DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEL TERRORISMO

In medicina la diagnosi differenziale è il procedimento che serve a distinguere due malattie che potrebbero essere scambiate l’una per l’altra. Analogamente, per definire il terrorismo, sia in tempo di guerra che in tempo di pace, dovremmo trovare ciò che lo differenzia dagli altri atti violenti.
A parere di chi scrive, il terrorismo ha ambedue queste caratteristiche:
1)    non ha lo scopo di ottenere un risultato concreto, come sarebbe l’impossessarsi di un carro armato del nemico uccidendo il suo equipaggio, ma quello di incutere terrore nei “nemici” mediante la diffusione della notizia. Ricerca cioè un effetto psicologico e pubblicitario. Come dicevano i Brigatisti Rossi, colpirne uno per educarne cento;
2)    la tecnica della sua azione è quella dell’agguato: l’obiettivo deve essere ignaro e possibilmente disarmato. Caso classico: i civili in una discoteca o in una pizzeria.
I dati identificativi sono lo scopo e la tecnica. Dal primo requisito si deduce che non si può parlare di terrorismo a proposito della Terreur rivoluzionaria (che sembra abbia dato il nome al fenomeno) perché, pure se essa inviava ai cittadini il messaggio di quanto pericoloso fosse opporsi alla Révolution, ciò non faceva con la tecnica dell’agguato. La sua repressione era feroce ma non indiscriminata e di solito si celebrava un simulacro di processi. Il fatto che poi si usasse troppo facilmente la ghigliottina (o perfino le noyade) non toglie che si trattava comunque di una giurisdizione formalmente legale.
Analogo discorso può farsi per il massacro dei Catari in Francia o dei Kulaki in Russia. In questi casi non si è avuta un’azione dimostrativa, tendente alla suggestione, ma un deliberato sterminio: cioè un’azione concreta. E questo vale anche per Hitler: il Führer tendeva all’eliminazione di tutti gli ebrei, non a suscitare il terrore. Prova ne sia che ha tenuto severamente segreta la Endlösung e fino all’ultimo momento moltissime vittime erano convinte di andare a fare una doccia collettiva.
Sicuramente terroristi sono stati invece gli attentatori delle Brigate Rosse in Italia o della Banda Baader-Meinhof in Germania. Per non parlare dei fanatici assassini musulmani. Qui si hanno i due elementi: da un lato le vittime ignare e disarmate, dall’altro lo scopo del terrore e della pubblicità. Infatti gli attacchi sono stati pressoché costantemente seguiti da comunicati e rivendicazioni.
Più problematico appare il caso di un attacco a militari. Questi sono ignari di quell’agguato in particolare ma sono armati e sanno, se occupanti, di essere sotto tiro. Azioni di questo genere se ne trovano anche nella remota antichità: per esempio gli attacchi degli Zeloti ai romani. E tuttavia bisogna distinguere due diverse fattispecie. Se gli attaccanti sono in divisa si tratta di un’azione di kommando, normale in tempo di guerra. Se viceversa gli attaccanti non sono in divisa, bisogna distinguere: se essi tendono ad uno scopo concreto, si tratta di azione di guerra, anche se gli autori, ai sensi delle Convenzioni di Ginevra, sono lo stesso passibili di fucilazione immediata. Se viceversa essi hanno solo lo scopo di indurre il terrore nei commilitoni degli uccisi, si tratta di terrorismo. In ambedue questi ultimi due casi nasce il diritto alla rappresaglia.
Si può sentire rispetto per chi ama talmente un’idea da essere disposto a sacrificarle la propria vita e certo il terrorista suicida è meno spregevole di chi fa detonare una bomba a distanza o manda gli altri a morire. Ma tutto questo è secondario per la definizione di terrorismo: il fatto che gli attentatori si credano moralmente giustificati, o addirittura degli eroi e dei martiri, non cambia la loro qualificazione. Il colpevole ha il diritto di dire: “Credo di avere una mia giustificazione, per essere un terrorista”, ma non può negare di esserlo.
Se il terrorismo è qualificato dallo scopo psicologico e dalla tecnica dell’agguato contro vittime ignare si comprende perché qui non ci si occupi delle ideologie che hanno dato luogo al massimo numero di atti di terrorismo: fanatismo religioso, fanatismo politico, razzismo, anarchismo o quello che sia. A nostro parere nessuna ideologia giustifica il deliberato massacro di innocenti ignari.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it
26 luglio 2011

DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEL TERRORISMOultima modifica: 2011-07-26T11:05:46+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEL TERRORISMO

  1. Credo che un terrorista le risponderebbe più o meno così:
    1) In nessuna guerra, o quasi, una parte si prefigge di annientare completamente, fino all’ultimo uomo-donna-bambino, la parte avversa. Quindi terrorizzare il nemico, incutergli il timore di subire perdite tremende salvo che non si arrenda, fa parte degli obiettivi di qualunque fazione che prenda parte in un conflitto armato.
    2) Con l’avvento della guerra moderna, i civili rientrano tutti gli effetti tra gli obiettivi militari. La storia ne è piena di esempi, da Norimberga a Hiroshima, dall’Afganistan alla Libia. Quindi se si ammette la liceità di bombardare “innocenti” da un caccia, non credo che si possa negare la stessa legittimità a coloro che, per mancanza di mezzi sofisticati, debbano ricorrere alle tecniche della guerriglia.

    In conclusione, l’ipotetico terrorista le risponderebbe che, non essendovi differenza negli scopi e poiché nei mezzi non vi è che una differenza quantitativa e non qualitativa, ebbene non c’è alcuna differenza tra il terrorismo e gli altri atti di guerra cosiddetti “convenzionali”.

  2. Forse qa non ha tutti i torti, lo scopo e la tecnica ormai sono cosi’ simili da non costituire piu’ una vera e inoppugnabile discriminante.
    Proviamo un altro tipo di differenza: qualsiasi atto bellico compiuto d’iniziativa di un singolo o di un gruppuscolo si chiama attentato o azione terroristica, se e’ “compiuto da” o “con l’avallo di” un esercito o una nazione, allora si chiama guerra (se breve, si chiama blitz o incursione).
    Guardando i fatti in questo modo, come classifichiamo i partigiani italiani alla fine della seconda guerra mondiale ?

  3. Inizialmente avrei detto che un terrorista è qualcuno che combatte pur sapendo che non potrà vincere. Tuttavia questa definizione appare inadeguata per almeno due ragioni. La prima è che i terroristi sono certi di poter sovvertire lo stato delle cose. Secondariamente, alcune volte ci riescono sul serio, quando sono ben organizzati e possono sfruttare una situazione di caos. In quest’ultima circostanza, la loro qualifica passa automaticamente da “terroristi” a “liberatori”.
    Alla luce di queste considerazioni, verrebbe da dire che i terroristi sono coloro che non dispongono di adeguati mezzi di propaganda (durante la lotta), oppure la fazione che è stata sconfitta (al termine della lotta).

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