A POMIGLIANO NON SONO MATTI

La previsione di tutti era quella di una vittoria schiacciante dei sì, e questa vittoria non s’è avuta. Si sono espressi positivamente meno di due operai su tre ed ora è necessario tentare di capire il fenomeno.
L’alternativa secca, per come era stata proposta e capita, era: volete un lavoro, anche se a condizioni meno favorevoli, o preferite essere disoccupati? Pareva una domanda retorica. Addirittura finta. Come chi chiedesse: preferite essere pressoché sani o gravemente malati? Il risultato invece è stato che un lavoratore su tre “preferisce essere disoccupato”. Come si spiega?
Secondo Hegel “tutto ciò che è razionale è reale”. Poiché è assurdo che si metta volontariamente a rischio il proprio posto di lavoro, bisogna trovare una spiegazione che faccia apparire ragionevole il no di un lavoratore su tre.
Se a Pomigliano non sono matti, si può star certi che anche quelli che hanno votato no non vogliono mettersi nei guai. Dunque – ecco  l’applicazione della razionalità teorica hegeliana – hanno pensato che, anche esprimendosi così, non avrebbero perso il lavoro. Hanno pensato che la Fiat chinerà la testa e andrà a costruire la nuova Panda in Campania anche alle vecchie condizioni sindacali.
Un simile atteggiamento – apparentemente illogico, dopo le ripetute minacce di Marchionne – si spiega con l’esperienza. L’esperienza della vigliaccheria dello Stato italiano. “Se diciamo no, e la Fiat se ne va, il governo potrà permettersi cinquemila disoccupati? Certo che no”. Dunque, pur votando come hanno votato, i lavoratori di sinistra non sono disposti a perdere niente. Continuano a credere di essere più forti della Fiat, dello Stato e perfino della logica economica. Hanno torto? Solo il futuro lo dirà.
Attualmente l’atteggiamento corrente sui giornali e nel mondo della politica è questo: “Il sì non è stato schiacciante ma c’è stato. Ora sta alla Fiat prenderne atto…” In altri termini si spera che la Fiat faccia finta di avere vinto. Che porti quella produzione in Campania, si sobbarchi le condizioni produttive di sempre, fino ad arrivare all’inefficienza, al deficit e, chissà, alle sovvenzioni dello Stato. Purché non crei problemi al governo, ai sindacati che avevano accettato le condizioni (a cominciare dalla Cgil di Guglielmo Epifani)  e a tutti i partiti che le avevano avallate (a cominciare dal Pd).
Probabilmente in questo momento la trattativa si sarà spostata più in alto. Marchionne dirà al Governo: “In queste condizioni mantengo la produzione in Polonia. Se volete che vada a Pomigliano d’Arco, dal momento che un operaio su tre è largamente sufficiente per creare condizioni di vita impossibili, mi dovete garantire che, in caso di difficoltà, lo Stato si  farà carico del deficit”. Tremonti dirà di sì? E nel caso dicesse di no, lo Stato avrà l’energia per affermare che la questione non lo riguarda, che è stato un problema tra un’impresa privata e i suoi operai?
Gli italiani e i loro governanti – dai tempi delle compagnie di ventura – sono disposti a fare la mossa della guerra, ma non a farsi seriamente male. Senza avere simpatia per la Fiom e per gli operai che hanno votato no, comprendiamo dunque che l’esperienza è dalla loro parte.
Anche nella mentalità internazionale, del resto, in materia di vigliaccheria e tradimenti il nostro Paese si è fatto una fama. Temiamo che si avrà un’ulteriore spinta nella direzione di questo pregiudizio.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
23 giugno 2010

A POMIGLIANO NON SONO MATTIultima modifica: 2010-06-23T10:03:40+02:00da gianni.pardo
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