LA POLITICA: I FATTI E LE PAROLE

LA POLITICA: I FATTI E LE PAROLE
Il nemico della democrazia è la dittatura ma c’è un secondo nemico, dall’aria mite e dimessa, che non è meno pericoloso: la noia. Quando, ascoltando il telegiornale, ci accorgiamo che le nostre orecchie hanno “staccato”, che percepiamo le parole ma non comprendiamo di che si tratta, significa che la noia sta prevalendo sull’informazione. Questo avviene quando si esagera parlando troppo di un certo evento – il terremoto, in questi giorni – e quando un argomento è insieme complesso e insignificante: per esempio la data del referendum.
Come se non bastasse, tutti i giornali parlano oggi di ciò che ha detto il Presidente della Repubblica Napolitano: testo che risulta incomprensibile a chi non sia uno specialista. Tant’è vero che gli esegeti a questo punto spiegano: ha bacchettato Berlusconi e l’ha invitato a non distruggere la democrazia. Al che esegeti di diverso colore replicano: ma no! Ha solo ribadito il dovere del rispetto della Costituzione. Non è differenza da poco: nel primo caso, siamo ad uno scontro istituzionale, nel secondo caso ad un esercizio retorico. Qual è la verità? La verità è che all’uomo della strada la cosa non interessa. Siamo troppo lontani da ciò che una persona normale considera “notizia”.
Il Presidente della Repubblica è una figura ambigua. Formalmente è una tale autorità che persino gli angeli si prosternano al suo passaggio. Sostanzialmente ha pochissimi poteri, anche se, quando li esercita, i giornali li amplificano come se avesse smosso il mondo. Solo poche volte egli ha una reale influenza sulla politica: quando scioglie o no le Camere, quando respinge una legge (ma deve poi lasciarla passare, se il
Parlamento insiste), e poco altro. Per il resto, un suo monito, più che un avvenimento politico, è una seccatura. Il Presidente ha un’autorità morale e questa naturalmente, proprio perché morale, non vale quasi niente per gli addetti ai lavori.
Per quanto riguarda il referendum, si è stabilito di abbinarlo ai ballottaggi del 21 giugno e questa notizia, come forse si riuscirà a spiegare, è più saporita di quanto non si pensi.
La prima cosa da dire è che, per votare in questa data, bisogna approvare una legge. Dunque è necessario modificare le norme vigenti. E come mai a questa modifica si accoda anche il Pd? Come mai questo partito non si straccia le vesti, non protesta, non insorge per l’attentato alla democrazia? La risposta è semplice: mentre applaude Napolitano per la sua lettera, mentre si prosterna tutti i giorni dinanzi alle regole democratiche, dopo avere annunciato il proprio “sì” al referendum è d’accordo con la maggioranza per farlo fallire. Per questo bisogna allontanarlo dal 7 giugno, giorno in cui la gente andrà a votare per le europee. Perché, se il referendum passasse, il Pdl, vincendo le prossime elezioni, potrebbe poi governare da solo anche se avesse ottenuto solo il 35% dei voti. Un momento, dirà qualcuno: ma questa regola non varrebbe anche per il Pd? Sì, certo: se solo ottenesse più voti del Pdl. E questo è francamente inverosimile ancora per parecchi anni.
Ulteriore domanda: come mai il Pd e il Pdl si acconciano a votare una norma per modificare le regole correnti, e per votare il 21 giugno, quando si poteva rimanere nella legge e votare il 14 giugno? Anche qui la risposta è semplice: il costo dell’operazione. Come avrebbero potuto spiegare al proprio elettorato che accettavano una data che richiedeva un’organizzazione del tutto autonoma, con un costo ad hoc, e costringendo gli elettori – in teoria – a votare per tre domeniche di seguito? Confessando la volontà di annullare di fatto il referendum?
Infine qualcuno ha ventilato l’ipotesi che il referendum potrebbe ottenere il quorum se Berlusconi si impegnasse in prima persona in suo favore. E sappiamo che il Cavaliere avrebbe interesse a farlo. Non bisogna però dimenticare che si è evitato il 7 giugno per non danneggiare la Lega. Se Berlusconi facesse propaganda per il referendum rischierebbe l’alleanza con Bossi e per giunta non sarebbe neppure sicuro di portare a casa il risultato. L’ex imprenditore ha troppo senso pratico per commettere un simile errore.
Il succo della chiacchierata? La politica è fatta di parole, ma per capirla bisogna guardare solo i fatti.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

23 aprile 2009

Se esprimerete il vostro parere, positivo o negativo che sia, su questo testo, mi farete piacere. Si accettano volentieri correzioni sui dati di fatto.

LA POLITICA: I FATTI E LE PAROLEultima modifica: 2009-04-23T14:23:00+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo