L’ODIO PER I RICCHI

Tutta la società sembra unita nell’odio contro i ricchi, in un’acida voglia di “fargliela pagare”. E tutta la legislazione è improntata a principi di fattiva ostilità nei loro confronti. Basti pensare alla voglia di tassare a morte i “grandi patrimoni”, all’accresciuto peso di imposte per seconde case (anche all’estero, dove già pagano le tasse allo Stato locale!), barche, e ogni bene che sembri denotare “ricchezza”. Tutto questo è giusto?

È giusto che chi guadagna 1.000 paghi 100 e chi guadagna 10.000 paghi 1.000 o 1.500. Ma è giusto che chi guadagna 10.000 paghi 4.000 o 5.000? Secondo la Costituzione (art.53) “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Ma la progressività poteva estendersi fino a triplicare il tributo per chi ha una casa e la tiene sfitta? Dov’è la maggiore capacità contributiva, se da quella casa non si ricava nessun reddito? Qui si punisce il fatto che il proprietario non faccia beneficiare gli altri del suo bene. La nostra Costituzione è “di sinistra” e ne sono stati accentuati i risvolti giacobini: ora bisogna che “anche i ricchi piangano”. Ma chi sono, esattamente? 

Per il disoccupato che non sa come dare da mangiare ai suoi figli, è già ricco il ragioniere del secondo piano che guadagna millecento euro al mese. Ma se la stessa domanda fosse posta all’interessato, il poverino sgranerebbe gli occhi: “Io, ricco? Forse il commercialista del piano rialzato, quello che guadagna cinque o seimila euro al mese”. Ma il commercialista osserverebbe che lui ha cominciato a guadagnare sul serio ben oltre i trent’anni e che comunque, mentre il ragioniere stacca alle due, lui lavora dalle nove del mattino alle nove di sera ed ha delle spese. Ricco è sempre qualcun altro. Se infine si arriva ai ricchi innegabilmente ricchi, ci si accorge che sono così poco numerosi da non avere importanza, nella società. Anche a distribuire tutti i loro averi ai poveri, non cambierebbe nulla. 

L’odio per gli abbienti ha una spiegazione. Per molti secoli il grande patrimonio è stato costituito dalla proprietà terriera. Jean-Jacques Rousseau non odiava il ricco in quanto tale ma perché la ricchezza l’aveva ereditata. Il suo patrimonio era pura casualità e pura ingiustizia. Spesso per giunta la proprietà terriera si accoppiava con la nobiltà, sicché le categorie erano stagne, o si nasceva nobili e facoltosi, o si nasceva “roturiers” e indigenti: senza possibilità di cambiare categoria. Persino un genio capace di procurarsi un grande patrimonio, come Voltaire, rimase sempre un inferiore perché non era nobile.

Il tempo è passato.  L’esperimento sovietico ha dimostrato che, abolendo la proprietà privata, l’intero popolo si impoverisce invece di arricchirsi. In Occidente la nobiltà è praticamente sparita e la terra ha cessato di essere il paradigma della ricchezza: oggi è ricco l’industriale, il celebre artista, il grande professionista, tutta gente che lavora sodo. Prima l’alto livello economico era conseguenza della nascita, ora è conseguenza del lavoro. Prima le categorie erano impermeabili, oggi il figlio del milionario spesso si ritrova povero prima di arrivare alla vecchiaia. Il mondo è cambiato. Purtroppo, la gente è mentalmente ferma al passato e infatti la nostra Costituzione a proposito della proprietà privata parla di imporle dei limiti “allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Parole importanti. Il patrimonio non è più un fatto privato: deve avere una funzione sociale. Inoltre deve essere “accessibile a tutti”, come se prima fosse stato vietato. Accessibile significa che la porta è aperta: e chi l’ha mai chiusa, dopo la Rivoluzione Francese? 

Siamo alla contraddizione dei sogni. Da un lato si fantastica che i ricchi siano tali per eredità – tanto che si vorrebbero distribuire i loro beni a tutti – dall’altro si auspica che tutti divengano ricchi: per poi espropriarli dei loro beni?

Chi ha guadagnato molto è tormentato in tutti i modi. Inoltre è additato al disprezzo generale: se ha soldi è un delinquente; se ha soldi è un evasore fiscale; se ha soldi non andrà in Paradiso. In Italia il modello positivo è l’impiegato statale che con lo stipendio arriva a stento alla fine del mese. Il risultato è la scarsa propensione alla produzione, l’esistenza di pochissime grandi imprese e la quasi assenza di investimenti stranieri. 

La società italiana ha voluto essere liberale il meno possibile, ha voluto che anche i ricchi piangessero e ci sta riuscendo: si chiama recessione.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, 

20 dicembre 2011

L’ODIO PER I RICCHIultima modifica: 2011-12-20T09:10:56+01:00da gianni.pardo
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9 pensieri su “L’ODIO PER I RICCHI

  1. Trovo tutto vero, e molto ben descritto.
    Lei si domanda: “Tutto questo è giusto?”. Non so, ma sono certo che al piano di sotto scorre un fiume sotterraneo di invidia, un misto di ammirazione e “odio degli esclusi”.
    Ma e’ proprio questo il punto: cosa pensano gli esclusi ? L’invidia puo’ prendere due direzioni, una negativa e si trasforma in desiderio di punizione/tassazione, una positiva e si trasforma in desiderio di emulazione.
    Sono sempre stupito del fatto che in Italia la seconda sembri avere molto meno successo della prima. Forse perche’ siamo un popolo di cattolici, e nella religione cattolica c’e’ sempre una connessione tra ricchezza e peccato.
    Il cosiddetto “sogno americano” probabilmente non fa per noi.
    Ed ecco spiegato, en passant, anche l’antiberlusconismo.

  2. Giusto commento, ma lo stesso non mi spiego l’antiberlusconismo dei “ricchi” e di molti aristocratici. En passant, mi viene da pensare che molti aristocratici, ricchi/benestanti, siano di sinistra a causa del senso di colpa inculcato loro dalla loro educazione cattolica.

  3. – Si’, certo, sono molto benestante, ma sono anche molto attento al sociale, anche con varie iniziative. (Traduzione: sono ricchissimo, ma ho cosi’ tanti sensi di colpa che pago il fio della mia ricchezza. Le iniziative non spostano di una virgola i miei capitali, ma sono una penitenza che mi assolve).
    Risultato: accettato.

    – Si’, certo, ho una pensione 20 volte maggiore di quella dei normali cittadini, ma sono un giudice/funzionario/parlamentare, svolgo una funzione pubblica che e’ socialmente utile.
    (Traduzione: faccio una vita da nababbo, ma a causa del mio ruolo non sono un uomo libero di godermi spensieratamente la ricchezza. In ogni momento devo dimostrare senno e moderazione, quasi essere invisibile. Tutti questi limiti sono la penitenza che mi assolve).
    Risultato: accettato.

    – Io sono un self-made-man, unendo circostanze favorevoli al coraggio e alle mia capacita’ ho fatto un sacco di soldi. Ma non devo niente a nessuno, ho pagato un sacco di tasse, e col netto ci faccio quello che mi pare. Sono un uomo libero!
    Risultato: odiato.

  4. decodifica: i primi due, per autoflagellarsi ancora un po’ e per apparire “politically correct”, votano a sinistra; l’ultimo vota a destra. O sbaglio?

  5. Credo proprio di si’, caro bobnap…!

    – E poi certo, saro’ anche molto benestante, ma col cuore in fondo sono con “tutti voi”. Ma e’ chiaro, sono un democratico, eh, ci mancherebbe, io sto con la ggente.

  6. caro Professore,
    la sua prosa “scorrevole” (come al solito) rischia di far apparire oro anche il princisbecco
    senza stare a scomodare inutilmente la lotta di classe del passato mi sembra di non poter condividere la sua affermazione:”oggi è ricco l’industriale, il celebre artista, il grande professionista, tutta gente che lavora sodo”
    è su questo “lavorare sodo” che non concordo per spiegare le maggiori fortune: esistono categorie di lavoratori (non solo i fatidici statali) che lavorano veramente sodo e talora a rischio della salute se non della vita stessa e non mi risulta che si siano arricchiti in misura così smodata
    diciamo allora che chi si arricchisce notevolmente in questa nostra società, pur non commettendo illeciti, sfrutta nel migliore dei modi le opportunità della “società di massa” che per certi “mestieri” ha stabilito meccanismi di rimunerazione da ritenere eccessivi (e fonte di quei sentimenti di ostilità da Lei descritti) nella sostanza se non nella forma
    intendo dire che un calciatore (o attore, o cantante, etc) che guadagna quello che sappiamo non lo fa in base al suo “lavorare sodo” ma in base alla consuetudine che “riconosce” a questa persona “ipotetici” meriti ingigantiti dalla “massa” che ne parla e lo va a vedere nelle sue esibizioni (facendo in tal modo lievitare i suoi compensi)
    quindi la ricchezza, centinaia (ma anche migliaia) di volte più consistente di quella “raggiungibile” dalla maggioranza dei cittadini non può essere attribuita a veri meriti personali ma a “meccanismi” creati ad hoc per arricchire oltre che il singolo anche l’élite che non solo lo crea ma lo gestisce come una “miniera”
    Lei parla di odio ed invidia da parte delle masse verso chi ha saputo emergere: sentimenti che non provo per nessuno; tuttavia considero perlomeno “esagerato” attribuire “qualità intrinseche” ai soggetti sulla base del loro conto in banca: non odio né disprezzo ma neanche ammirazione

  7. Le mie considerazioni, essendo economiche, prescindono totalmente dalla morale. In questo senso è “merito” essere anche un politico corrotto (che è riuscito a non farsi scoprire) o un cantante sguaiato, che mi torcerebbe le orecchie, se fossi costretto ad ascoltarlo, e che tuttavia piace a tanti. E diviene ricco.
    Gli esempi che ho portato sembravano tutti positivi, e in questo sono stato poco chiaro. L’evasore fiscale che ha lavorato sodo per trovare il modo di non farsi scoprire dal fisco è un “ricco con merito”, dal punto di vista economico. La prova è che molti non sanno come sfuggire al fisco e lui sì.
    Oppure ha deciso di correre dei rischi che altri rifiutano: e anche questo è un “merito”.
    Spero di essere stato chiaro.
    L’economia, come la politica, ha regole diverse da quelle della morale.

  8. oude, il tuo commento mi è molto piaciuto, io sono nata povera dove, metà metà della mia famiglia, è benestante. Mai goduto di questo benessere. Ho lavorato e studiato sodo tutta la vita e per cosa? Non avere i soldi per poter dare le ultime materie e vedermi portar via dalle banche tutto quello per cui ho dato il sangue. Aggiungerei una mia una mia osservazione poco diplomatica, al tuo commento. i Nouovi poveri, altro non sono che persone che non riescono più a mantenere un’attività che a stento non toccava il fondo, saranno un peso enorme per lo stato e la società. Anche loro dovranno mangiare e chi pagherà? Quando uno ha fame, non ci vede più… Sopratutto quando ha i piccoli da sfamare. Come si dice: Il sazio non capisce il digiuno!

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