti (ordinamento giuridico). Infine è un potere attribuito al singolo (diritto soggettivo). Ma in tutte queste ipotesi non ce n’è una che riguardi il gatto, anche se fruisce in casa di agi inauditi che a volte sconfinano nel capriccio.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it

24 novembre 2011

(1)http://www.ilcannocchiale.it/member/blog/post/post.aspx?post=1391336

 
I DIRITTI LEGITTIMI DEL GATTOultima modifica: 2011-11-24T08:26:00+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “I DIRITTI LEGITTIMI DEL GATTO

I commenti sono chiusi.